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Autore: clif    17/06/2013    1 recensioni
è un parallelo con la storia "Leon" scritta dall'autore Leonhard. in questa fanfiction assisteremo agli eventi accaduti nella storia precedentemente menzionata, ma dal punto di vista del coprotagonista maschile (Leon).è una storia estratta dal film di Silent hill e ambientata 30 anni prima dei suoi macabri eventi: assisterete alla vita, quasi, normale di un bambino appena trasferitosi nella macabra città.
ne approfitto per salutare tutti e per ringraziare Leonhard che mi ha dato il permesso di scriverla
buona lettura...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alessa Gillespie, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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6.
Leon non si era ancora mosso dalla sua posizione: non riusciva a vedere nulla in quel modo ma poteva sentire due voci fuori dalla porta. Erano le voci di due adulti: la prima era chiaramente del padre, mentre la seconda era di una donna; non aveva mai sentito quella voce, probabilmente era della madre di Alessa. Sarebbe volentieri andato incontro ad Alessa, ma qualcosa gli impediva di farlo: era da tempo che non gli veniva un attacco di timidezza come quello. Poco dopo sentì la porta chiudersi e un piccolo rumore di passi venire verso di lui si girò e due piccole iridi blu incontrarono le sue iridi grigie: sul volto di Leon comparve un sorriso.
“Ciao Alessa!” saluto, visibilmente felice di vederla. “Ce l’hai fatta! Vieni, facciamoci un giro”. Lei sembrò guardare prima il dottore poi sua madre, in cerca di un cenno di consenso.

“Vai pure” disse Kaufmann benevolo. “Leon sa dove andare per non disturbare i pazienti”. Prima che lei potesse fare qualunque cosa,  Leon la prese per il polso e la accompagnò fuori dalla stanza.
“Vieni: ti faccio vedere la mia camera preferita” disse il ragazzo. Quando stava per uscire passò accanto alla madre di Alessa. Era una giovane donna, molto bella, con dei capelli rossi e gli occhi blu; probabilmente Alessa aveva preso gli occhi della madre ma i capelli non le assomigliavano; avrebbe chiesto se li aveva presi dal padre, ma dato la situazione preferì tacere.

Scesero nei sotterranei dell’ospedale. Leon le prese la mano. “Qui sotto è facile perdersi” disse, sorridendo. “Seguimi”. Aveva lasciato le cartoline nella sua stanza (alias rifugio segreto) apposta, per avere una scusa per portarci Alessa. L’accompagnò per i corridoi freddamente illuminati dell’ospedale, incrociando qualche barella ed un paio di sostegni per flebo. Tutto aveva un’aria sinistra e le ombre proiettate contro i muri erano a dir poco sinistre. Il piccolo sentì la mano, della sua amica, tremare: forse aveva paura, pensò così di accelerare il passo. Arrivarono in fondo ad un corridoio, davanti ad una porta. Accanto una targhetta di ferro che indicava il numero della stanza.
“In questa stanza ci sono morte cinque persone per malfunzionamento delle macchine” disse il bambino, entrando. “Così nessuno vuole più essere messo qui, ma a me piace: è grande, pulita e ci sono tantissime cose strane”.
 
“Ci sono morte…delle persone?” commentò Alessa, timidamente. Lui sorrise e la spinse delicatamente dentro.
 
“Sì, ma non ci sono fantasmi: ho controllato” replicò. La prese sul comico per cercare di farla sciogliere un po’: lei tirò fuori un sorriso divertito (sembra che abbia funzionato); Leon mise sul pavimento il tappeto, che poco prima era arrotolato e poggiato al muro, e invitò Alessa a sedersi. La stanza d’ospedale era piena di libri e fumetti ed il lettino, anziché le solite candide lenzuola d’ospedale, aveva una coperta blu.
 
“Io dormo qui quando papà ha le emergenze” disse. “Non mi lascia a casa da solo”. Si sedettero sul tappeto rosso.
 
“Ehm…” cominciò Alessa. “Se mi fai vedere quelle cartoline ti faccio il disegno…”.
 
“Ma di già?” chiese lui. “Il disegno dopo, con calma. Le cartoline te le posso anche prestare, non c’è problema. Dimmi piuttosto perché i nostri compagni ti trattano così”.
L’ultima volta non aveva avuto modo di sentire, accuratamente, la sua versione: aveva sentito solo le sciocchezze dei compagni, che l’accusavano di stregoneria o roba simile; le uniche parole che Alessa aveva detto erano di autoaccusa. Guardò la bambina e vide che stava scuotendo la testa.

“Io non ho il papà” rispose. “E per questo, credono che io sia figlia del demonio. Mamma mi ha raccontato che lui se n’è andato lei è rimasta incinta e non si è più fatto vedere né sentire”.
 
“Non hai altri parenti?”.
 
“Ho una zia: è una dei purificatori. Ho chiesto a mia madre perché non le chiedeva di purificare anche me, ma lei ha scosso la testa e mi ha detto che quando sarò più grande ce ne andremo di qui e non sarò più trattata così. Prima di andarmene, però, voglio finire le elementari”.

“Ah…”: Leon fece una faccia strana. Non voleva che Alessa partisse proprio ora che l’aveva conosciuta.  “E dove vi trasferirete?”.
“Non lo sappiamo ancora” replicò lei. “Forse a Brahams, vedremo”.

Oltre il danno anche la beffa: Proprio ora che si era trasferito a Silent Hill, Alessa, sarebbe andata a vivere nella sua città natale. Era rimasto molto amareggiato a causa di questa scoperta, ma non voleva far preoccupare Alessa ne farla sentire in colpa: così fece finta di niente. Parlarono tantissimo. Non di cose importanti: di sciocchezze, stupidaggini; però al’improvviso suonò una campanella. Leon si alzò.

“Ops, mi sa che dovete andare” disse, alzandosi. Sperava che quel momento non sarebbe mai arrivato. Il   bambino prese delle cartoline da un cassetto e gliele porse. Ritraevano tutte delle foto di un immensa spiaggia assolata. E il mare. Erano le foto che Leon aveva collezionato in tutti quegli anni: raffiguranti il mare. “Ecco, queste sono tutte le cartoline del mare che ho” disse. “Se ti va, puoi prenderle come spunto, ma vorrei qualcosa di tuo”. I due uscirono dalla sala senza più parlare.

Riaccompagnò l’amica all’ufficio del padre; quando vi entrò noto suo padre e la madre di Alessa mentre si scambiavano una stretta di mano. “Alessa dobbiamo andare: ti sei divertita?” le chiese la donna dopo averle carezzato una guancia; Alessa guardò per un attimo Leon negli occhi e annuì timidamente. Dopo che i quattro finirono di salutarsi entrò Lisa che accompagnò fuori la signora Gillespie e Alessa.

Leon rimase a guardare fuori dalla finestra fino a che la macchina di Alessa non era lontana. “Donna molto simpatica!” disse il padre al bambino; il dottor Kauffman non aveva avuto altre donne all’infuori della madre di Leon e difficilmente faceva commenti su di esse. Leon non voleva che tenesse rapporti solo con lui. “Proprio poco fa ho saputo di un imprevisto al Central hospital* e mi hanno chiamato per un operazione e alcune faccende burocratiche…” Leon ascoltava il padre, ma non riusciva a capire cosa centrasse con lui: la risposta arrivò subito “…siccome dovrò stare via per alcuni giorni e Coleman non potrà badare a te dovrai venire con me”. Il bambino rimase molto colpito dalla notizia (dovrei lasciare Alessa da sola?); sapeva di non poter ribattere, dato che la situazione non dipendeva dal padre.

“Quando partiremo?” Chiese lui. “tra tre giorni! Partiremo verso l’alba e torneremo dopo una settimana” dopotutto non era tanto tempo: il vero problema era dirlo ad Alessa.

*l’ospedale di Brahams
  
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