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Autore: _Sparks_    18/06/2013    8 recensioni
–Rimani.- Sussurrai ancora. Mi guardò per un instante poi portò le mani dietro alla mia nuca avvicinando le sue labbra alle mie e baciandomi con foga. Anche se c’era la trapunta a separarci potei sentire il calore che emanava il suo corpo. Per un momento mi lasciai trasportare da lui, che mi adagiò piano sul letto baciandomi con dolcezza ma anche con passione. L’intensità di ogni suo singolo bacio, di ogni sua carezza mi fece perdere completamente il controllo ed in poco tempo la mia maglia volò a terra e mi lasciai baciare, sulle labbra, sul collo, sul petto. Lo baciai con dolcezza e lasciai scorrere le mie mani sotto la sua maglietta. Poi riacquistai il controllo e mi allontanai da lui per controllare la porta. –Non ti preoccupare.- Mi disse riprendendo a baciarmi ed il giro ricominciò, mi lasciai trasportare ancora dal calore dei suoi baci. Lanciai un’altra occhiata e lui si fermò e mi sorrise. –Sono sempre io, ricordi? Se entrano sparisco e ritorno cinque minuti prima.- Il suo sorriso diventò malizioso. –Non lo sapranno mai.-
TRAILER:http://www.youtube.com/watch?v=rMMMIJfs1LI&feature=youtu.be
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cpitolo uno: L'incontro

13 Novembre 1996, Chicago.
Leggiadra mi muovevo a ritmo di musica, era la cosa che sapevo fare meglio. La palestra della “University of Chicago” era molto ampia e seppure non avesse tutte le attrezzature adatte per favorire i miei allenamenti ci passavo ore la mattina prima di scuola e il pomeriggio. La palestra era la tipica, come tutte le palestre americane aveva il campo da basket, le gradinate in ferro rosso, un grande striscione era appeso nella parte destra, osservando dall’entrata principale. A terra oltre ad esserci disegnato il campo da basket, al centro ci stava la scritta: Chicago Basket, a lettere grandi e colorate di rosso e giallo che, erano i colori dello stemma dell’università. Proprio di fronte all’entrata principale, spuntava un piccolo abbassamento, da lì uscivano i giocatori, che prima di arrivare in palestra attraversavano un lungo corridoio che portava agli spogliatoi. Quella era uno dei tanti campi da gioco che conteneva l’University of Chicago”. Ci stava quello di pallavolo, che era meno grande di quello di basket, poi il football all’aperto, quello era il campo più grande, attorno al campo c’era la classica pista di Atletica Leggera. Le panchine al chiuso ai bordi del campo e le grandi gradinate che contornavano tutto il campo. Ma la stanza che più preferivo era quella di Ginnastica Artistica e Ritmica, ma io la usavo per ballare. Quando ero in quella stanza, eravamo solo io, la musica e lo specchio. Trovavo bellissimo ballare allo specchio, non perché amavo il mio corpo o il mio fisico, semplicemente mi piaceva osservare la mia figura che si muoveva, in pochi casi ero me stessa. Quando ballavo, quando leggevo e quando stavo con Ronnie, la mia migliore amica.
Alzai il volume della musica e accertandomi che fossi da sola cominciai a muovermi, un po’ di moderno ci stava bene. Partì facendo una mezza spaccata, poi mi alzai facendo una ruota, cominciai a muovere mani e piedi a ritmo. Abbassai lo sguardo per qualche secondo, poi lo rivolsi di nuovo verso lo specchio. I miei occhi uscirono fuori dalle orbite, mi voltai subito verso le panchine. Un ragazzo con i capelli scompigliati e due iridi azzurre, mi scrutava. Portava una giacca di pelle e dei pantaloni che non avevo mai visto, stretti a sigaretta e neri. Sorrise guardandomi come a volermi rassicurare, mi guardava come se mi conoscesse da sempre, ma io non l’avevo mai visto. Sorrisi cercando di sembrare il più tranquilla possibile. Mi rigirai e continuai a ballare, finì di ballare appoggiandomi a terra posando la testa tra le ginocchia. Mi rialzai e quando mi voltai verso il ragazzo lui era già scomparso. Stranita afferrai il borsone e andai verso casa. Durante il tragitto mi ponevo mille domande e non riuscivo a trovare nessuno risposta.
Cosa ci faceva un ragazzo alle 7 del mattino? Come ha fatto ad apparire e scomparire in pochi secondi? Chi era...?
Attraversai il vialetto di casa e, facendo il meno rumore possibile, entrai furtiva. Mi diressi in bagno, guardai l’orologio. Avevo ancora mezz’ora per farmi una doccia e prepararmi per andare al campus.
Piano piano mi sfilai i vestiti, mi guardavo intorno come se ci fosse qualcuno che mi osservava. Quando ormai tutti i vestiti erano a terra entrai nella doccia lasciando che l’acqua bagnasse ogni centimetro della mia pelle. Dopo circa 15 minuti uscì avvolgendomi nell’accappatoio verde. Mi asciugai per bene, poi presi il phon e asciugai i miei lunghi capelli. Tra dieci minuti sarebbe passata Ronnie e io ancora dovevo vestirmi. Afferrai le calze e la camicia della divisa e le infilai, misi il maglioncino e poi quell’orribile gonna che io odiavo altamente. “Non si direbbe, che una ballerina odia le gonne”, è quello che mi dicono tutti quando scoprono che odio le gonne e tutte quelle cose che mettono bene in mostra le gambe. Scossi la testa e ritornai in me. Uscì dal bagno diretta in cucina.
-‘Giorno Mamma, ‘Giorno Papà.- Li salutai lasciando un bacio sulla loro guancia. Poi mi avvicinai alla pancia della mamma, lasciandoci una piccola carezza. Mamma aspettava una bambina che doveva nascere giusto i primi di Dicembre.
Sorrisero tutti e due, poi alzai lo sguardo sull’orologio, di sicuro Ronnie mi stava aspettando d’avanti casa. Afferrai una fetta biscottata e afferrando lo zaino uscì di casa. Come previsto Ronnie mi stava aspettando sorridendo sulla sua nuova macchina blu elettrico. Salì tutta sorridente. Anche lei sembrava felice, fin troppo per Ronnie. –Succede qualcosa?- Mi voltai verso di lei, che udendo le mie parole sorrise. –Come non lo sai? Domani arriva a scuola un nuovo ragazzo, a quanto si dice frequenta il corso di Spagnolo insieme a te.- Fece un urlo di gioia, come se fosse la prima volta che vedeva un ragazzo.
–Oh bhè che bella notizia.- Esclamai fingendomi interessata.
-Suvvia Abs potresti anche essere più entusiasta, cosa ne sai? Potrebbe essere il tuo futuro ragazzo.- Ci scherzò su.
-L’hai detta grossa Ronnie, io e i ragazzi non andiamo d’accordo.- Lei mise in moto, io misi un po’ di musica, cominciammo a cantare e a muovere la testa a ritmo dei Green Day. Dopo circa dieci minuti entrammo nel parcheggio del campus. Una piccola folla si riuniva intorno ad un ragazzo, Ronnie corse subito verso la folla urlandomi di venire con lei, le sorrisi e le dissi che l’aspettavo a mensa. Non mi definivo la tipica ragazza asociale, semplicemente mi piaceva pensarla diversamente dalle altre, mi piaceva avere un modo tutto mio di pensare, di agire, di vestirmi. Si, mi piaceva definirmi “diversa”. Arrivai di fronte all’armadietto, quando lo aprì un foglio cadde a terra, posai i libri dentro l’armadietto e mi abbassai per prendere il foglietto ma  una mano lo afferrò prima di me, una mano che pian piano diventò invisibile e, quando alzai lo sguardo non trovai nessuno. Stavo decisamente diventando pazza. Questa mattina mi è parso di vedere un ragazzo che sorridente mi guardava ballare, adesso vedo mani scomparire. Mi chiedo se il troppo ballo, mescolato con la preparazione degli esami del terzo anno, non mi stiano creando dei problemi psicologici o meglio chiamato stress.
Scossi la testa e mi avviai verso la lezione di Letteratura Inglese. Poggiai i miei libri sul tavolo che non dividevo con nessuno. Ebbi appena il tempo di sedermi, poi suonò la campanella e il professore Boston entrò in classe più sorridente del solito.
-Buongiorno ragazzi, oggi ho il piacere di presentarvi il vostro nuovo compagno di corso, Louis Tomlinson.- Dalla porta entrò un ragazzo con i capelli scompigliati di un castano chiaro, gli occhi grigio-azzurri che fissavano imbarazzati tutta la classe. Era lo stesso ragazzo che avevo visto in palestra questa mattina. Ne ero più che sicura. Lo scrutai per bene, tenendo ben fissi i suoi occhi cercando altri particolari che dimostrassero che era lo stesso ragazzo. Solo dopo un po’ mi accorsi che il professor Boston mi stava fissando aspettando una risposta, peccato che io non sapevo nemmeno quale fosse la domanda, sapevo solo che Louis mi fissava come il professore e il resto della classe. Abbassai il capo arrossendo.
-Allora, signorina Thompson, lo libera quel posto?- Annuì e levai il cappotto da sopra la sedia. Louis si avvicinò e mi sorrise posò i libri sul banco e poi si voltò verso di me. Sorridendo, si, ma in modo diverso rispetto a questa mattina. Avevo quella voglia matta di chiedergli spiegazioni, ero più che sicura che lui centrava con quella mano che avevo visto scomparire, proprio come avevo visto lui scomparire in palestra.
-Louis, piacere.- Disse porgendomi la mano.
Esitai poi la strinsi.- Abby.- Sorrisi. Lui sbiancò e s’irrigidì quando gli strinsi la mano più forte. Poi tornò a guardare il professore.
Mentre il professore spiegava io prendevo appunti e ogni tanto con la coda dell’occhio fissavo Louis studiando ancora il suo volto perfetto. Il suo viso non era tanto abbronzato, ma nemmeno bianco come la porcellana, come il mio. I suoi occhi avevano una forma perfetta e il colore mi mandava in estasi. Il suo sorriso era una cosa indescrivibile, era capace di farti innamorare solo sorridendo. Lui mi fissava, io lo fissavo. Solo dopo aver connesso quel mio pensiero scossi la testa e rossa in viso mi concentrai sul professore. Quando suonò la campana, che segnava l’inizio del pranzo, misi tutti i libri nello zaino e quando mi voltai verso Louis lui era già fuori dall’aula, molto probabilmente diretto in mensa. Misi lo zaino sulle spalle e mi diressi in mensa, dove Ronnie mi aspettava. Entrata in mensa, prima di dirigermi al tavolo, dove una Ronnie sorridente, con il vassoio d’avanti, sventolava la mano per farmi capire dov’era seduta. Feci l’ok con la mano e poi riempì il mio vassoio con una leggera insalata e con un bicchiere di coca. Con gli occhi seguivo i movimenti di Louis che si rifugiò in un angolo della mensa, da solo. Poi mi sedetti al tavolo e sorrisi a Ronnie.
-Allora mia cara Abs.- Disse sorridendo. –La smetterai di guardare il nuovo ragazzo?.- Sorrise maliziosa.
Roteai gli occhi – Non lo sto guardando.- Affermai prendendo in mano la forchetta e infilzandola nell’insalata. –No infatti, lo stai mangiando con gli occhi.- Rispose.
-No è solo che, questa mattina mi guardava ballare, alle 7 del mattino era in palestra all’università e mi guardava.- Ecco l’avevo detto. Ero pronta a tutto, sicuramente Ronnie mi avrebbe preso per pazza.
-Davvero?.- Annui e la vidi alzarsi, solo quando arrivò davanti al tavolo di Louis capì cosa voleva fare e quando la vidi indicarmi sbiancai. Chissà cosa gli aveva detto, questo di sicuro non lo sapevo, ma sapevo per certo che stavano venendo verso di me. –Vi conoscente già? Che delusione, mi piace fare le presentazioni.- Esclamò Ronnie accasciandosi sulla sedia. Io sorrisi e Louis ricambiò con un sorriso forzato. –Bhè magari puoi dirci che ci facevi questa mattina all’università, Ti piace la danza?.- Chiese ancora Ronnie e la maledissi in tutte le lingue che conoscevo. –Non so di cosa stai parlando.- Disse sorridendo imbarazzato e grattandosi la testa con la mano destra.
-Questa mattina, Abby ti ha visto.-
-Non ero io, forse ti sei sbagliata.-  Disse voltandosi verso di me, adesso potevo sotterrarmi.
-Oh si, forse mi sono sbagliata.- Cercai di deviare il discorso, levando l’occasione. Ringrazia e amai per la prima volta la campanella che suonò. Così salutai Louis e insieme a Ronnie andammo nel parcheggio.
-Strano il ragazzo, non trovi?- Mi chiese Ronnie, una volta entrate in macchina.
-Un po’.- Cercai di non sembrare interessante così lei avrebbe smesso di parlarne. Infatti passò tutto il resto del viaggio in silenzio senza dire niente. Quando arrivammo davanti casa mia, mi salutò con un bacio sulla guancia e mi fece uno dei suoi occhiolini. Attraversai il vialetto. Suonai, a casa non c’era nessuno, come al solito. Feci roteare lo zaino facendolo finire sulla mia pancia e aprì la tasca più piccola estraendo da li le chiavi.
Aprì la porta e andai in cucina, li ci trovai un vassoio e un biglietto:
Porta questo a casa della signora Cole.

Sono in libreria.
Baci Mamma xx
La signora Cole era un’anziana che abitava a due isolati da casa nostra, vicino la libreria, ci portava sempre della frutta fresca, ecco spiegato il perché il suo vassoio si trovava a casa mia. Lo presi e mi diressi fuori. Attraversai di nuovo il mio vialetto e poi quello della signora Cole. Arrivata davanti la porta suonai. Aspettai qualche minuto, poi mi venne ad aprire qualcuno che non assomigliava affatto alla signora Cole, qualcuno che non mi aspettavo di vedere, non in quella casa, non in quel momento.
Louis mi fissò con uno sguarda più sorpreso del mio. Con gli occhi fuori dalle orbite lo fissavo. “come poteva essere li? Cosa ci faceva?” Tutto ha una spiegazione, sono il tipo di ragazza che crede nel destino, insomma se una cosa succede è perché deve succedere, poteva andare diversamente, invece no, è andata in quel modo, potevi prendere una decisione completamente diversa, invece ne avevi scelta un’altra. Se Louis era li d’avanti ai miei occhi, nella casa dove viveva la mia cara vicina, doveva esserci un motivo.
-C-cosa ci fai qui?-Chiese cercando di sorridere, ma la sorpresa e lo stupore erano ancora piuttosto evidenti.
-Stavo cercando la signora Cole...piuttosto tu, cosa ci fai qui?-
-Sono suo nipote, entra.- Spalancò la porta e per la medesima volta intravidi il lungo corridoio che portava a diverse stanze. Il corridoio era ricoperto di una carta da parati verde scuro e un mobiletto in stile antico era poggiato al lato destro del corridoio, vicino la porta che portava alla cucina. Il resto della parete era occupata da quadri sparsi qua e là.
-Seguimi.- Mi mise una mano sulla spalla, a quel contatto una scarica percorse la mia schiena e sentì l’evidente imbarazzo di Louis, che mi condusse in salotto.
Il salotto della signora Cole era in stile antico, un divano “sostava” di fronte al camino, al di sotto del divano si estendeva un grandissimo tappetto che faceva da superficie anche alle due poltrone poste ai lati del divano, parallelamente, con la faccia rivolta verso il camino. Al centro un tavolino in puro legno, al di sopra di esso un gran mazzo di fiori, margherite per la precisone.
-Abby, mia cara, a cosa devo la tua dolce visita?- Chiese cordiale, come sempre. Le sorrisi, poi mi allontanai da Louis per darle un leggero bacio sulla guancia.
-Sono passata per portarle il vassoio, signora Cole.- Poggiai il vassoio sul tavolo.
-Mia cara, vedo che conosci il ragazzino qui presente.- Disse abbassandosi gli occhiali, fino a farli appoggiare, quasi, alla punta del naso.
“Il ragazzo qui presente” una persona normale avrebbe detto mio nipote. Ma non so per quale motivo la signora Cole aveva chiamato suo nipote, “ragazzo”.
-Bhè si, se può dire così.- Risposi in evidente imbarazzo.
-Louis, caro, perché non andate a fare un giro?- Disse voltandosi verso il nipote.
Sbarrai gli occhi. “Cosa, cosa? Un giro insieme a Louis, oh no. Non credo di poterlo fare. “
-Certo signora Cole. Vieni Abs.-
Incerta mi alzai e salutai la signora Cole, mi voltai verso Louis, che mi sorrise e mi prese per mano, conducendomi al di fuori della villetta.
-E’ malata di Alzaimer.- Disse una volta fuori casa. –Le ho chiesto di affittarmi la casa, così da poterla aiutare con le spese, anche se inconsapevolmente.-
Restai sbalordita alle sue parole. Quel ragazzo dimostrò di essere più dolce e gentile di qualunque essere vivente, nessuno e dico nessuno avrebbe cambiato città solo per aiutare la nonna in difficoltà economiche , fisiche e psichiche.
-Oh...mi spiace.- In qualche modo volevo essere confortante, ma il fatto era che non sapevo come comportarmi con Louis, in fondo lo conoscevo solo da...un giorno. –Ehi, tranquilla. Ti va un caffè?- Mi chiese sorridendo, ero sicura di avere la faccia rossa. Quel sorriso era qualcosa di...estasiante.
-Certo.- Sorrisi e mi avvicinai al ragazzo, affiancandolo.
Il tragitto fino al bar caffè, fu molto imbarazzante. Nessuno dei due spiccicò parola durante il tragitto. Arrivati al bar caffè mi fece sedere su uno dei divanetti rossi e ordinò i due caffè.
-Dove vivevi prima?- Chiesi, volevo conoscere quel ragazzo. Scosse la testa, come a voler cacciare via un brutto pensiero.
-San Francisco.- Disse sorridendomi.
-Parlami di te.-
-Non c’è molto da dire, sono un ragazzo...come tutti gli altri. Amo viaggiare, sono stato in tanti posti, Londra, Canada e quasi tutta l’America, sono andato anche in Australia.- Disse sorridendo, ma sembrava incerto.
-Anche a me piacerebbe...viaggiare...- Dissi abbassando lo sguardo.
-Devo tutto ai...miei genitori.-
Sorrisi senza rispondere.
-Adesso è meglio se andiamo.- Disse alzandosi e lasciando due monete sul tavolo per pagare i caffè, lo ringraziai.
Mi accompagnò davanti casa.
-Mi sono divertito.- Sorrise.
-Anche io.- Arrossì e abbassai lo sguardo.
 
POV LOUIS
Era bella, lo era sempre stata, ma non potevo sbagliare. Non questa volta. Così le alzai il viso e la salutai con un bacio sulla guancia. Poi sparì dentro la casa di mia nonna.


*Angolo Autrice*
Salve ragazzeee <3
Ecco il primo capitolo di questa storia, ricordo che è ispirata al libro Stay  
dell’autrice Tamara Ireland Stone.
Mi piacerebbe ricevere più recensioni, quindi se siete arrivate fino a qua, perchè non recensire, sempre se vi piace <3
Ho quest'altra storia in corso: 
Mi hai travolto la vita:Come un uragano.
 Alla prossima, mi trovate qui: 
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_Sparks_ 

  
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