Ero stata costretta a fuggire. Costretta non da
qualcuno in particolare, ma da tutta una serie di cose che mi avevano
profondamente convinta che la "vita fa schifo", o meglio "life
sucks"...rende decisamente meglio. La banalità dello scorrere dei giorni
tutti uguali, uno identico all'altro mi stava soffocando, e sapevo che non
avrei retto ancora per molto. Così la decisione di fuggire, provare a
ricominciare tutto d'accapo in un altro posto...sì, ma quale?
Ogni posto è identico ad un altro quando non hai meta,
quando ci sono persone che se ne fregano che tu sia andata via, ed altre di cui
a te non importa se soffrono per la tua partenza.
Quando hai la consapevolezza di essere sola al
mondo, circondata da persone che non ti capiscono, che non sanno apprezzarti
per come veramente sei, tutto assume un' altra prospettiva. Improvvisamente ed
istintivamente ti proteggi dagli altri e ti barrichi dentro il tuo castello
dalle mura impenetrabili, come quelli che popolavano le tue fiabe da
bambina...e nonostante tutto, nonostante tu abbia capito che la realtà è ben
diversa dalla fantasia, c'è una parte di te, la tua parte migliore, che si
nutre e vive di sogni e sa che un giorno arriverà qualcuno a portarti via dalla
prigione in cui tu stessa ti sei intrappolata e, come nelle migliori fiabe, ti
porterà via con sè in un posto felice.
*
La pioggia scorreva lievemente, rendendo
l'atmosfera circostante umida ed ovattata, dandomi l'impressione di essere in
una bolla di sapone.
La strada davanti a me era deserta, e solo il tocco
dolce e cadenzato delle gocce di pioggia sulle mie braccia nude mi facevano
capire che ero sempre viva.
All'improvviso vidi un'insegna luminosa in quella
tetra solitudine. Alcune lettere mancavano di illuminazione, il che contribuì
ad accrescere la sensazione di disagio che provavo.
Entrai, spingendo la porta a vetri del locale e un
trillo argentino di campanelle, così fuori luogo in un posto del genere,
avvisarono il mio ingresso.
Il bar era deserto, fatta eccezione per un ragazzo
la cui testa era celata dal cappuccio della felpa.
Stava bevendo un qualcosa di indefinibile,
probabilmente vodka. Non ci badai e mi andai a sedere dalla parte opposta, con
la predisposizione d'animo di rifugiarmi nell'alcool...un amico che soprattutto
nell'ultimo periodo mi aveva aiutato ad andare avanti.
Un tizio dall'aria per niente rassicurante si
avvicinò e mi chiese cosa prendevo. "Una tequila liscia" sospirai
"Me la faccia doppia..." aggiunsi, poi inconsciamente mi voltai verso
il ragazzo dall'altra parte del bancone e notai che mi stava guardando a sua
volta, probabilmente incuriosito dalla mia voce.
I suoi occhi mi catturarono immediatamente...due
gocce di smeraldo iridescenti brillavano su un volto corrucciato ed annebbiato
dall'alcohol...ma non c'era solo quello nella sua espressione....no...era un
misto di sentimenti...come se per qualche misteriosa ragione stesse ancora
aspettando qualcosa o qualcuno che gli facesse credere che valesse la pena vivere.
Mi ci ritrovavo un po'...
Mi sembrava di vedere un angolo di paradiso
attraverso quelle due fessure, e in un posto del genere l'evidenza di ciò era
ancora più stridente.
I lunghi capelli neri, scomposti sulla spalle
contribuivano a dargli quell'aspetto di angelo maledetto che istintivamente mi
attirava.
Mi fece un cenno con la testa a mò di saluto e io
ricambiai.
Dio, che incontri si facevano nelle bettole
squallide di Manhattan...
Fui interrotta nei miei pensieri quando il barman
mi sbattè davanti un bicchiere, così forte che un po' di liquido trasparente
traboccò e si verso sul bancone sudicio.
Lo trangugiai immediatamente ansiosa di avvertire
il familiare calore alla bocca dello stomaco, quel calore confortante che
presto avrebbe annebbiato tutto, avrebbe cancellato come una bacchetta magica
tutte le mie pene. Mi asciugai la bocca con il dorso della mano prima di dire
"Un'altra". Avevo bisogno di dimenticare tutti i pensieri che mi
trascinavo dietro...sapevo che quello non era il modo giusto, scappare non lo è
mai. Ed io stavo scappando, oh sì che lo stavo facendo..proprio come avevo
fatto qualche mese prima da casa dei miei. Nessuno aveva avuto il benchè minimo
sospetto che io l'avrei fatto...una ragazza così tranquilla, così attenta alle
regole....eppure eccomi qui. Avevo mandato a farsi fottere tutto, famiglia,
amici, università...non appena avevo avuto un po' di soldi tra le mani, senza
dare nessun segno di preavviso, ero andata via. Avevo sbattuto in uno zaino
poche cose e me n'ero andata...proprio come avevo sempre sognato fare, proprio
come nei film...solo che stavolta era vero.
Nemmeno io stessa avevo creduto di avere le palle
per farlo....eppure in quel momento mi era sembrata l'unica cosa giusta da
fare. La mia vita mi stava uccidendo...non mi ero mai sentita tagliata per quel
posto, troppo diversa da tutti quanti mi circondavano...ed in qualche modo
sapevo di stare sprecando gli anni migliori della mia vita in un posto che non
era il mio.
E così eccomi qui...New York...l'unica città dove
avevo sempre sognato vivere fin da bambina..fin da quando mi studiavo a memoria
tutte le capitali degli States e mi leggevo paginate di roba su di essi, giusto
per sentirmi più vicina...
Ok...finalmente ero negli States, a Manhattan....ma
stranamente ciò non aveva cancellato i miei problemi. Non conoscevo nessuno, nè
avevo un posto dove andare...nella mia stupidità e nella avventatezza di
andarmene non avevo pensato alle conseguenze di quello che stavo per fare.
I soldi che mi ero portata dietro bastavano ancora
per qualche tempo, ma se non avessi trovato una soluzione alla svelta, sarei
stata costretta a tornarmene in Italia con la coda fra le gambe..sconfitta
un'ennesima volta...il mio sogno americano distrutto....e dopo non ci sarebbe
stata un'altra volta. Quando il sogno che hai avuto per tutta la vita si
infrange...è come se la tua anima si disintegrasse....non ti resta niente...tu
non sei più niente.
Così mi ero stabilita in uno squallido motel, uno dei più economici...dovevo risparmiare...in un posto veramente poco raccomandabile, ma tanto bastava. Avevo trovato un lavoretto come cameriera in una caffetteria, ma la paga non era un granchè.
Mi sentivo sola...tanto sola....avevo lasciato
tutti, e dopo la mia fuga non avevo più sentito nessuno...i miei ovviamente
avevano provato a convincermi di tornare indietro ma ero stata
irremovibile...sapevo che era una cosa che dovevo fare e sarei andata fino in
fondo. Anche loro capirono e dopo le prime insistenze lasciarono perdere, non
prima di avermi detto che quella che avevo fatto era stata una colossale
stronzata, che mi ero rovinata il futuro con le mie stesse mani. Discorsi, che
mi entravano da un orecchio e mi uscivano dall'altro.
"Ecco a te..." la voce roca del barman
interruppe un'altra volta i miei pensieri. Avevo bisogno di bere....dovevo
staccare la spina...alzai il bicchiere e lo scolai tutto d'un fiato per la
seconda volta.
Dio che voglia avevo di piangere.
"Hey, vacci piano..." mi voltai verso il
ragazzo e lui indicò i bicchieri vuoti davanti a me. "Ci sono
abituata..." risposi, non potendo fare a meno di restare affascinata
nuovamente dal suo sguardo.
Improvvisamente si alzò barcollando
pericolosamente. Si avvicinò e si sedette accanto a me.
"Preferisco controllare meglio..."
esclamò sorridendomi in una maniera che...beh, mi fece percorrere da un tremito
improvviso.
Mi venne da ridere improvvisamente...non sapevo se
era dovuto alla tequila o al fatto che quel ragazzo stava risvegliando in me
delle sensazioni stranissime..l'unica cosa che sapevo era che stavo cominciando
a stare meglio. E non volevo che quella sensazione passasse troppo alla svelta.
"Io sono Gerard comunque..." si presentò
porgendomi la mano...non era troppo sbronzo, giudicai. Gliela strinsi..aveva
una bella presa, forte, determinata ma in qualche modo dolce e carezzovole.
"Io sono Eleonora..." dissi a mia volta.
"Eleonora...." pronunciò il mio nome in un modo strano,
strascicato...che mi piacque da impazzire. "E' un nome italiano....io sono
italiana.." aggiunsi, notando la sua aria vagamente stordita.
"Oh...l'avevo capito che non eri di qui..."
Cominciammo a chiacchierare....che strano...era
come parlare con il migliore amico che non avevo mai avuto. Gli raccontai tutto
di me, della mia banalissima vita da adolescente italiana, senza tenermi dentro
niente. Ok, probabilmente era dovuto all'alcohol il fatto che fossi così
disinibita, ma non mi importava...mi stavo sfogando e per la prima volta lo
stavo facendo con una persona che sembrava veramente interessata a ciò che
stavo dicendo...era come se il freno che mi aveva sempre bloccata con le altre
persone, fosse stato magicamente tolto e adesso stessi dando libero sfogo a
tutto. Anche lui mi raccontò della sua vita...era del New Jersey, di una piccola
cittadina chiamata Belleville, un posto veramente squallido dove
vivere...succedeva di tutto, e così era cresciuto praticamente dentro casa e
ciò l'aveva costretto a crearsi il suo piccolo mondo immaginario dentro la
testa...un po' come avevo sempre fatto io.
Continuando a parlare trovammo un sacco di altre
cose in comune. Era incredibile...per la prima volta da quando ero arrivata a
New York mi sentivo "a casa"...chiacchierare con Gerard era stata una
delle esperienze più belle che mi erano capitate fin'ora.
Andammo avanti per non so quanto altro tempo
ancora...e avremmo continuato per altrettanto se il barman non ci avesse
interrotto..."Sentite belli, io devo chiudere....perchè non continuate da
un'altra parte??"
Non avevo bevuto tanto, non ne avevo avuto bisogno
quella sera...
Così pagammo ed uscimmo fuori, sul marciapiede.
"Beh...è stato un piacere averti conosciuto
Gerard..." gli dissi una volta che fummo fuori.
Lui rimase un po' interdetto...ero sicura che
avrebbe voluto aggiungere qualcosa perchè aprì la bocca...ma la richiuse
l'attimo successivo. "Beh...allora buonanotte..." gli dissi prima di
voltarmi ed incamminarmi verso il mio squallidissimo motel che stava
esattamente due traverse più avanti.
"Buonanotte....Ely...." lo sentii dire
qualche secondo più tardi.
Non mi voltai, ma non potei fare a meno di sorridere per la prima volta con la sensazione di essere felice.