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Autore: Gracedanger    16/06/2013    2 recensioni
"Fifona!" urlò a pieni polmoni dal fondo della strada. Mi voltai di scatto.
"Come scusa?"
"Hai sentito bene. Sei una fifona, Elizabeth."
Il solo fatto che non mi avesse chiamata 'Lizzie' come faceva inevitabilmente dal giorno in cui ci eravamo conosciuti, mi fece uno stranissimo effetto. Stavamo davvero litigando?"
...
E se Frankie fosse stato adottato? E se Nick fosse costretto sulla sedia a rotelle? E se Joe fosse così meraviglioso da non sospettare mai l'enorme peso che si porta dietro giorno dopo giorno? E se stare sola per Elizabeth, che si era trasferita in quella minuscola città con il suo stesso nome, non la rendesse più così felice come prima? E se avesse bisogno di qualcuno ma ci rinunciasse per più grandi motivi? E come hanno fatto due incidenti stradali a cambiare la vita di così tante persone?
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Erano quasi le cinque di pomeriggio.
Quasi.
Per la precisione erano le 4 e 47. Ricordo bene quell’orario. Ricordo bene la stanza dalle pareti bianche nella quale mi trovavo. Ricordo bene mio padre che camminava avanti e dietro per il corridoio con la sigaretta ancora spenta in mano, e non si fermava, faceva due passi veloci e poi si girava e ne faceva altri due, aveva lo sguardo fisso sul pavimento, perso nel vuoto. Ricordo il profumo del maglione di mia madre, che avevo impregnato di lacrime. Ricordo la mia espressione quando il veterinario mentre si levava i guanti bianchi con la testa bassa, ci comunicava l’ora del decesso. 4 e 47. Maledette, dannate 4 e 47.
Dopo circa mezz’ora, ci consegnò una scatola. Una scatola grande. Bianca anche questa e molto pesante. Non riuscii a guardarla per più di un secondo.
Una parte di me era in quella scatola. Era come se avessi perso la più cara amica che avevo e non riuscivo a trovare le parole per urlare il dolore che provavo dentro.
 
 
Non andai a scuola per tre giorni, un bell’inizio, no?
Furono tre giorni di messaggi e chiamate alle quali non risposi.
Joe mi aveva chiamato 23 volte. E per 23 volte non ho trovato il coraggio di accettare la chiamata e rispondergli.
Mi mancava da morire. Ma credevo che non sarei stata molto di compagnia con il mio umore “da funerale” era proprio il caso di dirlo.
Il pomeriggio del terzo giorno il campanello di casa suonò.
Ero sola in casa, e cercavo di dormire, arrivai alla porta trascinandomi sulle pantofole.
Aperta la porta, sentii il cuore arrivare in gola e tornare indietro nel giro di un nanosecondo.
 
“Joe, che ci fai qui?!”
“Ti ho accompagnata a casa,non ricordi?”
“Già, ma perché sei venuto?”
“Non mi hai risposto. Ti ho chiamato..”
“Si, non ero dell’umore.”
“Si ho saputo..”
“Come?”
“E’ una lunga storia..”
“Ah, ma non mi hai ancora risposto. ”
“A cosa?”
“Perché sei venuto?”
“Ma quante domande fai?”
“Mai abbastanza, avanti rispondi”
“Volevo vederti, tutto qui, d’accordo?”
Il battito cominciò ad accellerare e le mani a tremare.
“Si…cioè grazie..cioè.. anch’io..”
Il suo sguardo sembrò illuminarsi mentre farfugliavo come un idiota.
“Vuoi entrare?”
“Si…cioè grazie…cioè…” mi prese in giro.
Gli diedi una spinta sulla spalla e risi.
Portai del succo d’arancia e ci sedemmo sul divano.
La pallina di Molly era tra i cuscini, Joe la prese e me la porse.
La presi e sorrisi, cercando di trattenere le lacrime.
“Non ci ha mai giocato, era troppo pigra per farlo, mi ricordo i pomeriggi passati a lanciarla e poi alla fine ero io che correvo a prenderla..”
 
“Come stai, Lizzie?”
“Alla grande, non si vede?”
“Finiscila. Ero in pensiero per te. Vuoi parlarne?”
“No.”
“Provaci.”
 
Prese un cuscino e lo mise sulle sue gambe, mi fece segno di sdraiarmi lì. Mi accucciai sulle sue gambe, mentre con le dita giocava con i miei capelli.
“Ci conosciamo appena, Joe”
“Siamo amici, giusto?”
“Già, ma non so praticamente nulla di te..”
“Cosa vuoi sapere?”
“Non so, il tuo cognome, quanti anni hai, che lavoro fai..”
“Non è importante, Lizzie.”
“E cosa importa?”
“L’importante è che tu sappia che io sono tuo amico tutto qui.”
“D’accordo, allora anche io devo mantenere tutto questo mistero, no?”
“Fai pure, ma io so tutto di te.”
“Sei un bugiardo.”
“E invece no, io so cosa pensi, so cosa non dici, e so qual è la tua espressione quando ti tieni tutto dentro, ed è quella che vedo sul tuo volto adesso.”

 
Cominciò ad accarezzarmi i capelli,e io sentii di non riuscire a fermare più le lacrime.

 
Rimanemmo in silenzio, due sconosciuti, uno tra le braccia dell’altra.


Il momento più intimo che si possa mai avere con uno sconosciuto.

 
Dopo mezz’ora di pianti sentii la maniglia della porta abbassarsi, era mia madre che rientrava da lavoro. Mi asciugai di corsa le lacrime, io e Joe ci mettemmo in piedi davanti al divano, come se avessimo fatto qualcosa di brutto, qualcosa da nascondere a chi non avrebbe potuto capirlo.
“M-mamma, lui è Joe.”
Mia madre lo squadrò da capo a piede, più sorpresa che sospettosa, e non appena Joe le porse la mano, lei sfoderò un gran sorriso.
“E’ un piacere conoscerti Joe caro! Lizzie non porta mai amici a casa, è una bella novità.”
 
Joe caro?! Non porta mai amici a casa?! Bella novità?! Lizzie?!
 
Avrei voluto sprofondare dalla vergogna, ma non ne ebbi il tempo perché Joe si girò verso di me con l’aria divertita e mi diede un buffetto sulla guancia. Adorabile quanto odioso.
Lo trascinai via prima che mia madre prendesse l’album delle mie foto da piccola.
Arrivati alla porta, Joe si fermò pochi secondi sull’entrata.
“Non sparire, Lizzie.” Mi diede un bacio sulla guancia e corse via. 
Mi lasciò lì, immobile, priva delle certezze che mi ero costruita da sola, gli occhi spalancati e il respiro pesante, prima di rendermi conto di cosa fosse successo e di quanto ignote fossero tutte quelle emozioni che risvegliava dentro di me passarono all’incirca dieci minuti.
Joe mi era esploso nel cuore.
Boom.
  
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