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Autore: Ffransis    18/06/2013    1 recensioni
Quinto Severino è un membro dell'aristocrazia romana. Vive a Vienne, una provincia della Gallia Narbonense, al di là delle alpi, dove oggi sorge la provenza. Dovrà combattere contro la Fortuna, il destino, e la forzata condizione di povertà a cui la guerra contro i Galli lo condurrà. Ma non sarà solo, perchè la vita del giovane romano si incrocerà con quella di una comunità di guerriere galliche, in particolare con una di cui si innamorerà perdutamente. La guerra li dividerà e li costringerà su fronti opposti, chissà se davvero amor vincit omnia oppure se saranno destinati a perire in battaglia.
La mia prima fic storica originale. Spero vi piaccia :3
I capitoli sono corti e la lettura scorrevole, mi raccomando recensite altrimenti non ha senso per me continuare la fic. Grazie mille a tutti in anticipo, mwah!
Genere: Avventura, Guerra, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri
Note: Lemon, Lime, Otherverse | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: Antichità greco/romana
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III

Chiuso nella sua piccola stanza, Quinto Severino era chino sui libri di storia. Il suo maestro personale Caio Marzio lo stava appena interrogando sulla nascita della Repubblica, ottenendo però ben poche risposte.

«Quinto, Quinto... quante volte te lo devo ripetere, la Repubblica romana inizia dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo, ultimo re latino di origine etrusca».

«Sì, maestro... sono solo un po' distratto»

«Si vede. Non dirò nulla a tua madre per stavolta, ma lo sai che ci tiene a te»

Quando il maestro si congedò Quinto tornò a sedersi sullo sgabello dove stava studiando poco prima, le braccia a sostegno della testa completamente assorta da mille pensieri. La scrivania era situata proprio nei pressi della finestra e là Quinto immaginava di poter giocare libero con gli altri ragazzi senza dover stare gran parte del giorno a studiare gli annali e l'opera di Tito Livio Ab Urbe Condita. Preferiva di gran lunga dilettarsi con la genesi della letteratura antica come le scene di Plauto, da sempre applaudite per la sua grande forza dirompente sia nella comicità sia nell'autoironia, portando all'estremo episodi quotidiani attraverso trame burlesche e intricate.

Sua madre, Severa Severino, disapprovava molto spesso i gusti e le scelte del figlio, cercando di fargli apprendere soltanto ciò che per lei veniva ritenuto adeguato. Per una questione di fato il nome le calzava perfettamente.

E intanto Quinto continuava a guardare fuori dalla finestra, vedendo i ragazzini poveri divertirsi tirando calci a una palla di pezza o giocando a nascondino tra di loro. Avrebbe tanto voluto essere lì, ma la sua posizione sociale glielo impediva. Vivendo in una domus, benché non grande e appariscente come molte altre, doveva seguire rigide regole che la madre gli impartiva. Suo padre era morto in guerra durante una delle varie campagne militari a seguito dell'espansione romana nel Mediterraneo, dunque Severa aveva di fatto ereditato tutti i possedimenti del marito. La sua unica consolazione era il fatto di essere ormai entrato nell'età in cui i giovani come lui avevano il diritto di iniziare a scegliere per sé alcune cose come, per esempio, uno schiavo personale.

Quinto fissò con aria sorniona una bella ragazza dai capelli sporchi ma con un viso stupendo, rovinato dalla sporcizia, che giocava con la sorellina. Non aveva idea del perché ma qualcosa nel suo perizoma sembrò prendere vita. La cosa non lo sconcertò più di tanto, erano due anni che aveva iniziato a sentire delle strane fitte ai genitali ogni volta che si concentrava troppo su una persona che gli piaceva.

«Quinto!» La voce della madre si fece largo dabbasso mentre il ragazzo si affrettò a sistemarsi il perizoma.

«Sì, mamma. Eccomi» disse lui, abbandonando la sua stanzetta piena di libri e ritratti, nel quale era conservata la spada del padre protetta da un contenitore in vetro.

Quando scese al piano di sotto Quinto vide la madre affaccendarsi per poter uscire.

«Vieni con me»

«Dove?» Quinto aggrottò le sopracciglia.

«Nei populares di Vienne» disse la madre facendo una breve pausa, «ormai è tempo che tu abbia uno schiavo tutto tuo, non puoi continuare a usare quelli che tuo padre ci ha lasciato»

Un sorriso solitario ma del tutto genuino si stampò sulla faccia del ragazzo, finalmente chiamato ad avere qualcosa di veramente suo e personale. Gli dispiaceva per Tertia e Licilius, che lo avevano curato e obbedito per anni, ma ormai Severa era irremovibile. Quinto si sistemò la toga bianca con una piccola striscia decorata in porpora e seguì la madre uscire dalla domus e infilarsi nei vicoli a nord della città.

   
 
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