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Autore: Yuki_o    16/06/2013    5 recensioni
Dal Capitolo 3:
"E' un gioco che non vale la candela, comunque te ne pentirai" insistette lui "probabilmente mi odierai." le si avvicinò sfiorandole appena il viso e sorrise triste.
La voce le tremava mentre gli sussurrava: "Che t'importa? Tanto non ci rivedremo più dopo oggi."
Rise, lui. "Già."
Le sollevò il volto e la baciò.
Piano...
Come reagirà Hope, adolescente cresciuta in fretta, quando scoprirà che l'amore si può prendere "in affitto"?
Senza pretese, spero che vi piaccia!
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo 6

 
Arrivarono all’indirizzo indicato da Justin e si trovarono di fronte a un palazzo dalle mura grigie che più che un condominio sembrava un vecchio magazzino ben tenuto. Lasciarono la macchina accostata sul ciglio della strada e aspettarono che Hope aiutasse Justin a uscire dall’auto, senza nemmeno provare a offrire un aiuto che il ragazzo avrebbe rifiutato.
Tenendosi  alla ragazza raggiunse una porta di metallo pesante e ricoperta di graffiti sorprendentemente belli, che davano l‘impressione di essere stati realizzati apposta e con cura come decorazione più che come atto di vandalismo, e lì cominciò a frugarsi nelle tasche per trovare la chiave con evidente difficoltà.
In pochi istanti le mani di Hope, senza dire nulla, si sostituirono alle sue e dai jeans estrasse un mazzo di chiavi a cui era appeso un portachiavi di pelle punzonata segnato dall’uso.
-Quella più lunga apre questa porta,  invece quella nera è la chiave dell’appartamento.- le disse mentre faceva passare le varie chiavi cercando quelle indicate. Aprì a porta e iniziarono a salire le scale.
-Terzo piano…- aggiunse di nuovo il ragazzo con il fiato che si era già fatto corto.
-Suppongo che sperare in un ascensore fosse ingenuo, vero?-  esalò Hope quando ebbero raggiunto il pianerottolo. Lasciò che Justin si appoggiasse al muro fresco mentre lei inseriva la chiave nella serratura e faceva scattare il meccanismo.
 
 
 
-Nessuno ha pensato che potesse servirvi anche solo un montacarichi, che so, per un trasloco?-
Lui tenne gli occhi chiusi, mentre ascoltava il suono del metallo contro il metallo, lasciando che quegli scatti secchi rintoccassero nella sua mente, cercando di liberarsi dal torpore, se non proprio dalla nausea, che in quel viaggio in macchina l’avevano assalito.
-Questo palazzo ha troppa personalità per lasciarsi banalizzare da qualcosa come un ascensore…-
Le parole che pronunciò sembravano molto più sensate nella sua mente che non una volta uscite dalla sua bocca, ma Hope non trovò necessario farglielo notare.
-Capisco.- si limitò a dire e, forse, capiva davvero.
 
Conosceva ogni angolo del loft: i divani di pelle recuperati da un Night in chiusura, il bigliardo tutto graffiato vinto ad una scommessa, i tappeti a pelo alto e morbido che Marc aveva tanto insistito a sistemare davanti alla libreria fatta di semplici scaffali da magazzino in metallo, che avevano montato insieme.
La parte che però preferiva di tutta la casa era il bar che aveva costruito lui stesso insieme a Big Man*: gli piaceva il legno chiaro, quasi ambrato, così come la sensazione della superficie liscia sotto le mani e il ricordo della fatica e della soddisfazione che aveva provato nel realizzarlo.
Persino mentre barcollava affogando nel buio dell'ambiente e nel profumo dello shampoo di Hope riusciva a muoversi senza sforzo per quegli spazi, e con movimenti goffi riuscì a intravedere il separé metallico che nascondeva il letto ampio con le spalliere in ferro battuto che in quell'oscurità apparivano come strani rampicanti. Ma non era lì che voleva andare.
Strattonando Hope riuscì a dirigere i loro passi verso un’altra zona della stanza. Alle loro spalle immaginava i due ragazzi belli e alti seguirli. Raggiunsero una porta metallica su cui se ci fosse stata luce avrebbero potuto leggere gli scarabocchi che Marc e Celeste avevano realizzato con studiata insensatezza nel corse degli anni.
Lasciò il sicuro appoggio che costituivano le spalle di Hope e si gettò quasi letteralmente sulla porta, aggrappandosi alla maniglia e lasciando che il peso del suo corpo la spalancasse. Barcollò al buio reggendosi a tutto ciò che capitava a portata delle sue mani e infine raggiunse la sua meta lasciandosi sfuggire un gemito di trionfo. Chiuse gli occhi e si lasciò andare.
 
 
Justin aveva abbandonato la presa su di lei con urgenza e si era slanciato contro quella che si era rivelata una porta metallica. Nel buio non distingueva l’ambiente e ora che non avvertiva più neanche il peso già quasi famigliare del ragazzo: provava una singolare sensazione di smarrimento. Senza preavviso il silenzio del loft fu infranto dallo scrociare dell’acqua, in quello che evidentemente era il bagno, dove Justin si era slanciato.
Con cautela fece qualche passo in avanti e tenendo le mani protese tastò il muro cercando l’interruttore della luce che immaginava vicino alla porta. Lo trovò in fretta e premette il pulsante.
L'ambiente era così prevedibile: sanitari bianchi, specchio ampio e la doccia spaziosa in fondo allo spazio. L'anta di vetro era aperta e il ticchettare dell'acqua, che già ricopriva il pavimento e infradiciava il tappeto di spugna davanti alla cabina, si confondeva con il continuo scrosciare che infrangeva sulla pelle di Justin, in piedi ancora completamente vestito sotto il getto caldo, puntellato con le braccia distese alla parete di piastrelle e il capo abbandonato verso il basso, totalmente nascosto.
Osservò per qualche istante quella scena e l'accenno di condensa che stava iniziando a ricoprire ogni cosa prima di voltarsi, senza curarsi di chiudere la porta e passare per la casa accendendo ogni luce con una strana urgenza. Arrivò in sala e poi in cucina e qui trovò Anne e Matt. Seduti su alti sgabelli stavano chiacchierando tranquilli appoggiati al piano di lavoro in acciaio inossidabile. Tutta la cucina, piuttosto moderna era una grande superficie riflettente in cui infinite se stessa le restituivano uno sguardo velato di preoccupazione. Cosa poteva fare?
L'immagine di Justin immobile nella doccia la aveva in qualche modo turbata, le aveva fatto sorgere il tremendo dubbio di aver sottovalutato la situazione e le sue conseguenze.
Non aveva detto nulla, non aveva nemmeno dato segno di avvertire la sua presenza. Stava bene? Male?
Cosa doveva fare?
Cosa? Cosa? Cosa?!
Si avvicinò agli scaffali e ne aprì qualcuno osservando il contenuto:  piatti e tazze per la colazione. Bicchieri alti e colorati. Scatolame e pasta. Riso. The, zucchero, caffè...caffè.
-Anne- chiamò voltandosi, poggiò sul banco davanti ai due fratelli la scatola con il macinato e la osservò in volto mentre le diceva: -prepara un po' di caffè, per favore.-
Non rimase a scoprire quale effetto avrebbero avuto le sue parole. Doveva muoversi. Fare. Qualsiasi cosa.
Tornò nell'ampio salotto e lasciò vagare lo sguardo sul biliardo, la libreria, il bar stracolmo di alcolici. Era una bella casa.
Camminò fino all'armadio ad ante scorrevoli che aveva attirato la sua attenzione e le aprì tutte, una dopo l'altra, prima di tornare a osservare il contenuto. Prese un ampio asciugamano blu scuro, una maglietta a maniche corte su cui si intravedeva ancora il logo stinto dell' Hard Rock Cafè e un paio di bermuda da jogging neri. Con il suo carico in mano tornò a perlustrare  l'ambiente. Sul lato opposto all'armadio, ancora per lo più in ombra, un paravento metallico separava una porzione del loft dalla grande stanza centrale. Si avviò, allarmata quasi da quel cono d'ombra, e cercò subito una fonte di luce. Trovò una lampada a fusto alto con un largo paralume policromo che una volta accesso proiettò una discreta luce aranciata. Pochi mobili costituivano quell'angolo intimo: un comodino ingombro di libri, una chaise long su cui stava uno plaide spiegazzato e un grande letto a due piazze in ferro battuto nero. Lenzuola bianche. Di cotone. Fresche. Hope si avvicinò e poggiò il suo carico con delicatezza per non spiegazzare le lenzuola ben tese.
-Fai come fossi a casa tua...- la voce sarcastica alle sue spalle la colse alla sprovvista. Si voltò di colpo e trattenne un verso di disappunto alla viste che le si offrì: Justin era in piedi di fronte a lei, fradicio, con un sorrisetto irritante stampato sul volto non più verdognolo, ma ancora pallido.
-Hai fatto un lago dietro di te ad andartene in giro così.- replicò lei decidendo di ignorare il suo commento.
 -Muoviti a vestirti. Spero vadano bene queste cose, per la biancheria in ogni caso ti dovrai arrangiare.-  si avviò verso la cucina ma quando fu quasi oltre il paravento si voltò ancora.
-Quando hai finito di asciugarti e ti sei vestito, usa il salviettone per sistemare questo macello: c'è acqua ovunque. Io ti aspetto di là.-
Non seguì risposta, solo l'ennesimo sorriso sempre meno malizioso e più sincero, sempre più irritante.
 
 
Finito di asciugarsi e vestitosi, asciugò l'acqua sparsa sul pavimento alla bell'e meglio per poi lasciarsi cadere stanco di nulla sul letto morbido, assaporando la sensazione del cotone sulla pelle.  Sentiva aroma di caffè provenire dalla cucina. Si erano proprio messi comodi quei piccoli stronzi e si permettevano di trattarlo come un bambino...soprattutto lei. Era stato un coglione a bere così tanto.
Si alzò con calma cercando di mantenersi stabile e lucido. Doveva essere un'ora indecente.
Si incamminò cautamente e una volta arrivato a destinazione faticò a riconoscere casa sua: c'era luce ovunque -non era stata risparmiata neanche un'abat jour- e dalla zona cottura si spandeva aroma di caffè e risate.
-Ehilà! Bentornato Justin! Ci siamo permessi di preparare un po' di caffè, idea di Hope.- disse la bella rossa avvicinandogli la mag fumante. -Questa è per te.-
La prese poggiandoci le mani con cautela per non scottarsi e lasciò vagare un sorriso leggero sul suo viso mentre osservava Hope che sorseggiava, quasi sospettosa, la bevanda calda.
Assaggiò a sua volta e lasciò che ancora per un istante l'unico suono in casa fosse la risata leggera dei due gemelli.
-È molto buono, grazie.-
Non si era rivolto a nessuno in particolare ma non fu particolarmente sorpreso di sentire lei rispondergli.
-Prego.-
Sospirò appena, ma si sentiva allegro. No, non era la parola giusta. Rassicurato. Sì, decisamente meglio.
Stava bene.
-Ho sonno ora ragazzi, voi cosa avete intenzione di fare?-
Lei lo osservava con un cipiglio serio che le dava un'aria buffa: come un piccolo gufo arruffato.
-Portiamo Hope a casa appena ha finito il suo caffè.- annunciò lapidario il ragazzo alto e moro che aveva fin da subito mostrato una garbata antipatia nei suoi confronti. Reciproca.
-Capisco.-
-Ah, a proposito Scricciolo: ha chiamato Nonna Rose per chiedere dove fossi. Dice che non riesce a raggiungere il tuo cellulare.- si intromise allegramente la rossa.
Hope prese il cellulare e con calma osservò lo schermo nero.
-Scarico.- annunciò tranquilla.
-Le ho detto che avresti dormito da noi.-
Lei non rispose o annuì continuando invece a bere.
-Vivi con tua nonna?- si udì chiedere. Non aveva realizzato di aver espresso la domanda ad alta voce finché non aveva sentito la risposta di Hope.
-I miei sono reporter free-lance e mia sorella ha un suo appartamento insieme ad una compagna di college.
Quindi non è un problema se non torni a casa la notte...- non era una domanda la sua.
Justin la osservò sollevare leggermente la testa con un sorriso che sembrava esserle sfuggito per caso.
Sentiva degli sguardi curiosi su di sé e avrebbe voluto sapere fino a che punto quei due ragazzi avevano capito chi fosse lui...e chi fosse Hope.
Lei appoggiò la tazza con rintocco secco sul metallo lucido e si alzò subito seguita dagli altri due.
-Grazie del caffè.- disse il ragazzo in tono formale.
-Grazie a voi...di tutto.- rispose sorvolando sul sorriso smagliante della sorella -non sapeva nemmeno come faceva a essere così sicuro che fossero gemelli.
Si avviarono alla porta e li seguì per pura inerzia. L'abitudine di un host.
Aprirono la porta e Hope fu l'ultima a varcarla. Sulla soglia si fermò con la mano ad accompagnarla.
-Buonanotte Justin.- disse e fu come tornare indietro a un'altra notte, un'altra stanza. Si mosse d'istinto e fu più semplice di quanto avrebbe potuto immaginare. Spaventoso ed esaltante.
Posò una mano sulla sua spalla e un bacio leggero sulla sua fronte.
-Buonanotte Hope.-
Chiuse la porta dietro di lei e tornò in cucina.
Luce. Luce ovunque.
 
 
 
Luce.
Si svegliò in una stanza piena di luce immersa in un dolce calore. Hope aprì gli occhi e si ritrovò incatenata in un abbraccio morbido ed intricato, senza sapere dove iniziassero le braccia di Anne e dove finissero quelle di Matt.
L’avevano trattata come un peluche.
Trattenne con uno sbuffo la risata che le voleva sfuggire e con dolcezza iniziò ad accarezzare i capelli di Matt in un gesto che non le era mai sembrato altro che naturale.
Lui aprì riluttante un occhio e il disappunto che vi lesse minacciò di rubare un’altra risata. Si alzarono entrambi con attenzione per non svegliare Anne, preparandosi ad andare a  scuola.
Nessuno ama davvero la scuola: si può amare lo studio, l’atmosfera della classe, ma la scuola beh…no. Non a 17-18 anni almeno.
Hope aveva sempre in qualche modo amato la routine. Una  serie di gesti famigliari  e rassicuranti da ripetere ogni giorno, sempre per lo più identici.
Arrivare al cancello e osservare Matt fumare la sua sigaretta, entrare a scuola e bere un caffè al distributore prima della lezione, sedersi al proprio banco, poggiare la tracolla su quello vuoto di Anne al suo fianco e guardare fuori dalla finestra.
Rassicurante, innocuo e intimo. Un legame invisibile con quel luogo che da cinque anni era un’altra forma di “casa”.
Si voltò automaticamente verso la porta all’avvicinarsi di risate e schiamazzi più o meno famigliari e si concesse qualche istante per lasciare vagare lo sguardo sul suo profilo morbido e sfacciato. Non faceva del male a nessuno se non a se stessa del resto.
Si sfiorò la fronte distrattamente mentre distoglieva lo sguardo e tornava a concentrarsi sulla finestra: cercava sempre di riprodurre quella sensazione di ali di farfalla che aveva  provato quella sera, quando erano state labbra morbide e sottili a toccarle la fronte.
Justin l’aveva guardata con una strana espressione negli occhi, che avrebbe potuto definire tradita -se non da lei, probabilmente da se stesso. Era stato un bacio dolcissimo, come della “buona notte” e le piaceva ricordarlo.
Che poi ormai da una settimana lo stesse richiamando alla mente proprio in quei momenti in cui la presenza e persino il ricordo di Tom diventavano troppo pesanti, troppo amari, beh questo poteva anche fare finta di  non averlo notato, no?
Del resto non faceva del male a nessuno, se non a se stessa…
 
 
 
Matt attese ancora qualche istante, in piedi accanto alla cancellata puntellata di ruggine del parcheggio scolastico, prima di spegnere la sigaretta mezza consumata che non aveva quasi portato alle labbra e prendere il cellulare.
Nessuna chiamata, nessun messaggio, solo qualche notifica da facebook e twitter.
Digitò veloce un messaggio e lo inviò, dopodiché con passo tranquillo si diresse verso il parcheggio mezzo vuoto della tavola calda di fronte alla scuola. Salì in macchina e mise in moto, procedendo senza fretta nel traffico delle 8.30 del mattino.
Tra le playlist che Anne continuava a preparargli, incurante del totale disinteresse del fratello, ne scelse una a caso e lasciò che la musica coprisse il rumore dei clacson, del vecchio motore della sua Impala e anche la sua voglia di accendersi un’altra sigaretta.
Aveva buona memoria e trovò subito la strada giusta, nonostante l’unica volta che l’avesse percorsa fosse notte e lui non esattamente sobrio.
Parcheggiò appena oltre il portone di ingresso, una porta in metallo ricoperta di graffiti sorprendentemente belli, di quelli che più che a degrado ti fanno pensare a talento.
Spinse, e i cardini ben oliati ruotarono silenziosamente facendo apparire davanti a lui il profilo di una scala, salì fino al terzo piano e si fermò davanti alla porta dell’unico appartamento. Aveva avuto l’idea di tornare in quel posto fin da subito, dal giorno dopo la loro piccola missione di salvataggio quella notte da Leroy, e dopo molta riflessione aveva deciso che quella era di sicuro la peggiore idea che avesse mai avuto in vita sua. Seriamente, la peggiore.
Il fatto che stesse comunque su quel pianerottolo non era quindi altro che l’ultima conseguenza della sua disperazione.
Prese il cellulare dalla tasca  e controllò di nuovo: un paio di messaggio di Hope, una chiamata persa da Anne, le stesse notifiche di facebook e twitter.
Niente.
Mentre riponeva il cellulare di nuovo nella tasca lo sentì vibrare e, per quanto si sentisse una stupida adolescente, non riuscì a impedirsi di tirarlo nuovamente fuori e osservare speranzoso lo schermo.
Solo un’altra notifica da facebook. Esasperato aprì la sua pagina e sul suo wall trovò quell’ultimo post.
Poche righe, lyrics di una canzone.
Si morse l’interno della guancia.
 
Tom Wallmore
to Matthew Douglas
I lost myself yet I'm better not sad
                Now I'm closer to the edge
Time to go down in flames and I'm taking you
                Closer to the edge
 
Ripose il cellulare per l’ennesima volta e bussò alla porta. Sentendo oltre la soglia dei passi avvicinarsi strinse i denti e represse la tentazione di voltarsi e andarsene, salire in macchina e andare la dove tutto il suo essere lo stava dolorosamente spingendo a catapultarsi: da Tom.
Quella era la peggiore idea che gli fosse mai venuta e sarebbe stato meglio che fosse andata in porto…e in fretta.
 
 
 
“Closer  to the Edge”, 30 Seconds to Mars
 
I don't remember one moment I tried to forget
I lost myself yet I'm better not sad
Now I'm closer to the edge
 
It was a a thousand to one and a million to two
Time to go down in flames and I'm taking you
Closer to the edge
 
No I'm not saying I'm sorry
One day, maybe we'll meet again
No I'm not saying I'm sorry
One day, maybe we'll meet again
No, no, no, no
 
Can you imagine a time when the truth ran free
A birth of a song, a death of a dream
Closer to the edge
This never ending story, paid for with pride and faith
We all fall short of glory, lost in ourself
 
No I'm not saying I'm sorry
One day, maybe we'll meet again
No I'm not saying I'm sorry
One day, maybe we'll meet again
No, no, no, no
 
No, no, no, no
I will never forget
No, no
I will never regret
No, no
I will live my life
No, no, no, no
I will never forget
No, no
I will never regret
No, no
I will live my life
 
No I'm not saying I'm sorry
One day, maybe we'll meet again
No, no
No, I'm not saying I'm sorry
One day, maybe we'll meet again
No, no, no, no
 
Closer to the edge
Closer to the edge
No, no, no, no
Closer to the edge
Closer to the edge
No, no, no, no
 
Closer to the edge
 
 




 Angolo dell'autrice

*si tracina arrancando con le unghie sul pavimento*
Hello everybody! Stavolta avete seriamente rischiato di perdermi, e con me i futuri aggiornamenti :P
Suvvia, non disperatevi, non è successo ;)
Mi scuso innanzi tutto, per questo ritardo, che per una volta –giuro!- ha avuto motivazioni serie, nel senso che dovevo dare un bel po’ di esami, e sono ancora in ballo, quindi ho scritto a rilento, capoverso dopo capoverso, e con tanto amore *_*
Spero che gli sforzi siano serviti ;)
Scopriamo cose interessanti come l’arredamento della casa di Justin, il nome della nonna di Hope e non meno importanti i cognomi di Tom e Matt!! Dai, non potete lamentarvi ;)
Nel prossimo capitolo avrete moooolte scene diciamo…ANGST! (il maiuscolo è un indizio considerevole), tutti saranno messi malissimo tranne pochi eletti, però ci sarà da divertirsi…soprattutto per me *çç*
Considerate questa come la migliore delle notizie: so già, per lo più, cosa scrivere! È un ottimo inizio per me *_*
Ora vi lascio e voglio farvi notare solo un’ultima cosa: la canzone che ho scelto, oltre a essere meravigliosa, oltre a essere cantata/ suonata da degli esseri umani che incarnano la perfezione (Jared Leto WTF!!) è anche già apparsa nel capitolo 3, sempre riferita a Tom…ve la ricordate? ;)
 
Ora vi lascio, e aspetto speranzosa i vostri pareri *_*
 
Un bacione,
 
boby (alias Yuki_o)
 
  
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