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Autore: _sunflower    18/06/2013    1 recensioni
Non sarei mai voluta arrivare a questo punto, al punto di scrivere un diario. La sola idea mi faceva sentire ancora peggio e invece tutti continuavano a dire che si notano dei miglioramenti affrontando i propri problemi nero su bianco. Ho voluto credere loro pur non capendo il motivo, ma l’unico problema che mi pongo adesso è “Cosa dovrei scriverti? Perché sto male?” Beh, allora mi dovrò impegnare perché pare che mi segnerai la vita.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Caro diario, 

Che faccio? Potrei darle buca e pentirmene per il resto dei miei giorni, oppure potrei andare lì e vedere se ci tiene veramente ancora a me. Rimango a pensarci per un po’ finché non decido che al massimo potrò farmi un giro cercando di dimenticare lei e l’appuntamento.
Mi alzo e decido di vestirmi; non esagero, indosso un paio di leggins neri e una maglietta a maniche lunghe color magenta, mi trucco leggermente e infilo le scarpe. Sono pronta, ormai la decisione l’ho presa. Mi incammino a passo lento verso il bar, era da un po’ che non ci entravo e ho sperato mi facesse piacere risentirmi a casa in quel piccolo luogo colmo di persone che mi hanno osservato per anni senza rivolgermi parola. Entro spingendo la porta con poca decisione e mi siedo al primo tavolo che trovo vuoto, è il tavolo in cui ci siamo baciate la prima volta. 

Le avevo chiesto qualche ora prima di vederci al bar all’angolo, mi aveva risposto innocentemente che sarebbe arrivata un po’ in ritardo perché piena di impegni, ma che sarebbe stata contenta di vedermi. Ormai era da un paio di settimane che ci pensavo e forse era il caso di agire. Era tutto già pronto nella mia testa: si sarebbe seduta, l’avrei fatta parlare brevemente della sua giornata e poi le avrei detto “ti ricordi quando abbiamo comprato il nostro braccialetto e la ragazza ci ha chiesto se eravamo fidanzate? In effetti avremmo dovuto accorgercene che eravamo in un gruppo di lesbiche ma a parte questo sai a cosa ho pensato? Ho pensato fino alla nausea che avrei voluto rispondere di sì, avrei voluto stringerti la mano e sorridere cercando il tuo sguardo. Quello stesso sguardo che mi ha fatto perdere la testa e che mi ha fatto follemente innamorare”. Subito dopo la scrutai dolcemente alla ricerca di un espressione che potesse farmi capire la sua opinione, l’unica cosa che vidi furono le sue labbra carnose che pronunciavano flebilmente: “Io ho pensato che probabilmente aveva notato lo scintillio nei miei occhi al pensiero che saremmo state legate per sempre grazie a quel braccialetto”. La fissai con gioia e presi a carezzarle il dorso della mano, si avvicinò e l’unica cosa che notai furono gli occhi lucidi che cercavano un appiglio, cercavano amore ed io ero convinta di poter esprimere qualunque suo desiderio. Mi avvicinai lentamente alla sue labbra, quelle stesse labbra che sognavo da mesi oramai, ma che mi avevano sempre incusso timore; le sfiorai appena, giusto il tempo di capire se fosse la cosa giusta e soprattutto se lo volesse anche lei, poi mandai al diavolo tutti quei pensieri e la bacia come se avessi ritrovato dopo tanto tempo una remota parte di me che cercavo e che volevo far nuovamente mia. 

Mi fa tornare alla realtà una ragazza, chiedendomi se voglio ordinare. Le rispondo con un distaccato no e mi accovaccio sulla sedia cercando di scomparire. Cosa mi passa per la testa? Sono così confusa da non capire cosa provo ed è una sensazione fastidiosa, è come se avessero scambiato la mia coscienza con una fredda e vuota. È cosi che mi sento: fredda e vuota. Ma la consapevolezza di non provare emozioni non è un sentimento, è solo un approvazione proveniente dal cervello al semplice dato di fatto della “mia” coscienza: sto diventando un’insensibile. Forse è il caso di vedere il lato positivo di questa situazione, può essere solo segno della mia forza che si presenta di fronte ad uno spaventoso appuntamento con una ex. Pensavo di essermene dimenticata e invece all’improvviso era ricomparso quel terribile pensiero, il pensiero che rivedrò nuovamente la ragazza che amo e che non mi appartiene più.
Adesso che ci penso, la amo ancora? Voglio dire, nel remoto caso in cui lei mi avesse aspettata in lacrime e a braccia aperte, io non saprei cosa fare; potrei intraprendere un relazione con lei dopo anni oppure potrei anche capire che lei per me rappresenta solo il passato, simboleggia un errore da non ricommettere.
Sto pensando così intensamente che ho momentaneamente chiuso gli occhi, impedendomi di notare Giorgia che entra nel locale e si accomoda di fronte a me. Credo di averle fatto tenerezza perché appena schiudo gli occhi a causa di un'improvvisa voglia di ordinare una birra, la scovo con un sorrisino appena accennato sulle labbra lievemente colorate da uno scuro rossetto, le gote messe in evidenza da un colorito imbarazzato e gli occhi colmi di gioia che ricordando tanto la vista della propria casa dopo delle lunghe vacanze. Noto che ha tinto i capelli di un rosso leggermente più smorto che risalta i suoi profondi occhi color cenere, indossa un maglione blu forse troppo pesante per questa stagione, ma lei ha sempre sofferto il freddo e ricordo quando si ostinava ad uscire vestita con vestiti troppo leggeri, solo dopo qualche appuntamento capii che era solo un pretesto per doverla abbracciare e prestarle le mie felpe. Trascorriamo così qualche minuto dopodiché lei rompe il silenzio chiedendomi se volevo bere qualcosa. Nel frattempo mi ero dimenticata di volere da bere così le rispondo con timidezza, quasi mi vergognassi della mia stessa voce; in effetti ho paura di rendere reale questo momento segnandolo con delle mie parole ma sono costretta: cerco di fondere la normalità con la diversità in modo tale da farle ritornare alla mente ricordi che le facciano capire quanto sono speciale. Probabilmente mi sto considerando troppo importante , dovrei smetterla di prendere alla lettera ogni capitolo di quello stupido libro che ho trovato in biblioteca; dice che maggiore è la propria autostima maggiore sarà la facilità che si avrà a relazionarsi con gli altri. Ma di fronte a Giorgia mi sento solo un piccolo residuo della razza umana, mi sento uno scarto a cui hanno voluto dare una possibilità di vita pur sapendo che con quelle caratteristiche non sarebbe andata lontano. Mi sento una pagina di un libro fotocopiata storta, mi è capitato di vedere libri conciati in quella maniera e sinceramente mi ha fatto pena. Allora non capisco più niente. Perché mi sento così insignificante? Sinceramente mi verrebbe da rispondere “perché lei è così perfetta che ti senti inadeguata di fronte alla persona migliore che conosci”, ma forse non è per questo, forse è perché la vista di lei felice mi fa ricordare come rideva con me e come all’improvviso le ho tolto il sorriso, come se mi appartenesse. C’è un'altra possibilità che mi ha sfiorato il pensiero: magari io vorrei provare amore nei suoi confronti e invece tutto ciò che vedo è una ragazza affascinante. Lo allontano subito dalla testa perché anche se vera questa affermazione fa male, non so dirti dove e perché, ma sento la privazione di un pezzo di me stessa e questo non fa altro che alimentare la fondatezza di questa teoria. 
Dopo attimi a cui non ho dato tregua né al mio cervello che non riesce ad elaborare così tanti pensieri velocemente né i miei occhi a cui sto impedendo di chiudersi dato che non vorrei aprirli accorgendomi che in realtà lei non è qui, mi concedo un sorso di birra e aspetto silenziosamente che sia lei a parlare. Abbiamo sempre pensato che in qualunque coppia di persone, non necessariamente fidanzate, c’è bisogno di una persona che agisca e di una che paria ed sarebbe ancora meglio se esse si alternassero. Quindi aspetto con poca pazienza finché non si decide a pronunciare delle parole che a me riecheggiano in mente, come a volerle assaporare per bene.
“Allora, come stai?”. Semplice, naturale, pulito e dolce. Proprio come lei.
“Ehm…” dubito un po’ e poi mi decido, inspiro e getto tutto d’un fiato. “In questo periodo non proprio bene.”. Noto che le si dipinge sul volto un velo di dolore, di tristezza e di pena, forse.
“Come mai?”. Mi chiedi dolcemente e innocentemente.
Le do una veloce occhiata, voglio essere sicura che me l’abbia chiesto per davvero e inizio a pensare a come esporle la mia situazione. 
“Ti è mai successo di sentirti come un robot e, di conseguenza, sbagliata?”. Sembro più sicura di quanto sono, in realtà ho una paura folle che non mi risponda cercando di tranquillizzarmi e dicendomi che è normale; l’unica cosa di cui ho bisogno è questo, un appiglio. 
“Sì, mi è successo.”. Sussurra abbassando il capo.
Io contrariamente lo sollevo cercando i suoi occhi, per capire se quella nota di dolore presente nella sua voce è presente anche nel suo sguardo. Li scovo e in effetti sì, sono spenti e privi di gioia; non so come mai mi sento in colpa e mi risulta istintivo chiederle se c’è qualcosa che non va.
“No, è tutto a posto, scusami. Comunque credo che ci sia sempre un motivo dietro a tutto ciò, tu?”.
Mi risponde con un sorriso forzato e ignoro la sua domanda, ciò che mi importa è perché stava male.
“Come mai ci sei passata tu?”. Sento una lieve risata ironica e mi accorgo che nel frattempo si è messa a giocare con un fazzolettino, segno che è nervosa. Si scusa per la risata quasi isterica e si ricompone.
“Diciamo che essere lasciati dalla propria ragazza perché quest’ultima si vergogna di te non è piacevole.”
Adesso lo sento il senso di colpa che si impossessa di me, mi viene la nausea e mi sento lentamente logorare dentro. Non è un dolore, è un fastidio; mi dà fastidio sapere che l’ho fatta soffrire, così tanto fastidio che inizierei a staccarmi la faccia a morsi se la bocca non fosse proprio lì. 
“Credo di doverti delle scuse, ma non so come farti capire che mi dispiace.”. Dico questa frase molto lentamente, vorrei farle capire quanto questi pensieri siano realmente miei e non siano frutto di una bugia. 
“Credevo servisse a questo l’appuntamento.” Mormora, forse non vuole farsi sentire.
“Anche io lo credevo, peccato che non mi sia preparata niente da dire.”. Le confido maledicendomi mentalmente. 
“Improvvisa.”. Dice lei quasi con entusiasmo, sa che odio improvvisare, la mia vita è molto organizzata e sempre sotto controllo.
La guardo stupita e inizio biascicando parole, intervallando i respiri a delle brevi frasi
“Mi conosci benissimo, tu sai come sono fatta, sai che volevo la libertà, la pretendevo. Sai anche che non mi sono mai piaciuta particolarmente, mi interessava sapere cosa pensa la gente di me. Sai che le lesbiche non vengono mai accettate, anche se lo lasciano credere non è mai così. Sai che ti amavo, alla follia, e pensavo che senza di te non sarei stata capace di vivere, ma non sai come mi sono conciata. Non sto dicendo che è colpa tua, anche se sembra. Sto dicendo che mi dispiace, ho sofferto anche io. Ho dato più importanza a me che a noi. Ho dato più importanza al mio orgoglio e me ne sono pentita amaramente. Mi sono odiata per questo, sappilo”. Forse ho balbettato nel frattempo e ho singhiozzato un po’ ma credo che l’abbia colpita il mio discorso. Per tutto il tempo non ho fatto altro che fissarle le pupille, volevo la sua completa attenzione e l’ho ottenuta. Adesso ha la bocca leggermente aperta, giusto quel poco per intravedere dei bianchissimi denti, gli occhi colmi di lacrime, lacrime di gioia, e le mani attaccate al tavolo, forse ha paura di cadere.
Anche io ho paura di cadere. Ho paura di ricadere nel vuoto che mi ha accolto fin dal primo giorno che ho capito che la mia vita è un susseguirsi di sbagli, che la mia vita di per sé è uno sbaglio; lo stesso vuoto che mi ha portato a commettere errori più grandi, danneggiandomi, lo stesso che ha accolto Giorgia. Glielo leggo negli occhi, anche lei, perfetta come è, si è odiata.
  
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