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Autore: LeMuseInquietanti    03/01/2008    3 recensioni
L’uomo indugiò con il suo polso fra le mani, osservando la carnagione morbida e diafana della ragazza, scrutandola negli occhi, lasciando trasparire qualcosa di febbrile, come la gioia di un trionfo in procinto di sopraggiungere << io? Oh, sono solo Voldemort >>
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Famiglia Black, Tom Riddle/Voldermort | Coppie: Lucius/Narcissa, Rodolphus/Bellatrix
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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BUON 2008!!! Come avete passato la nottata più lunga dell’anno??? Io sono uscita alle 5 del 31 e tornata a casa solo alle nove del mattino, poi ero distrutta!! Ok, fatemi sapere se vi piace! È sulla mia adorata Bellatrix Black!

 

 

<< Questa teiera va qui! >>

La signora Black armeggiava imperiosa smuovendo ogni futile chincaglieria da un lato all’altro dell’immensa tenuta di famiglia. Gli armadi stipi di porcellane erano stati svuotati per permetterne la pulizia, le tende gettate sul divanetto in stile settecentesco, la cristalleria esposta alla luce del sole, pallido ma capace di far brillare ogni singola faccia dell’antica sfera da veggente della prozia Cassiopeia intensamente. Gli elfi domestici si affaccendavano con vigore attorno a quelle fragili opere d’arte, cercavano di non aizzarsi l’ira della padrona di casa addosso sperando di passare per lo più inosservati, strisciando nella solita maniera orripilante con cui si barcamenano nelle avventure della vita. Stava andando tutto a meraviglia, gli elfi danzavano ritmicamente attorno alla mobilia smuovendone il contenuto e poggiandolo con cura dove le dita flaccide della matrona Druella imponeva loro, e per una volta, non avevano rotto niente.

Druella era una donna austera, dal carattere ferreo, che aveva adottato in pieno la filosofia tramandata nella sua famiglia, i Rosier, di madre in figlia << pugno di ferro in guanto di velluto >>. Languida ma austera per indole, stucchevole per convenienza, aveva messo in piedi una Babele di successi costruendo un impero economico favorevole al buon nome della sua famiglia e certamente un vanto per le sue figlie, superbamente, indiscutibilmente, orgogliosamente Purosangue di stampo Black. Suo marito Cygnus probabilmente aveva all’inizio detestato l’idea di riporre le sue speranze in tre bambine dall’aria eterea, pallide e belle come ninfette, viziate più del dovuto e acclamate da tutti tra danze e concerti di piano. Avrebbe preferito un figlio maschio, ma sua moglie, la desiderata Druella Rosier, non aveva saputo accontentare quella sua debolezza. Gli aveva fatto accrescere il patrimonio, ottenendo con mezzucci e alleanze il rispetto del mondo magico. La famiglia Black era cresciuta di potenza, sovrastando casate che da anni si sollazzavano con fare spudorato sulla propria discendenza da illustri antenati. I Black erano schifosamente ricchi. I Black erano schifosamente belli. E superbi. E ottenevano ogni cosa, dal capriccio più futile all’impresa più ardua solo schioccando un dito. In questa casata i valori di Serpeverde erano una sorta di verbo. Essere forti sopra ogni altra cosa. Mai concedere il gusto dell’ultima parola, bisognava ottenere la lode e perseguire il primato a costo di scendere a patti con il nostro peggior nemico. Dar subito, dall’espressione altezzosa, l’idea di assoluto, di irraggiungibile. Bisognava assumere l’espressione di una bambola di porcellana per apparire misteriosamente imperscrutabili e al contempo creare la necessità di sfondare tal velo di nebulosa superiorità.

Druella giunse nelle vicinanze di un vecchio specchio al quale si aggiudicavano proprietà oscure capaci di centuplicarne il valore in qualsiasi negozio di antiquariato magico. Sebbene avesse molto da fare, la donna non potè distrarre il proprio animo dal desiderio di specchiarsi. Il riflesso la inquietò alquanto: si aspettava, probabilmente, di incontrare gli occhi verde smeraldo che avevano incantato i rampolli dell’alta società venticinque anni prima, quando aveva appena concluso il corso di preparazione magica ad Hogwarts, di certo la donna dal viso colmo di rughe che le aveva risposto senza il cenno di un sorriso, autoritaria e quasi amareggiata come sempre il contegno le imponeva, doveva averle causato un moto di repulsione contro se stessa che l’aveva tormentata per qualche attimo, incrinando la sua sicurezza, facendole smarrire il controllo robotico instillatole con anni di lezioni di portamento e applicazione al protocollo di famiglia. Ma era stato solo un attimo. Era bastato identificarsi, ricordare a se stessa di aver ormai raggiunto un’età gloriosa per una donna che aveva tre volte partorito per sentirsi fortunata, e poi incontrare sulla soglia del soggiorno sua figlia Bellatrix, la primogenita, la figlia indomabile che agli occhi di Cygnus aveva saputo togliere il dispiacere del maschio negato dal cielo per rincuorarla del tutto.

Bellatrix Black aveva appena fatto il suo ingresso in stanza, ed anche il cristallo più fulgido pareva fosse impallidito. Doveva essere il suo candore, quasi spettrale, a renderla simile ad un demone notturno capace di incuriosire anche la personificazione della rettitudine massima, o forse quel volto contornato da una cascata di capelli color pece, morbidi, lunghi, insondabili a farla sembrare lontana mille miglia dalla realtà, o ancor di più i suoi occhi, specchi dalla superficie di diamanti neri in grado di far perdere la ragione solo smuovendo languidamente le ciglia. Le sue labbra avevano sempre impressa una curvatura di scherno, e le narici, a volte dilatate come se stessero fiutando qualcosa, bene si accordavano al resto del viso. Assomigliava ad un quadro di un artista tormentato da incubi meravigliosi quanto folgoranti, il più grande pittore di ogni tempo, perché aveva saputo evocare l’inquietudine di quell’animo indomito da ogni singola, vibrante cellula di quell’essere perfetto.

Bellatrix non aveva mai conosciuto la miseria, o l’amore, o qualsiasi altro sentimento in grado di arricchirle l’animo, ma non per ciò il candore della sua pelle esprimeva all’esterno la bontà del suo animo. Al contrario, la ragazza era corrotta dalle ambizioni della madre e dai sogni di gloria di suo padre. Insomma, era lei la chimera che, volente o nolente, avrebbe dovuto rischiare onore, stabilità e reputazione nella caccia sconsiderata al successo. Lei sarebbe stata l’ultimo agnello sacrificale in vista dell’egemonia di famiglia. I suoi figli, come Druella le aveva detto in una delle innumerevoli sere in cui, con qualche scusa, si infilava nella sua camera e le spazzolava i capelli con l’intento di intavolare una conversazione, ebbene i suoi figli avrebbero potuto spendere senza alcun problema, avendo a monte un consolidato patrimonio da cui attingere.

<< potete fidarvi di me madre >> soleva dire Bellatrix << il mio massimo desiderio è servire la mia casata, e rendere orgogliosi di me i miei parenti >>.

E per questo Druella amava sua figlia forse sopra ogni altra, e nascondere la cosa appariva alquanto difficile.

Quel mattino la giovane primogenita entrò con l’aria riposata che la rendeva decisamente incantevole. << madre, vedo che è tutto un cantiere questo salone! Mi chiedo se riusciranno i vostri viscidi elfi a rimetter in ordine ogni oggetto prima di domani sera >>

Lanciò un’occhiata di disprezzo alla schiera di servetti, i quali abbassarono il capo arrossendo immediatamente << se rovinate la mia serata, saprò farvi rimpiangere di essere nati! >>. Ma nessuno dei presenti in quel salotto, nemmeno Bellatrix, dubitava che quegli elfi soffrissero per la sorte avversa da molti, molti anni prima.

<< spero solo che gli ospiti apprezzeranno i nostri sforzi >> sospirò Druella, portando una mano al capo << che almeno Rodolphus lo faccia >>

Il viso di Bellatrix si corrucciò nuovamente, ma rivolse il capo agli elfi, per celare il proprio scontento agli occhi della cara madre.

 

Continua … se vi va!

  
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