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Autore: clif    18/06/2013    2 recensioni
è un parallelo con la storia "Leon" scritta dall'autore Leonhard. in questa fanfiction assisteremo agli eventi accaduti nella storia precedentemente menzionata, ma dal punto di vista del coprotagonista maschile (Leon).è una storia estratta dal film di Silent hill e ambientata 30 anni prima dei suoi macabri eventi: assisterete alla vita, quasi, normale di un bambino appena trasferitosi nella macabra città.
ne approfitto per salutare tutti e per ringraziare Leonhard che mi ha dato il permesso di scriverla
buona lettura...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alessa Gillespie, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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7.
 
 
Era strana l’intesa che si venne a creare tra Leon e Alessa dopo quel pomeriggio all’ospedale. Per sapere le cose, i due non dovevano neanche parlare: bastava che si guardassero. Un’ammiccata, un sorrisetto, anche solo uno sguardo bastava per comunicare con una precisione tale che neanche le parola avrebbero potuto avere. Quella mattina, sotto il banco, Leon trovò una matita spezzata e degli scarabocchi sul quaderno.

Appena li vide alzò lo sguardo e notò gli occhi di alcuni suoi compagni fissarlo: erano gli stessi sguardi con cui guardavano Alessa mentre le tiravano i libri o la schernivano. Tentò di riporre velocemente il quaderno e la matita, ma ormai era tardi: Alessa se n’era accorta. Non gli importava che lo trattassero male, ma non poteva sopportare che la sua amica si sentisse in colpa.

Ma se Leon era stato preso di mira, su Alessa si riversò tutta la cattiveria che non veniva scagliata contro il bambino. Gli accerchiamenti si fecero più frequenti ed i libri che le scagliavano addosso molto più pesanti e numerosi. Lei non se la prendeva e faceva l’indifferente, ma Leon sapeva che dentro ne soffriva molto. Ora anche lui era bersagliato dalle angherie dei compagni, ma non come lei: riceveva solo insulti e prese in giro. Non si lamentava mai e continuava a sorriderle, incurante di ciò che dicevano o pensavano gli altri.

“è colpa mia se ora ti trattano male!” Disse Alessa a Leon durante l’intervallo. Questo era ciò che Leon temeva di più: era sicuro che Alessa si sarebbe sentita ingiustamente in colpa. Leon in tutta risposta sorrise “Suvvia Alessa non dire queste cose! Non mi hai mica costretto tu a diventare tuo amico: sono stato io ad accettare… anzi! Sono stato io a chiedertelo, quindi tu non centri in nessun modo!” Sembrò funzionare: Alessa sorrise e abbracciò Leon. Questo gesto rese Leon felice e triste allo stesso tempo: Alessa aveva imparato ad aprirsi con lui dicendogli ciò che pensava, ma lui non le aveva ancora parlato della sua partenza, in quel momento non poteva certo farlo, però alla partenza mancavano solo due giorni, certamente non poteva partire senza dirle niente, in conclusione il giorno dopo era l’ultima occasione per parlarle.

Quella mattina si svegliò più tardi del solito. Aveva passato tutta la notte pensando a come dire ad Alessa la notizia, per quello si era addormentato tardi. Riuscì ad arrivare comunque in tempo alla fermata del bus; appena salito sentì gli scherni silenziosi dei compagni, ma lui non ci fece caso e raggiunse la bambina che lo guardava con un espressione felice. “Ciao Alessa” salutò. Lei, come ogni giorno, arrossì e ricambiò il saluto con una vocetta timida.

Anche quel giorno faticò a darle la notizia. Passò tutta la lezione senza accennarle niente. La campanella per l’intervallo suonò e lei e Leon, come ogni giorni, andarono in cortile, sedendosi sulla panchina sotto l’acero, la stessa di sempre. A quel punto, finalmente, Il bambino riuscì a prendere parola.

“Senti, se ti dico che mi assenterò per qualche giorno, mi prometti che quando tornerò ti troverò ancora intera?” chiese. Buttò fuori tutto in una volta, come se si fosse tolto un masso dallo stomaco.
“Vai via?” chiese affannata. Lui annuì.
 
“Papà ha un’operazione urgente da fare a Brahams” spiegò. “E non mi lascia qui da solo. Alla fine sarà per cinque giorni, una settimana al massimo”.
 
“Ed io come faccio?” chiese Alessa, cercando disperatamente una soluzione.
 
“In che senso?”.
 
“Io…cioè…ecco…”. Alessa era entrata nel panico e Leon se ne accorse. Non voleva vederla così ma non poteva fare altrimenti: comunque aveva avuto un idea per poterle alleviare la tristezza per la solitudine, distraendola con qualcos’altro.

“Facciamo così” disse lui. Si frugò nella tasca ed estrasse un rotolo di spago. “Per ogni giorno in cui non parleremo, farai un nodo al filo e per ogni giorno in cui ci parleremo ne scioglierai uno”. La bambina guardò prima il filo poi lui.
 
“E perché?” chiese. Lui sorrise.
 
“Per ogni nodo che farai, ci attaccheremo qualcosa e per le vacanze estive la metteremo dentro una cassetta e la seppelliremo: non hai mai pensato di fare un tesoro?” chiese.
 
“Un tesoro?”.
 
“Sai, no?”. Si alzò. “Qualcosa da tenere caro. Un segreto che solo tu custodisci e che sei libera di dividere con chi vuoi, senza che nessuno ti venga a prendere in giro”. In questo modo avrebbe aiutato Alessa a non sentirsi sola in quella settimana e l’avrebbe anche aiutata a non sentirsi sola in generale.

Entrambi avevano l’altro accanto: e quel tesoro ne sarebbe stato l’emblema. Aveva pensato anche altre volte di fare un tesoro, ma non aveva mai trovato qualcuno abbastanza importante con cui condividerlo. Alessa rimase sovrappensiero ma poco dopo sorrise e annuì
“Ok: quando torni, vedremo cosa fare e ne faremo il nostro tesoro” disse, sorridendo.
 
“Adesso rientriamo” disse lui. “È suonata la campanella”.
Il resto della giornata, però, non passò in modo tranquillo: come invece, si aspettava Leon. Alessa rimase triste per tutto il tempo, guardava verso la lavagna, ma si capiva lontano un miglio che in realtà non stava sentendo una parola della lezione.

L’unico momento in cui cambiò umore fu durante la lezione di storia: non seguiva ugualmente la lezione ma era concentrata a scrivere un biglietto; quando Leon provò a vedere cosa vi era scritto, Alessa impercettibilmente si ritrasse (chissà cosa c’è scritto?). Appena finito di scrivere, però, torno con la sua aria mogia; poco prima del suono della campanella stava per scoppiare a piangere: Leon pensò, così, di consolarla.
“Dai, non essere triste” disse, fuori dalla scuola. “Te l’ho detto: sarà per pochi giorni”. Lei annuì e provò a sorridere. Sembrò funzionare: il viso del bambino si distese e non parlò più. Alessa si mise la mani in tasca e toccò il foglietto che aveva fatto durante la lezione di storia.

Leon tornò di corsa a casa: il padre lo stava già aspettando a casa, aveva finito il turno prima. Passò il pomeriggio a fare le valigie mentre pensava a come avrebbe passato quella settimana senza Alessa e soprattutto a pensare come l’avrebbe passata Alessa. Era certo che i loro compagni ne avrebbero approfittato e avrebbero aumentato la dose di libri e di insulti. Quella notte non riuscì a dormire a causa dell’ansia per la partenza e per la preoccupazione verso Alessa.

Appena sorto il sole i due erano già pronti per la partenza: il dottor Kauffman caricò le valigie nel portabagagli e fece cenno a Leon di salire. Il bambino stava pensando a Lei; la sarebbe andata volentieri a salutare, ma era molto presto e probabilmente in quel momento stava dormendo profondamente. Si affrettò ad arrivare alla macchina e salì al posto del passeggero; il padre accese il motore e si avviò verso Brahams.

“hai avvertito la tua amica?” chiese il dottore: guardando la strada. “si! Glielo detto ieri, durante l’intervallo: non è stato affatto facile”. Il resto del viaggio fu piuttosto silenzioso: il dottor Kauffman era concentrato sulla guida mentre il figlio pensava ad Alessa. Le aveva chiesto di farsi ritrovare tutta intera quando sarebbe tornato: lo aveva detto in modo ironico, ma dentro di lui aveva paura. (devi resistere solo per una settimana…) pensò Leon (…perché appena tornerò ci penserò io a proteggerti: giuro che non permetterò che ti capiti nulla) a quei pensieri al bambino scappò un sorriso.


  
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