Film > The Avengers
Ricorda la storia  |      
Autore: Clint Laufeyson    16/06/2013    1 recensioni
Non ricordava di essere mai stato lucido durante la sua intera prigionia. Quando riemergeva da quelle crisi e non si addormentava riusciva ad essere sveglio per diversi minuti, ma quella non era lucidità: i frammenti delle crisi da cui riemergeva gli rimanevano impressi, come schegge di vetro penetrate nella carne, troppo profonde per estrarle a mano.
Genere: Angst, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Sorpresa, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Faith and Pain

 
 
 Vetro 
 
Al caos della battaglia su Midgard era seguito il caos più indescrivibile. Mentre i gemiti dei Chitauri si spegnevano annunciando la sua sconfitta e la vittoria della Terra, Loki sentì piombarsi addosso il peso di un destino segnato dal castigo e la consapevolezza di aver deluso di nuovo qualcuno, stavolta se stesso. Ma soprattutto un’incessante angoscia si impossessò di lui, che nei giorni che seguirono si tramutò in un terrore e una paura forti come mai prima di allora, ancora più devastante di quando si era ritrovato steso sul suolo della terra di Thanos, consapevole di non essere morto come aveva desiderato mentre lasciava la presa del martello del fratellastro, e si lasciava travolgere dall’oblio e dal torpore di chi si abbandona all’eterno finale.
Non ebbe idea di quanti giorni passarono prima che finalmente Thor lo tirasse fuori e lo portasse ammanettato nella piazza dove erano partiti verso quella terra natìa, per cui l’odio e il disprezzo che aveva provato Loki negli ultimi mesi si era tramutato in una strana emozione, che mescolava la rabbia a una sensazione di nostalgia e di salvezza. Loki era stato felice che il fratello lo conducesse all’esterno dove aveva riassaporato la luce del sole; gli era mancata come non prima la luce naturale, anche più dell’oscurità che non lo circondava da quando era stato catturato e fatto progioniero: d’altronde, in ogni cella in cui era stato messo, la luce c’era sempre stata, ma era alimentata unicamente da delle enormi lampade a muro, e non veniva mai spenta, né la notte né quando dormiva (era certo che lo osservassero, ogni secondo della sua prigionia). Loki si chiedeva se quella non fosse una forma di tortura. La cosa ironica (o la cosa peggiore, a seconda di come fosse il suo umore) era che quando si era preparato a discendere su Midgard per intraprendere l’impresa della sua vita aveva ripensato più volte, pur nascondendolo come poteva a Thanos e l’Innominato, a come sarebbero andate le cose se fosse stato sconfitto, e ogni volta era certo che sarebbe rimasto forte e composto, qualunque tortura gli avessero inflitto e in qualunque cella l’avessero buttato; non avrebbe dormito un solo istante, sarebbe stato tutto il tempo immobile e impassibile, dimostrando a chiunque trovasse il coraggio di guardarlo negli occhi che non temeva il destino né loro. Invece, era andata diversamente: non era successo il contrario, ma l’inaspettato. E quell’inaspettato era di sicuro quell’Inferno di confusione, urla e orrore che gli era entrato nella testa in ciò che fu l’inizio della sua prigionia. Non sapeva quale fosse il termine più giusto per descrivere ciò che dominava la sua mente mentre veniva spostato di cella in cella: confusione, caos, distacco. Forse distacco era la parola più appropriata, perché le ore che passavano erano caratterizzate da sonni tormentati e mai omogenei e da attacchi di confusione e panico, che non riuscivano mai a tenerlo in equilibrio sulla panca, distaccandolo completamenta dalla realtà. Non erano svenimenti, non stava dormendo; non sapeva cosa fosse, ma poteva solo dire che perdeva quasi completamente il controllo delle braccia e delle gambe, grazie alle quali si sarebbe potuto rialzare e rimettere in equilibrio, e tutto ciò che poteva fare era gemere per terra e respirare pesantemente. Il movimento c’era però. Nella sua testa. Ma non riusciva a controllare nulla: nella mente le immagini si inseguivano in maniera impetuosa; rivedeva tratti della battaglia sulla Terra, della sua vita ad Asgard, e a volte sentiva solo frasi tonanti che aveva già sentito dai suoi avversari e da quella che aveva creduto la sua famiglia che echeggiavano mentre le immagini scorrevano sempre più veloci, al punto di non poterle più distinguere. E poi per ultimo veniva il bianco. Loki sperava ogni volta che non arrivasse mai, che riuscisse a bandirlo dalla sua testa. Ma arrivava sempre. Come se fosse scritto. Le immagini si dissolvevano e davanti a sé Loki vedeva soltanto un alone di bianco indistinto, e aveva l’impressione che esso lo forzasse a immergersene, levandogli il respiro e otturandogli le orecchie. Le memorie non frullavano più e il rumore scompariva, ma quello era anche peggio. Perché più esso inondava la mente di Loki più gli faceva male, martellandogli il cranio angolo per angolo. Il dolore, espandendosi e intensificandosi, riusciva a restituire alle sue braccia un briciolo di forza, forse alimentata dalla disperazione, e Loki cercava di trarre conforto e allontanarsi da quel baratro premendo la testa contro il muro e spingendo sempre più forte fino a sanguinare. Lo faceva spesso e le svariate croste sul viso di Loki lo dimostravano. Quando ne usciva, si aggrappava disperatamente alla panca come un uomo che riesce ad aggrapparsi ad uno scoglio mentre è immerso in un mare in tempesta, cercando con tutte le forze di resistere alla corrente che lo trascinerebbe verso morte sicura, così Loki con tutte le sue forze cercava di recuperare l’equilibrio e di allontanarsi sempre più dal pavimento lucente. Era in quei momenti che la luce diveniva davvero insopportabile. Era come se un fulmine gli si schiantasse sugli occhi.
Non ricordava di essere mai stato lucido durante la sua intera prigionia. Quando riemergeva da quelle crisi e non si addormentava riusciva ad essere sveglio per diversi minuti, ma quella non era lucidità: i frammenti delle crisi da cui riemergeva gli rimanevano impressi, come scheggie di vetro penetrate nella carne, troppo profonde per estrarle a mano.
La cosa strana era che invece di sognare da addormentato sognava solo durante una crisi; quando dormiva si immergeva completamente in un vuoto nero, dove non si provava né dolore né piacere fisico; non erano sonni lunghi quanto dovrebbe durare un sonno medio, e lo facevano svegliare più affaticato di prima.
Conosceva a memoria tutte le celle in cui era stato trascinato, ma non riusciva mai a ricordare che cosa succedesse mentre veniva portato fuori dalla vecchia e scortato verso la prossima. Era una cosa per cui si odiava profondamente. Quando era sveglio, ogni tanto gli affioravano delle domande… Perché veniva continuamente cambiato di cella? Che c’era di male nel lasciarlo nella stessa? Non aveva trovato una risposta, ma d’altro canto non aveva neanche voglia di comprendere le idee e le scelte che facevano quelle persone. La sola idea di entrare nella mente di gente simile lo faceva rivoltare.
Ebbe la conferma che i Midgardiani lo osservassero dal fatto che non gli portarono mai del cibo. In qualche modo dovevano aver capito che quelle crisi gli avevano completamente levato la necessità di mangiare o di bere, e Loki in fondo ne fu contento.
Poi arrivò il giorno in cui lo fecero uscire per l’ultima volta. In un istante di ingenuità fu leggermente infastidito dal fatto che l’unica parola che gli fu rivolta fu un «Alzati» da parte dell’uomo che aveva aperto la porta svegliandolo; tutti i Vendicatori erano lì davanti, e questa doveva bastare come spiegazione per dire che era il momento di partire. Poi si accorse che era nella stessa cella in cui era stato messo la prima volta che era stato imprigionato. Non sapeva se sentirsi perplesso o spaventato. Si era sognato tutto? Era sempre rimasto nella stessa cella? Era stato tutto un sogno, incluse quelle dannate crisi? Qualunque domanda si facesse, era consapevole che non avrebbe mai conosciuto la risposta. Prima di alzarsi, gli occhi di Loki vagarono sui sei guerrieri in piedi davanti a lui, e si rese conto che avevano tutti la stessa espressione: disprezzo nascosto dietro una debole maschera di serietà e concentrazione. Loki capì subito che tutto quel rancore non nasceva dal suo tentativo di uccidere l’intera razza umana, ma per quel solo ometto che aveva pugnalato alle spalle prima di scappare dalla base dello S.H.I.E.L.D. e dare inizio allo scontro in cui una moltitudine di gente era morta. Provò un forte disgusto per quelle persone. Che grandi eroi: si battono per salvare l’umanità quando in realtà gli importa solo delle persone a loro vicine.
Quando però fece per alzarsi in piedi, i giudizi che giravano nella testa di Loki si spensero e si tramutarono in un primitivo istinto di sopravvivenza: si era completamente dimenticato della sua debolezza, e appena si sollevò da terra una fitta di nausea gli strinse lo stomaco e le gambe cedettero. Si aggrappò alla panca e lottò con tutte le forze che gli restavano per riprendere l’equilibrio, mentre un senso di umiliazione iniziava a pervaderlo. Gli ci volle un’eternità per alzarsi in piedi. Nella sua testa pregava, o meglio urlava, che non gli uscissero le lacrime di rabbia. Non lo seppe mai. Le espressioni dei Vendicatori si erano fatte più serie; uno degli agenti lì presenti che Loki non aveva mai visto ridacchiò, ma il soldato biondo con cui si era scontrato a Stoccarda lo fulminò con lo sguardo. Fu ammanettato e Thor prese la catena che impediva al prigioniero di scappare. Loki rifiutò di guardarlo. La sera prima era venuto a fargli visita, e lui aveva sollevato la testa lentamente mettendo a fuoco l’uomo che aveva davanti. Non faceva che sperare che non fosse lui. Aveva appena avuto una crisi e pur riemergendone non era riuscito a rimettersi in piedi. Era rimasto disteso a terra fissando il pavimento fuori dalla cella. Era stufo del pavimento all’interno di quella cella: voleva respingerlo, staccarsene una volta per tutte. Poi aveva sentito dei passi e riconosciuto le gambe del dio del tuono.
“Per favore, no…”
Non era rivedere il fratellastro che lo distruggeva. Era il fatto che Thor vedesse lui in quello stato. Vedere per l’ennesima volta il fratello più piccolo sconfitto e sottomesso. Assistere ancora una volta alla vittoria del fratello. Quell’uomo che era stato subito scelto come erede di Odino sin dalla nascita. Quell’uomo che era sceso sulla Terra e in meno di tre giorni aveva trovato una donna disposta ad amarlo e a sostenerlo. E lui in migliaglia di anni invece non era riuscito ad ottenere l’affetto di due padri. Continuava a inviargli delle suppliche, o degli ordini, affinché il dio se ne andasse e lo lasciasse solo.  Ma Thor era lì. Sempre in piedi e sempre vittorioso, si ergeva davanti a lui, rimirando ancora una volta il suo avversario caduto. Mentre alzava la testa tremava, senza ritegno, e cresceva in lui il disprezzo per se stesso. Portava ancora la museruola, e tutto ciò che riusciva a cavare erano dei gemiti spezzati. Thor aveva uno sguardo indecifrabile: era come se ciò che aveva davanti lo spaventasse, ma aveva anche l’aria di chi vorrebbe intervenire ma è impossibilitato. Loki voleva stare in piedi. Non poteva cadere. Raccolse tutte le forze e si tirò su, e rimase in piedi ancora aggrappato alla panca. Quandò levo le mani si accorse che Thor aveva appoggiato una mano sul vetro. Delicatamente, cautamente come se il contatto con la parete potesse essere letale.
“Stupido codardo” pensò Loki, col cuore che gli batteva a più non posso per la rabbia.
Avanzò di un passo e lì si fermò, constatando che se avesse proseguito sarebbe caduto senza ombra di dubbio. Rimase a guardarlo cercando di trasmettergli il suo messaggio. Voleva così tanto sapere che cosa significasse quello sguardo. Voleva dei chiarimenti, per una volta. Non arrivarono risposte.
“Che cosa vuoi da me? Spiegami cosa pensi, almeno una volta!”
La mano di Thor scivolò verso il basso, senza staccarsi.
“L’hai avuta la tua opportunità. Che cosa vuoi ancora?!”
Thor strinse le labbra, ma non cambiò espressione.
“PERCHE’ NON ESPRIMI MAI QUELLO CHE PENSI!”
Loki cadde. L’aveva previsto ma non ci voleva credere. Non rovinò a terra ma atterrò sulle ginocchia; nel cadere aveva sferrato un pugno al vetro per cercare di reggersi ma gli aveva procurato solo dolore alle nocche. Adesso non voleva più guardare Thor. Non voleva e non poteva. Fissò il pavimento come a imprimerlo nella sua memoria. Seppe solo che quando rialzò la testa Thor se n’era andato. Loki riabbassò la testa di scatto e per la prima volta urlò. Si odiava per aver voluto confrontarlo, e odiava lui per i suoi continui tentativi di comunicare con lui, che poi si arrestavano a metà strada.
Le pareti della cella erano di un vetro spessissimo. Nessuno sentì il suo urlo.
Accasciandosi a terra Loki desiderò di morire. Ma qualcos’altro lo raggiunse. Una fitta alla testa lo fece sobbalzare.
“No.”
Il mondo intorno a lui scomparve. Il caos si impadronì di lui.
“Non di nuovo. Per favore”
I pensieri di Loki morirono e il caos gli devastò la mente.
La sua mano diventava di ghiaccio. Odino lo guardava da un’alta scala dorata.
Pensavo che avremmo potuto unire i nostri popoli, un giorno, costituire un'alleanza, creare una pace durevole, attraverso te.
La Vedova Nera era a pochi passi da lui, terrorizzata.
Grazie… per la tua collaborazione.
Il buio lo circondava. Quel luogo di angoscia dove si era ritrovato.
Pensi di conoscere il dolore? Lui ti farà vedere quanto quel dolore sia… miele.
E infine il bianco. Quello stramaledetto bianco insopportabile.
Loki era convinto che nessun mortale sarebbe mai stato capace di immaginare una sofferenza simile.
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > The Avengers / Vai alla pagina dell'autore: Clint Laufeyson