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Autore: Gloom    19/06/2013    1 recensioni
-Sai, essere figli di genitori che non si amano è una fregatura: dentro noi siamo per metà come un genitore e per metà come l‘altro. Se non sono riusciti a restare insieme loro, ancora più difficile sarà per noi. . . Perché loro si sono potuti separare; noi invece dobbiamo faticare per mettere d’accordo geni incompatibili dal principio.
 
L'Allegra Brigata non aveva altre ambizioni se non quella di passare indenne i sedici anni dei propri componenti. Ma quando mai le cose più semplici danno mostra di esserlo? Lauretta, Giak, Cicca, Margherita e Riccardo dalla loro hanno che si vogliono bene: per il resto, che si preparino pure ad una sfida dalla quale nessuno uscirà indenne... c'è una spiaggia alla fine della corsa.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Giak si accorse che i disegni erano spariti solo una volta tornato a casa.
Rivoltò lo zaino, cercò sotto il letto, torturò i fratelli, ma presto si accorse che non erano né in casa né tantomeno in possesso dei due pidocchi.
Realizzò che il furto doveva essere avvenuto a scuola e pensò a quando era rimasto chiuso in bagno: solo in quel momento il ladro aveva potuto agire indisturbato. Maledisse il mondo e tutto quello che gli capitò intorno per il resto della giornata... Ma lo stesso non riusciva a sentirsi eccessivamente furioso, anzi: se non fosse stato per la sparizione del suo album, quella sarebbe stata la giornata più bella degli ultimi mesi.
Il fatto che Lauretta, nonostante tutto, fosse stata disposta ad andare a recuperarlo dentro un gabinetto, gli aveva scaldato il cuore: era la sua migliore amica, lo era stata e lo sarebbe sempre stata. Tanto bastava per fargli passare la giornata con un mezzo sorriso sulla faccia, che voleva a tutti i costi sembrare arrabbiata.
Nel pomeriggio riuscì a sentire Cicca.
Giak stava studiando, o almeno si impegnava a far finta di studiare, quando arrivò una chiamata dalla casa dell’amico.
 -Pronto?-
 -Giak, sono Cicca-.
 Giak sentì il respiro fuggire via dai polmoni; eccolo, infine.
 -Ciao...
 -Ciao. Senti un po’... oggi ho parlato con Lauretta.
 -Ah. Ehm... Anche io.
 -Lo so. Non so di preciso come abbiate fatto, ma lei dice che ora è tutto ok. Ehm...- Cicca sembrò imbarazzato.
 -Sì, è davvero tutto ok- lo soccorse Giak.
 -Ah. Bene. Volevo sapere solo questo...
 -Ok.
 -Già.
 Silenzio. Tra loro c’era solo il fruscio della linea telefonica.
 -Cicca... Senti, ma tu sei ancora incazzato con me?
 -Be'... Un po’.
 -Sì, ehm... Insomma, mi dispiace. Lo sai come sono, quando mi arrabbio comincio a sparare cazzate...- Giak dovette chiudere gli occhi mentre parlava: li strizzò come se le parole che aveva appena detto fossero state un’agonia.
 -Sì, be'... Insomma, però è tutto ok. Penso che possiamo lasciarci tutto alle spalle. Ti dicevo, Lauretta mi ha detto che stai meglio... Stai meglio, sì?
 Giak non sapeva che rispondere, ma non voleva impappinarsi proprio in quel momento.
 -Sì. Sto bene-. Ecco: Lauretta era riuscita a farlo sembrare convinto, anche a distanza. Come ci fosse riuscita, sarebbe sempre rimasto un mistero.
 -Meno male... 
 -Già.
 Silenzio.
Passarono pochi istanti, poi Cicca proruppe in una sonora risata:
 -Che c’è? Perché ridi ora?- continuò Giak.
 -Oddio, scusa, scusa! Non ce la faccio, davvero...
 -Mi stai prendendo in giro? Cicca, andiamo, ti ho chiesto scusa, già è stato imbarazzante per me, non aggiungere il carico da novanta...
 Ma lui continuava a ridere: -un momento, dai, scusa, ora la smetto, un attimo...- ma non si fermava, le risate erano così forti che Giak dovette allontanare il telefono dall’orecchio.
 -Cicca, che ti sei fumato? Cicca?- Giak si stava preoccupando.
 -Niente, broccolo’. Sono solo sollevato.
 -E ridi per questo?
 -Be'? Fattela pure tu una bella risata, amico.
 Giak sogghignò. Non ce la fece a sciogliersi come era successo a Cicca, ma anche lui sentì qualcosa dentro che stava per decollare.
 -A proposito… al di là da tutto: ora puoi dirmelo il perché tieni così tanto alla felicità di Lauretta? 
 
Le due ragazze camminavano a passo svelto per il corridoio della scuola, elettrizzate. Avrebbero dovuto essere a lezione, ma era l’ora di religione. Ci era voluto poco per far credere alla prof che avessero bisogno del bagno.
 Una era piacevolmente tonda, massiccia e con i capelli sempre più lunghi che si arricciavano verso le punte.
L’altra era di costituzione magra, ma l’effetto era enfatizzato dalla felpa larga e dai jeans abbastanza larghi da finirle sotto le converse. I capelli si erano allungati dall’ultima volta che li aveva tagliati, così li aveva raccolti in un codino. In attesa di tornare dal parrucchiere, ovviamente.
 La ragazza con la felpa stringeva al petto un album di fogli A4, è importante dirlo.
 -Di qua- disse Margherita, -è quasi aprile, e ancora non impari la classe di tua cugina... Sei uno scandalo! 
 -Zut!- Lauretta cacciò il cellulare dalla tasca dei jeans e mandò un rapido messaggio a Sara.
 Pochi minuti dopo, eccola uscire: sempre più bassetta delle altre due, sempre più truzza.
 -Tutti questi misteri mi intrigano! Perché mi hai chiesto di uscire, cugi? 
 -Ho bisogno di un favore enorme... Tu conosci qualcuno del giornalino di istituto, vero?
 -Solo Mastropaolo, quel tipo alto con i capelli che sembrano una fratta, ma solo di vista...
 -Che classe fa?
 -Il terzo E.
 -Perfetto. Grazie, cugina!
 -Ehi, ti servivo solo per questo? Potevi semplicemente mandarmi un messaggio...
 Lauretta si abbassò di un po’ e le diede un bacio sulla guancia, come piaceva a lei.
 -Anche per questo. Ti voglio bene!
 -Temè, che sdolcineria è mai questa? 
 -Lascia stare, Sara. Lauretta sembra impazzita ultimamente- si intromise Margherita.
 -Andiamo, abbiamo il terzo E da cercare- disse Lauretta.
 -Cerchiamo, cerchiamo... Ho una vaga idea di quello che vuoi fare.
 
Margherita ci aveva visto giusto. E quando, il giorno dopo, Giak scoprì che tutti i suoi amici erano tornati a parlargli -la chiamata di Cicca doveva aver sortito un certo effetto rassicurante-, si rese conto che tutti sapevano qualcosa di cui solo lui era all’oscuro.
 In ogni caso, decise di non dar troppo peso alla cosa: era troppo contento di essere tornato a far parte dell’Allegra Brigata.
 Era successo tutto molto tranquillamente: dopo la chiamata (e la confessione) di Cicca si era recato a scuola un po’ confuso, un po’ teso e molto ansioso. Prima arrivasse al suo posto Cicca gli si era fatto incontro, con un largo sorriso sul volto.
 -Bella Giak!- aveva salutato. Gli aveva rifilato un cinque e un breve abbraccio, poi aveva lasciato che anche Riccardo gli desse un paio di sonore pacche sulla spalla.
 -Ehi... Tutto apposto allora.
 Mentre Giak smaltiva l’imbarazzo, aveva sentito l’emozione farsi strada dalle parti del petto.
 -Sì. Sì, tutto ok. Ho parlato con Lauretta, ci siamo chiariti...
 -Grandioso! Allora possiamo non pensarci più.
 -Già...
 -Ehilà!- Lauretta era balzata al centro del gruppo di ragazzi e i tre avevano cominciato a spintonarsela tra loro, mentre lei rideva.
 Era stato un piacevole diversivo, aveva pensato Giak: era bastato che sorridessero lui e Lauretta, per sollevare anche tutti gli altri dal peso che aveva gravato negli ultimi tempi. 
 
-Giak, Giak!-
Era passata una settimana: era un sabato mattina e i nostri eroi, di nuovo amici fra loro, stavano rientrando in classe, dopo la ricreazione. Lauretta correva, con un giornalino arrotolato tra le mani.
 -Che c’è?- chiese distrattamente Giak.
 Lauretta si fermò davanti a lui, affannata, col petto che si alzava e abbassava ritmicamente seguendo il suo respiro. Aprì il giornalino, che Giak riconobbe come il giornalino d’istituto.
 -Tieni. No, non guardare ora: aspetta di essere più tranquillo. Magari quando torni a casa, ok?
 -Non capisco... Non c’è mai scritto niente di interessante, lo dici sempre!
 -Non è quello che c’è scritto... Tu sfoglialo un po’, poi mi dirai. Forse ti arrabbierai un po’, ma... Be‘, poi mi dici.
 In quel momento passarono Cicca e Margherita e, vedendo il giornalino in mano a Giak, ghignarono:
 -Aaah, Lau, non dirmi che l’hanno fatto davvero...
 -È stato facile convincerli. Tra tutta quella spazzatura che ci arrabattano dentro, finalmente qualcosa di davvero meritevole... 
 Un presentimento si fece spazio in Giak, ma, prima che potesse esclamare qualsiasi cosa, arrivò la professoressa a farli filare a posto.
 Inquieto, Giak lasciò che passasse la prima mezz’oretta della lezione, poi chiese di poter andare in bagno; nessuno si accorse che, dentro la tasca della felpa, era ripiegato il giornalino.
 Il nostro eroe si infilò nello stesso gabinetto in cui era crollato neanche due settimane prima. Non ci fece caso.
Ansioso, si sedette sulla tazza e sfogliò rapidamente il giornalino. Sapeva dove andare a guardare...
Non temere, se disegni una cagata ti prometto che sarò la prima a dirtelo. Comunque, che problema c’è? Disegna qualche vignetta e vedi se la mettono nel giornalino della scuola”, aveva detto Lauretta mesi prima.
 Giak si rese conto di parecchie cose in pochi istanti: prima di tutto, che era stata Lauretta ad aver rubato i suoi disegni.
La seconda cosa era che evidentemente aveva ricercato qualcuno del giornalino.
 La terza era che ora i suoi disegni erano lì, scannerizzati, stampati in diverse decine di copie e sotto gli occhi di tutto il liceo classico di Polverano.
 La quarta che i suoi erano gli amici migliori del mondo.
 Sorrideva Giak, dentro il gabinetto: sorrideva, e visto così sembra stramaledettamente figo. I capelli scuri si erano allungati in quei mesi, ora gli pendevano davanti agli occhi e alla fronte, e si stava mordendo le labbra in modo che sarebbe sembrato provocante anche alla Alex più remota.
 

 Epilogo

 
Due giugno.
Ponte.
Caldo.
Cinque biglietti del pullman per il mare.
 I nostri amici dell’Allegra Brigata si erano svegliati indecentemente presto e, sotto un sole finalmente caldo, avevano lasciato Polverano in favore di quel mare che non vedevano da mesi. Si erano quasi scordati com’era una spiaggia.
 La scuola stava per finire, quelle ultime due settimane sarebbero state una passeggiata... Ormai, le medie erano fatte e i voti segnati. Buoni voti: le loro sufficienze erano state scritte con il sangue.
Non che fosse stato semplice; sia Giak che Lauretta avevano dovuto pagare un insegnante di ripetizioni prima di arrivare al sei in greco e latino. Il suddetto insegnante (lo stesso per entrambi, dopo che Lauretta aveva passato il suo numero a Giak) era stato prossimo a gettare la spugna, ma alla fine ce l’avevano fatta - anche grazie a un paio di notti insonni da parte dei ragazzi e alla bontà della prof che, come ultima versione, propose loro una favola di Esopo. Be‘, a rimandare metà classe avrebbe sfigurato anche lei, tutto sommato.
Quando scoprirono che anche l’ultima versione decisiva era andata bene, i due amici si erano presentati dal professore di ripetizione con un vassoio pieno di pastarelle e gli occhi colmi di gratitudine.
 Ed ora eccoli là, in converse di pezza rotte e costumi colorati, mini jeans per le ragazze e mezze maniche per i ragazzi, zaini della scuola svuotati di libri e riempiti con teli da mare, a calcare le sabbie della misera costa abruzzese.
 -Bella per tutti!- esclamò Cicca non appena si furono sistemati su una fetta di spiaggia libera.
Di fianco a loro, gli stabilimenti balneari avevano aperto i battenti da un po’, su quelle spiagge ancora scevre da vagonate eccessive di turisti.
 -Che caldo...- sospirò Margherita.
 -Già... Be', non è magnifico?- rise Lauretta. Era l’unica che ancora non si era levata i pantaloncini e la t-shirt, ma il suo imbarazzo forse non era dovuto solo al naturale pudore dei timidi: ultimamente era arrossita un po’ troppo spesso a determinate occhiate che non aveva mai pensato di poter meritare da parte di un ragazzo… meno che mai da un suo amico. Meno che mai da Cicca. E sì che Margherita glie l’aveva messa la pulce nell’orecchio, ma Lauretta non aveva mai capito se ogni volta scherzasse… e, tutto sommato, non era neanche sicura di volerlo sapere. Non aveva mai pensato a Cicca sotto quel punto di vista; ogni volta quindi si ritrovava ad abbassare lo sguardo per nascondere l’imbarazzo davanti alla sua migliore amica, senza sapere mai come schernirsi. L’unica cosa che il suo cervello pensava era semplicemente no, no, non posso essere io, non è possibile che qualcuno addirittura si… innamori… di me…
Poi però prima di dormire si ritrovava a considerare che ok, forse una spanna più alto sarebbe stato meglio, ma anche così Cicca non era affatto male, dopotutto… e, anche se la mattina dopo non poteva ricordarlo, ogni volta si addormentava con la mente che era tornata a quando lui l’aveva vista in lacrime fuori scuola e l’aveva abbracciata con tutto se stesso.
 Giak aveva appena fatto in tempo a sistemare senza pieghe il suo telo da mare sulla sabbia, che Riccardo ci si gettò sopra a peso morto.
 -Voglio restare così fino a settembre!- disse.
 Giak afferrò i lembi dell’asciugamano, li tirò e fece rotolare Riccardo sulla sabbia:
  -Cento punti per Giak!- risero Cicca e Margherita.
 Mentre Riccardo e Giak cominciavano a fare a botte sulla sabbia, Cicca si rivolse a Lauretta:
 -Ehi amica, hai intenzione di restare vestita ancora per molto? Guarda che non devi vergognarti, anche noi siamo ancora pallidi come mozzarelle-.
 Lauretta ridacchiò (una risata strana e nervosa): -oh, non è quello il problema... È che mi sento più a mio agio così. Magari poi, quando entreremo in acqua, mi metterò in costume-.
 -Mmm...- Cicca lanciò un’occhiata complice a Margherita, poi richiamò gli altri due che si stavano ancora rotolando nella sabbia.
 La schiena di Giak sembrava una fettina panata.
 -Ragazzi, Lauretta non vuole spogliarsi. . . Veloci! Lei al centro e tutti in acqua
 I quattro si misero ai lati di Lauretta, la agganciarono e, tutti insieme, fecero forza per trascinarla in acqua con pantaloncini e tutto.
Lauretta squittiva, ma non riusciva a liberarsi dalle prese d’acciaio di Cicca, Giak e Riccardo.
 -Bella!!!
In cinque finirono in acqua, tra spruzzi gelidi e ondate fredde.
 Ridevano: avevano aspettato quel momento per mesi e, ora che era arrivato, toccavano il cielo con un dito.
 Avevano dimenticato tutto quello che avevano passato durante l’anno scolastico: la sofferenza, la stanchezza, la tristezza. Tutto era scivolato meravigliosamente via, ed era proprio la speranza di un momento come quello che li aveva aiutati ad arrivarci.
 
 La pace regnava: si trovavano sotto le fronde di una pineta ora, erano da poco passate le tre del pomeriggio. Avevano appena finito di mangiare, le carte dei panini e delle pizze che avevano comprato giacevano appallottolate dentro un cestino dell’immondizia.
Davanti a loro la spiaggia libera, colorata dai loro teli da mare e da un paio di ombrelloni piantatati da qualche altra famiglia arrivata nel frattempo.
 Era quella fase di abbiocco post-pranzo, ma ovviamente nessuno aveva voglia di dormire; non ora che erano tutti insieme. Ci sarebbe stato tempo quella sera, dopo una doccia per lavare via la salsedine dai capelli.
 -Che pace. . . È uno di quei momenti che vorrei non finissero mai, questo- disse Margherita.
 -È uno di quei momenti in cui un’amaca ci starebbe tutta- sbadigliò Cicca.
 -Una bella amaca, tra un pino e l’altro. . . Sai che figata?
 -La prossima volta che torniamo qui - perché ci sarà una prossima volta-, mi porto dietro l’amaca di Giorgio. Ne ha una che quando la pieghi occupa pochissimo- disse Lauretta.
 -Giorgio, Giorgio. . . Ma non ti stava sulle palle?- chiese Giak.
 -Mi sta ancora sulle palle. Potrei ucciderlo da un momento all’altro. Ma, se lui si è preso mia madre, non vedo perché io non possa prendermi la sua amaca...
 Giorgio: la nuova fiamma della madre di Lauretta. Quello per cui si era fatta bella, la sera in cui Lauretta si iscrisse a Facebook.
 Non era stato facile: fu uno dei momenti più imbarazzanti per lei, per sua madre e più di tutti per quel Giorgio, che non c’entrava niente ma che ci era voluto rientrare per forza.
Non era stato simpatico a Lauretta fin dal primo incontro: lo trovava esteticamente spiacevole (ma qualcuno disse che, dopo i quaranta, sei così disperata da non mettere più in conto la bellezza, purché fosse quello giusto) e immensamente stupido.
Non le piaceva la sua presenza e odiava il fatto che, quando le rivolgeva la parola, provava a sembrare giovanile... Perché effettivamente non ci riusciva. 
Odiava trovarselo tra i piedi ogni fine settimana.
E, più di tutto, odiava quando usciva il discorso di Giorgio con suo padre: lui cercava di non sbilanciarsi troppo (con la ex moglie cercava sempre di salvare quella parvenza di civiltà, davanti alla figlia) ma ogni volta l’astio traspariva dalla sua voce.
Eppure Giorgio esisteva ed amava, corrisposto, sua madre. Ci erano voluti diversi mesi perché la cosa diventasse ufficiale, ma ora il guaio era fatto. E Lauretta non aveva potuto far altro che adeguarsi.
Non le piaceva per niente, ok; ma l’aveva capito da sola che avrebbe dovuto farsene una ragione ed abituarsi... O forse, a farglielo indirettamente capire, era stato lo sguardo con cui a volte aveva beccato sua madre a guardarlo. Uno sguardo pateticamente innamorato e finalmente sereno.
Davanti a uno sguardo del genere, con quale cuore di figlia avrebbe potuto continuare a tenerle il muso?
 -E poi è quasi bello essere di nuovo in tre a tavola- Lauretta si strinse nelle spalle.
 -Dipende... L’altro giorno eravamo anche noi in tre a tavola. Io, e i due pidocchi- ghignò Giak.
 -Che dolci!- esclamò Margherita.
 -Ma che! Lucio è solo un coglione. A momenti non lo steccavano, sapete?
 -Be', da che pulpito!- sghignazzò Cicca.
 -Un conto è in quinto ginnasio, un conto in terza media! Deve essere proprio stupido...
 -Come mai eravate solo voi tre?
 -Non ricordo, probabilmente mamma era da nonna.
 La risposta bastò a tutti, senza che ci fosse bisogno di chiedere dove fosse invece il padre: alla fine, era successo.
 Alla fine i genitori dovevano essersi accorti che la situazione stava degenerando. Forse li aiutarono a capirlo i voti di Lucio e Giak, forse ci riuscirono da soli... In ogni caso, un bel giorno si erano guardati negli occhi e avevano pensato, nello stesso momento, “così non può continuare”.
 Avevano continuato a discutere per mesi: allo stesso modo in cui Lauretta si era fatta una ragione della presenza di Giorgio, Giak si era dovuto adattare a quella condizione di guerra continua. Ormai la dava per scontata: non gli rendeva la vita piacevole, ma, con i fratellini, si era adattato. Eppure pian piano si erano accorti che le discussioni si andavano facendo sempre più pacate… fino a quando non cessarono del tutto: ci fu una tetra serata attorno al tavolo, parecchio imbarazzo e lo sguardo perso di Daniele (l’unico che, in fondo, non aveva mai capito cosa stesse succedendo). Era finita.
Cominciò quello che sarebbe stato il periodo più stancate per tutti i membri di quella famiglia che si preparava a non essere più tale: Giak e Lucio aiutarono il padre a caricare la macchina scatolone dopo scatolone, fino a quando un piccolo appartamentino affittato in periferia non fu pieno degli effetti che subito avevano abbandonato la loro vecchia casa, e da allora i tre fratelli si erano andati abituando ad una buffa routine che li vedeva ora tutti attorno alla madre (che in quel periodo si sentì tanto mamma chioccia, circondata da quei ragazzotti che forse, pensava sentendosi un po’ in colpa, stavano venendo su un po’ più tristi del necessario) e ora stretti nell’appartamento del padre (il quale invece più che in colpa si sentiva preoccupato: sperò, in quel periodo più che mai, che ognuno dei suoi ragazzi fosse destinato ad incontrare una donna in grado di amarli per sempre, in futuro).
 Era una condizione un po’ penosa, ma Giak non dubitava che presto ci avrebbe fatto l’abitudine: non era la fine del mondo, dopotutto. Dopotutto era il giusto prezzo da pagare, pur di non sentire i suoi litigare ogni giorno più ferocemente. Magari non era il meglio che potesse augurarsi, no, nient’affatto; eppure da quel momento in poi per lo meno ricominciò ad assaporare uno spiraglio di tranquillità, lo stesso di cui aveva sentito la mancanza per tutti gli ultimi mesi.
 
 E tranquilli lo erano tutti: Lauretta e Giak, Cicca, Riccardo, Margherita.
 Cicca era felice perché, nella loro condizione di passaggio da quinto ginnasio a primo liceo, non solo non avevano compiti per le vacanze, ma avrebbero anche cambiato professori. Era fermamente deciso a non lasciare che suo padre si fermasse a parlare con quelli nuovi, e si sentiva estremamente positivo nei confronti della vita. Tanto da essersi appena accorto di aver finito il drum per le cicche, e…
 Margherita non aveva mai avuto eccessivi problemi: l’unico suo cruccio era stato Marco, ma ultimamente non l’aveva più visto.
In realtà io so che entro giugno già aveva trovato una bionda, devotissima ma decisamente meno casta di Margherita, e si era sistemato come un sultano nel suo harem.
 Riccardo stava cominciando a trovare accordi con quel suo fratello così popolare. Ora che aveva la maturità stava studiando come non aveva mai studiato in cinque anni. . . E già da tempo aveva cominciato a dare un’occhiata ai test d’ingresso di diverse facoltà universitarie. Era talmente preso che ci era servito proprio Riccardo per ricordargli della sua chitarra.
 -Non ho tempo- aveva risposto Mauro.
 -E Bianca Glossa?
 Mauro non aveva risposto. A quel punto Riccardo era andato in camera, aveva preso la cinta dalla fibbia grande che tanto piaceva a Mauro e glie l’aveva data.
 -Vattela a riprendere. Tanto, lo sai: l’unico modo per essere bocciati alla maturità, una volta che ti hanno ammesso, è salire sul banco e sparare agli esaminatore esterni. 
 Mauro aveva alzato lo sguardo, incredulo. Stava per sorridere, quando si ricordò che lui era un duro e un figo, soprattutto davanti al fratello minore.
 Però da quel giorno la cinta la condivisero volentieri.
 
 Vedendoli così, sotto il primo sole estivo, i nostri cinque eroi mi sembrano uno più bello dell’altro.
 Incredibilmente belli e incredibilmente forti.
 Rimasero tutto il giorno in spiaggia, perché avevano deciso di riprendere l’ultimo autobus per tornare: al diavolo le storie che avrebbero fatto i loro genitori.
  Durante quella giornata, i cinque dimenticarono davvero tutto quello che avevano sofferto quando a Polverano era freddo. Lo dimenticarono: i periodi scuri saranno pure lunghi, ma quelli belli sono così intensi da cancellarli e così potenti da dare la forza per affrontarne cento, di periodi scuri. Bastava saperseli portare dentro.
 Ce ne sarebbero stati, oh sì: aspettate solo che cominci il nuovo anno scolastico, vedrete quanto altro dovranno patire Lauretta, Giak e gli altri.
Dovranno affrontare l’anno più difficile del liceo, per niente preparati da un ginnasio che era stato abbastanza carente.
Dovranno vedersela con le famiglie e con la salute: roba così tosta che rimpiangeranno i fatti narrati in questa storia.
Ma la loro era una forza che veniva da dentro, scolpita e modellata da un crudelissimo scalpello. 
Non importava cos’altro avrebbero dovuto affrontare: pur non conoscendo quello che il futuro aveva in serbo per loro, si sentivano pronti a viverlo. Era già un bel passo avanti.
 -Ho finito il drum- annunciò Cicca. –Chi è l’anima pia che mi accompagna a ricomprarlo?
 -Cicca, abbi pietà, siamo in pieno svacco…- mormorò Margherita.
Cicca, che nel frattempo si era già alzato, sospirò. –Pigri! Andrò da solo…
Stava già per attraversare la pineta, diretto alla tabaccheria più vicina, quando si alzò rapidamente anche Lauretta: -aspetta, ti accompagno io.
 Il vecchio Cicca sentì la gola seccarglisi mentre si rendeva conto che Lauretta, sola, stava avvicinandosi proprio a lui. Al diavolo la maglietta bianca che lasciava indovinare la sagoma del costume, al diavolo i pantaloncini calzati senza sforzo da quelle due belle gambine: Cicca, per un istante che gli parve terrificante e pericolosamente lungo, rimase incantato da due occhi vispi e, finalmente, sorridenti. Deglutì un nodo alla gola.
 -Grazie. Già che ci siamo, devo anche dirti una cosa… 


 
 
 
  


 Fatto: "L'Allegra Brigata" è finita... o forse no: se potessi stringermi la mano da sola lo farei anche solo per la conclusione che mi è venuta in mente. Non avreste mica voluto che scrivessi anche gli esiti del discorso di Cicca e Lauretta, vero? Mi piace che resti a libera interpretazione. Credo dia più gusto.
Se la mossa non è di vostro gradimento... venitemi pure a cercare, ma sappiate che sono abbastanza crudele per non rivelare cosa potrei aver progettato.
Spero che la storia non abbia annoiato, spero di non aver ingrossato le file del pattume che si trova già fin troppo facilmente, spero (udite udite) che abbia lasciato qualcosa. L'ho scritta anni fa ormai -anche se, almeno, non ero più al ginnasio come i protagonisti; non so quanto di me vi abbia messo dentro, però di sicuro pochi dei sentimenti descritti sono inventati. Per il resto... non ho mai passato il capodanno fuori senza che i miei lo sapessero, ma in compenso per sentirmi più vicina ai protagonisti ho preso un sacco di belle insufficienze a scuola. Evvai!
Non sono molto convinta dalla storia, però vederla così conclusa mi fa un certo effetto: ho cambiato casa due volte da quando ho scritto la parola "fine", eppure ogni volta in cui la rileggo mi pare di tornare indietro nel tempo. Cicca, Lauretta, Giak, Riccardo e Margherita sono lo specchio dei miei sedici/diciassette anni, dopottutto. 
Ringrazio tutti quelli che sono arrivati fino qui. Chi ha recensito (balsamo per il mio povero cuoricino, ripeto!), ma anche chi ha semplicemente letto. Non che non mi farebbe piacere ricevere un parere anche ora (siete ancora in tempo per sentirvi piovere addosso la mia gratitudine!), ma ho comunque apprezzato sapere che qualcuno, da qualche parte d'Italia, si è fermato un attimo dalle parti di Polverano. 
 Grazie a tutti per il sostegno e, ovviamente, mi auguro presto la pace nel mondo.
 
  
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