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Autore: gunslinger_    18/06/2013    1 recensioni
“Non sono pazzo.” rispose, con la tentazione di alzarsi in piedi ed uscire sbattendo la porta.
“Non mi permetterei mai di pronunciare un giudizio del genere, sarei solo interessato a conoscere il suo parere riguardo l'intera faccenda.”
Matt non lo sapeva, non sapeva proprio a che faccenda alludesse lo psicologo, non c'era assolutamente niente di cui discutere. Anche se si era fatto male non aveva bisogno di aiuto, non serviva parlare, solo un antidolorifico molto forte, nel caso.
“Non lo so...” mugugnò, per poi piegare leggermente le dita della mano sulla coscia. “Non è successo niente di grave Doc, chiaro? Posso chiamarla Doc?”
|bromance|tematiche delicate|
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Note: ci tenevo a ringraziare chi di voi ha anche solo dato un'occhiata alla storia, arrivando magari solo metà del primo capitolo, e un grazie megagigante alle persone che hanno già inserito questa fanfiction tra seguite e preferite. Ammetto di non aver ricontrollato attentamente questo secondo capitolo, chiedo quindi scusa per eventuali errori di battitura - si spera solo quelli -.








"La tensione mi sta tirando in tutte le direzioni
E succederà se mi userai come corda
A volte la pressione ti manderà fuori di testa
Potrei esplodere in ogni momento
Ho bisogno di un po' di pace, sono stanco
Non voglio perderla, ma sto per cambiare strada."
(Tension - Avenged Sevenfold)






I frammenti di vetro erano ovunque: nel lavandino, sulla mensola del bagno, a terra.
Il centro dello specchio non c'era più, un piccolo buco lo rimpiazzava, circondato da incrinature che sembravano fargli da corona; insieme a tutto questo niente più, niente tranne il sangue che si era infiltrato tra le schegge, esattamente come queste che si erano conficcate nella pelle di Matt.
Il pugno era ancora chiuso ed alzato, gli occhi chiusi in balia di un dolore sia fisico che dell'anima, un dolore che si portava dentro da mesi e che non sapeva più come sfogare... Se non in quel modo.
Aveva infilato un paio di pantaloni ed una t-shirt per poi dirigersi in bagno per lavarsi i denti. Non aveva premeditato le azioni che sarebbero seguite, le aveva compiute e basta.
Faceva più freddo del solito quella mattina, faceva così freddo quando il sangue colava giù dal pugno lambendogli il polso.
Un paio di istanti più tardi Matt aprì lentamente gli occhi, puntando lo sguardo verso la sua immagine rotta e rossastra che lo specchio gli restituiva. Quanto c'era di vero in quell'immagine?
Non distingueva bene i contorni della sua figura, non riconosceva le sue labbra, i suoi capelli, i suoi occhi... D'altronde neanche prima di fare tutto quel casino si riconosceva, ma almeno in quella situazione comprendeva l'alienazione che provavano i suoi amici quando lo osservavano muoversi o anche solo parlare.
Non c'era più niente di tutto quello che aveva conosciuto fino a quel momento.
Il nulla.
Il sangue continuava a gocciolare ma una tale concentrazione era riservata allo specchio che stentava quasi a farci caso.
Matt...”

È così che è arrivato Brian?” chiese lo psicologo, interrompendo il racconto del ragazzo che, di rimando, annuì.
“O almeno credo.” aggiunse, titubante. “Ricordo davvero poco di quella mattina, nella mia mente è rimasto solo il sangue.”
“Nient'altro? Brian?”
Matt prese a mordicchiarsi il labbro inferiore.
“Lui c'era Doc quindi sì, me lo ricordo. Ha preso subito il disinfettante e delle garze e, con una lucidità che non avrei creduto possedesse, mi medicò la ferita senza il minimo segno di agitazione.”
“Era tanto arrabbiato, vero? È per questo che ha colpito lo specchio in quel modo.”
“I-Io sono ancora arrabbiato, tanto, forse molto più di quanto fossi mai stato... E sono anche tanto spaventato.” ammise, alla fine.
Quando si raccontano le proprie abitudini più segrete o le debolezze più recondite, è inevitabile continuare a parlare senza smettere, lasciare il discorso a metà non renderebbe meno vulnerabili.
“Ha visto che avevo ragione?” disse il dottor Grey, lasciando il paziente interdetto per un istante. “Ha saputo rispondere senza quasi nessuna esitazione alle domande che le avevo posto la settimana scorsa.”
“Ma non ci ho pensato molto.” rispose Matt, come a voler sottolineare che in realtà lui non era ancora d'accordo con questa terapia. “Le parole sono venute adesso e basta.”
Lo psicologo non risponse, ma in cuor suo sapeva che il ragazzo stava mentendo e che provava un briciolo di sollievo, mentre raccontava.
“Vada avanti col racconto.” disse, infine.

Brian sistemò le ferite, le schegge, il vetro, il tutto mentre Matt se ne stava seduto sul letto con i gomiti sulle cosce così da mantenersi la testa e fissare il pavimento di parquet. L'altro ragazzo ogni tanto gli lanciava di sottecchi delle occhiate – dalla porta aperta del bagno aveva visuale completa della camera da letto – e in cuor suo sperava che non facesse nessun altra stronzata.
Posso farti una domanda?”
Matt a quel punto alzò il viso, scritando lo sguardo appuntito di Brian.
Dimmi.”
Perché?”
Non lo so.”
Non raccontarmi stronzate.”
Non sono stronzate, non lo so e non voglio saperlo. L'ho fatto e basta.”
Credo di avere il diritto di-”
Nessuno ti ha chiesto niente Brian, non ti ho mai chiesto niente. Hai sempre fatto tutto da solo.”

“Adesso mi rendo conto che non avrei dovuto rispondergli in quel modo, ma ci sono dei momenti in cui la testa si annebbia e dico tutto ciò che la rabbia mi suggerisce, senza filtri o freni.”
Lo psicologo annotò qualcosa sul suo taccuino, a Matt infastidiva che lo facesse, temeva che lo prendesse per il culo o che scrivesse cose poco carine sul suo conto o imbarazzanti o terribili; insomma, gli avrebbe strappato via quel blocchetto dalle mani e lo avrebbe strappato in mille pezzi.. Scosse la testa.
“Signor Sanders deduco che lei abbia dei problemi a gestire la rabbia, qualsiasi problema le capiti di fronte sembra sia collegato a questo.”
Matt sospirò profondamente.
“Cos'ha?”
“N-Niente, l'ora è finita giusto?”
Si alzò in piedi, di scatto, per poi guardare nervosamente la porta.
“Abbiamo ancora cinque minuti e lei può quindi rispondere alla mia domanda. Si sieda, faccia un bel respiro e parli.”
“Ci si vede, Doc.”
Anche questa volta Brian era in sala d'attesa e, esattamente come la scorsa settimana, balzò in piedi non appena lo vide.
“Sei in anticipo.”
“S-Sì, ascolta Brian non torno a casa vado a fare una passeggiata. Ciao.”
“Matt!” urlò il ragazzo, trattenendo la voglia di afferrarlo per la collottola e strattonarlo. “Aspettami!”
Ormai era troppo tardi, per fermarlo od inseguirlo, o forse semplicemente per ricominciare.

***

“Perché non ti fai fare la ricetta medica?”
“Fa' poco lo spiritoso, ti pago e voglio la mia roba.”
“Tieni tieni, ma stai attento. Mi raccomando.”
“Come se a te importasse qualcosa.”
“Mi sembrava giusto avvertirti.”
Zacky prese il sacchetto che un ragazzo con il berretto calato sulla testa gli diede e, dopo aver pagato, lo nascose all'interno della giacca. Fortunatamente non era lontano da casa, così si ritenne al sicuro piuttosto in fretta.
Le gambe erano piuttosto pesanti, da giorni camminava a fatica; forse la stanchezza accumulata cominciava a farlo star male più dell'insonnia stessa.
Da quant'è che non dormiva, mesi?
Non ricordava a quanto tempo prima risalisse una vera e propria dormita e a volte temeva che non ce ne fosse mai stata una. I mostri che per anni aveva disegnato ed immaginato avevano preso vita, lo accompagnavano ogni ora del giorno e della notte, da sveglio e da addormentato.
Zacky per la prima volta aveva paura, esattamente come Matt, e il suo terrore più grande di manifestava in quelle creature orribili, spesso mollicce o con i denti aguzzi, che secondo dopo secondo tentavano di mangiargli la testa a morsi. Avrebbe voluto correre via, ma non si può uccidere ciò che si ha in testa, era in trappola.
Arrivato a casa chiuse la porta, si tolse la giacca e poi aprì il sacchetto che custodiva così gelosamente. Ne estrasse un piccolo contenitore cilindrico di plastica gialla e tappo bianco; sull'etichetta era stata scarabocchiata ad inchiostro nero: metadone.
Si era vagamente informato su quanto avesse dovuto prenderne ma non importava, avrebbe continuato ad ingerirlo fino a che il dolore e i mostri non si sarebbero dissolti in una nuvoletta di fumo.
Era possibile, tutto era possibile se si avevano le conoscenze giuste e, per di più, nessun essere umano meritava una sofferenza del genere: aveva tutto il diritto di curarsi.
Anche Brian gliel'aveva detto, l'altro giorno, lo aveva quasi pregato di trovare una soluzione alla sua insonnia; dovevano lavorare, ne avevano bisogno per distrarsi, ma non potevano farlo se Zacky si reggeva a malapena in piedi.
“Uno... due... tre...” contava mentre ingeriva pasticche, seduto sul divano, come se stesse assaporando dell'ottimo champagne francese.
Sta per finire tutto, si ripeteva, Dormirò, come una ninna nanna che lo cullava prima di addormentarsi.
Di colpo appoggiò la testa allo schienale, quasi con uno scatto, quasi come se non fosse stato un movimento naturale e volontario.
Zacky aveva chiuso gli occhi, erano serrati e non si percepiva il minimo movimento, se non quello del torace che affievoliva i respiri.

***

Parole che Matt aveva scritto diverso tempo prima, premevano sulle tempie come se volessero uscire fuori, ed urlargli nelle orecchie che in altre circostanze non si sarebbe comportato così, che non avrebbe trattato Brian in quel modo.
Ma, d'altronde, le canzoni del passato non lo rispecchiavano più.
Tension, tensione.
Doveva smaltirla a tutti costi, aveva infatti accelerato fino ad accennare una corsetta. Non si curava della direzione che stava prendendo, di che marciapiedi attraversava, l'importante era non fermarsi e non pensare; soprattutto la seconda.
Poteva affermare con certezza che non era arrabbiato, che tutti si sbagliavano, Doc compreso, che era solo un periodo di merda ed aveva bisogno di stare da solo e sfogarsi. In tal caso, però, non avrebbe detto la verità, non sarebbe stato sincero.
Se a Matt fosse stato chiesto dell'esistenza di un giorno privo di rabbia, non avrebbe saputo rispondere; da quando aveva memoria era sempre stato prima un bambino, poi un ragazzino, dopo ancora un uomo incazzato nero con il mondo. Ce l'aveva con tutti, sempre, anche se con l'età aveva imparato a gestire la situazione.
Fino alla morte di Jimmy.
Sembrava quasi che una parete nel suo cervello si fosse frantumata dopo quell'avvenimento e che il fiume in piena che aveva represso per tutti quegli anni, avesse deciso di esondare.
   
 
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