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Autore: Alina_Petrova    17/06/2013    5 recensioni
Tratto dal primo capitolo:
Passano alcuni minuti, il treno parte lentamente e il cellulare vibra nelle mie mani. Apro il messaggio per leggere la risposta dell'affittuario, ma invece di quello ci trovo una sola parola:
"Torna".
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, OOC, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Non c'è un "noi".
 
Mi alzo in piedi e mi rendo conto che non riesco a respirare. Metto la mano sul cuore e premo forte, perché sarebbe capace di saltarmi fuori dal petto, spaccare il vetro del finestrino solo per cadere a terra davanti ai tuoi piedi. E sai una cosa... certo che tornerò. Scenderò alla prossima stazione, prenderò un taxi e verrò di corsa indietro. E se non ci sarai più lì sulla banchina in quel momento, andrò a casa. Non è più casa mia, ma io mi metterò ad aspettare lì, vicino al portone, nella speranza che tu possa venirmi a prendere come facevi prima. Naturalmente, se mi vorrai ancora trovare. Se non avessi sbagliato il numero. Se il tuo cellulare non fosse stato rubato. Se io non avessi avuto semplicemente una allucinazione. Se veramente mi avessi scritto quel messaggio… allora potrei aspettarti per l'eternità.
Io non so a cosa appigliarmi, a chi rivolgermi, non so cosa fare... né perché sono ancora qui, perché non mi sono cresciute le ali, perché non ho bucato il soffitto del treno per volare fuori... da te. All'improvviso sento un fischio e cado all'indietro, sbatto la testa contro il muro e atterro sul sedile, guardandomi intorno imbarazzato e negli occhi dei vicini nello scompartimento, che fino ad allora non avevo nemmeno notato. Il primo ed il più spaventoso pensiero: qualcuno si è buttato sotto il treno. Il secondo, quello che per poco non mi fa scoppiare l'aorta: te. Ma no... sento l'annuncio dall'altoparlante.
"Gentili passeggeri, vi preghiamo di scusarci per il ritardo della partenza. Uno dei passeggeri ha dimenticato qualcosa di molto importante. Farlo tornare impiegherà soltanto un paio di minuti, rimanete ai vostri posti."
Probabilmente il contenuto dell'annuncio era diverso, ma è questo che sentono le mie orecchie. Qualcuno ha dimenticato qualcosa di importante. Questo "importante" bisogna che torni indietro... Ma l'importante non è stato dimenticato, l'importante ha cercato di scappare. E sì, all'importante gli hanno ordinato: "torna."
Non mi interessa del cappotto e della borsa, mi precipito nel corridoio e corro verso la porta e quando mi fermano, dico in un soffio, con la voce scintillante dalla felicità:
- L'importante: sono io...
Mi lasciano passare senza fare altre domande, soltanto un vicino mi corre dietro brontolando qualcosa a proposito della borsa e del cappotto che mi sono dimenticato... e di cui me ne frego altamente. Perché l'importante sono io... Cosa potrebbe esserci meglio di questo?
Esco fuori e vengo investito dall'aria fredda di novembre. Mi abbraccio, stringendo di più la sciarpa e guardo sulla destra. Gli occhi mi lacrimano dal vento, ma ti vedo subito con il tuo cappotto color senape. Non riesco a distinguere il tuo viso, ma sento il tuo sguardo. E allora mi giro e faccio un passo. Primo, secondo, terzo... Non mi permetto di scattare a correre, ma cammino abbastanza velocemente e dopo una decina di secondi mi fermo di colpo, ad un passo da te.
- Ciao. Come ti va la vita? - dici tu in un sussurro, allungandomi la mano. Inspiro e allungo la mano in risposta. È lo stesso contatto che c'è stato fra noi decine di volte, ma soltanto oggi, in questo istante acquisisce un altro significato. Una scintilla corre sotto la pelle e mi si blocca il respiro e dal petto scappa un incontrollabile ed incontenibile singhiozzo.
- A meraviglia. - sussurro a fatica, cercando di calmare il subbuglio dentro di me. Tu mi lasci la mano ma non la nascondi nella tasca; la alzi e, per la prima volta, mi aggiusti la sciarpa sul collo. Come ho sempre desiderato, come ho sempre sognato. Con la punta dell'indice sfiori la vena che pulsa all'impazzata e il mondo intorno a noi si rimette in movimento. Mi sembra di stare per perdere i sensi.
- Hai freddo? - mi domandi con la voce ancora più bassa e Dio, in questo momento sarei pronto a morire perché meglio di cosi, probabilmente, non sarà mai.
- No. - scuoto la testa, cercando di mandare indietro la lacrime. Tu sorridi guardandomi, oh Signore... guardandomi negli occhi!
E mentre affogo nel loro incredibile colore, qualcuno mi butta sulle spalle il cappotto, lascia accanto la borsa e dice con disappunto che sono uno sbadato. Mi chiedono tra quanto torno sul treno e tu rispondi:
- Lui non tornerà!
Ma io non riesco a capire di cosa stai parlando. Sono già tornato. Come tu mi hai chiesto...
Andiamo verso la tua macchina: tu porti la mia borsa, io porto il mio enorme cuore pulsante. Non mi tocchi più, non mi guardi e non dici niente. Io so di che si tratta. Semplicemente hai già capito quello che hai fatto. Ti sei reso conto di avermi lasciato qua. Di tua volontà hai lasciato il peso attaccato al tuo piede. Ti sei aperto il ventre e hai ricucito il tumore al suo posto. Capisci che ti sei fregato con le tue stesse mani, ma sei troppo gentile per dirmelo. E se adesso mi portassi su un ponte e mi dicessi di saltare giù, lo farei, lo giuro. Io però non lo dico, ho tanta paura di rompere il silenzio. Ma tu sei in grado di leggere i miei pensieri e sai che io accetto tutto, che sono pronto a tutto.
Metti la borsa nel bagagliaio ed entriamo in macchina. Non mi hai mai aperto lo sportello prima, non lo fai nemmeno oggi. Non sono una donna dopotutto, è giusto così. Soltanto dopo averti conosciuto ho capito quanto vorrei essere una donna. Solo perché tu potessi amarmi liberamente. Perché se hai tante donne, è normale. Sarebbe solo un motivo in più per le battute e per gli sguardi irrispettosi. Invece, se avessi me, cadresti in una voragine. Io non voglio farti cadere, rimarrò il tuo nessuno.
- Kurt. - rompi il silenzio, finalmente, mettendo le mani sul volante e con gli occhi fissi davanti a te. Guardo il tuo profilo nella semioscurità: ti amo così tanto. Sei così bello. Sono pronto a morire per te... Senza di te.
- Sì? - chiedo io, sorpreso di quanto la mia voce sia alta a confronto con la tua, così brutta e stridula. Ma tu non rispondi. Giri la chiave e metti in moto.
Ci fermiamo in un posto che io non conosco, guardo dal finestrino, poi guardo te e di nuovo fuori. Tu sorridi. Dio, quanto sei bello... non non me ne accorgo, che sei già uscito e torno in me soltanto quando mi apri la portiera con la mia borsa in mano. Io ti seguo in silenzio dentro una casa, tu ne apri la porta, accendi la luce e io mi blocco sulla soglia, sorridendo come un idiota perché capisco che questa è la "tua tana". Mi hai raccontato che ti nascondi qui quando le tue donne ti rendono la vita impossibile. Non ti ho mai chiesto di farmela vedere, non ci ho nemmeno pensato veramente. Ed eccoti qui, davanti a me che allarghi le mani come per dire "vedi, è questa".
- E chi mi porterà l'acqua con il limone? - tento una battuta, ma tu non percepisci il tono scherzoso e te ne vai. Torni dopo un paio di minuti con in mano un bicchiere d'acqua con il limone e io sorrido.
- Sul serio? - domando io, prendendo il bicchiere e facendo un sorso, perché anche adesso potrei rimettere.
- Emm... sì. - dici tu e chini la testa di lato. - La bevi sempre... A proposito, perché?
- Non ha importanza. - Mi stringo nelle spalle e appoggio il bicchiere sul tavolo. Tu fai un passo verso di me e mi tendi le mani: impiego troppo tempo per capire che vuoi semplicemente prendere il mio cappotto e in questo momento qualcosa dentro di me si stringe per la delusione. Mi tolgo il cappotto e la sciarpa e li do a te. Mi libero delle scarpe, restando con i calzini neri e tu mi fissi i piedi un po' troppo per i miei gusti.
- Levati i calzini. - mi chiedi a bassa voce e io obbedisco non osando nemmeno guardarti. Non appena i miei piedi nudi toccano il parquet, tu inspiri con forza, facendomi alzare la testa spaventato. I tuoi occhi sono spalancati e mi fissi ancora i piedi con i pugni stretti. Sento le mie guance arrossire, sono confuso e a disagio, non sono abituato a tutta questa attenzione verso i miei piedi nudi.
- È come immaginavo. - mormori così piano che non riesco credere a queste parole.
- Blaine? - il tuo nome scivola dalla mia lingua e vorrei trattenerlo con le mie labbra.
- Sì? - nei tuoi occhi si accende qualcosa di nuovo quando mi guardi.
Ma io non rispondo e mi inoltro nell'appartamento.
- Grazie. - sento la tua voce dietro di me: mi fermo nel soggiorno e mi giro lentamente.
- Per che cosa?
- Sei tornato. E non mi domandi niente. Non mi chiedi mai niente.
- Mi sono abituato.
- Lo so questo. Perdonami.
- Perdonarti? - chiedo stupidamente, sedendomi sul divano e guardandoti con gli occhi spalancati. Per che cosa dovrei perdonarti? Per la felicità che sento? No, questo mai.
Ma tu non rispondi, ti avvicini semplicemente e ti siedi accanto a me. Non ci sfioriamo né con le ginocchia, né con le mani, ma io inspiro il tuo profumo. Per la prima volta me lo godo apertamente, chiudendo gli occhi. Ed emetto un piccolo, quasi inudibile lamento.
Quasi esco fuori dal mio corpo e mi sollevo in cielo, quando sento le tue dita sulle mie. E non apro gli occhi perché ho paura che tutto quanto possa risultare un sogno. Vieto al mio cuore di palpitare, mentre scivoli con le punte delle dita dalle mie unghie, sulle falangi, sulle nocche, fino al polso. Lì le tue dita afferrano l'osso sottile e lo stringono sensibilmente, costringendomi ad aprire gli occhi ed incontrare l'oro dei tuoi.
- Non posso lasciarti andare.
- Non lasciarmi andare.
- Sono impazzito? - chiedo io con la voce piatta, continuando a guardarti negli occhi. Tu non puoi essere reale. Io non so cosa succederà dopo. Non so cosa succederà domani.
- Anch'io.
- Finirai per uccidermi? - questa frase, quasi fuori luogo, mi esce in un lamento. Ma tu sai cosa intendo. Lo capisci, oppure lo intuisci, oppure semplicemente lo senti. Perché sollevi la mia mano dal divano.
- Non te lo meriti.
- Noi...? - un singhiozzo febbrile non mi permette di finire, perché in questo istante mi bruci la pelle del polso con il tuo respiro e io quasi svengo quando mi rispondi, posando le labbra sulle vene all'interno del polso.
- Non c'è un "noi".
   
 
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