CAPITOLO 1
Ricordi
Pioggia,
sempre, solo, ancora pioggia! Da
quanti anni ormai gli inverni al Santuario erano caratterizzati da
interminabili giorni di precipitazioni….il fenomeno si verificava sempre allo
stesso modo, iniziava sempre lo stesso giorno…
Già!
Quel maledetto giorno… Di tanti anni addietro…
Quella
sanguinosa corsa contro il tempo costata vite umane, amicizie perse per sempre…
Dietro
ai vetri delle finestre dall’ ottava casa, colpite dalle raffiche di vento,
Milo, suo custode, osservava, triste, il cielo grigio piangere…
Piangere,
come il suo cuore, al pensiero di dover partecipare ancora una volta alla
cerimonia in onore e ricordo della scomparsa dei suoi compagni.
Tanti
erano periti nel corso delle battaglie. Ormai rimanevano in pochi Gold Saint a
protezione del Santuario… Lui, Aioria, Mu, Aldebaran, Shaka ed un rinnovato
Kanon, ora Saint dei Gemelli.
E
dal suo luogo di meditazione, alle cascate di Goro Ho, il vecchio maestro Doko,
Gold Saint della Bilancia.
Tutti
gli altri cavalieri, delle caste minori, erano momentaneamente in congedo. Ora
nessuno minacciava la tranquillità del mondo.
Ovviamente
Milo li avrebbe rivisti di lì a poche ore, alla commemorazione, e la cosa non
lo dispiaceva affatto. Il legame di amicizia che li univa si era rafforzato
negli anni a combattere insieme e ora li considerava come fratelli e sorelle…
la sua famiglia.
Tra
tutti era Hyoga quello a cui voleva più bene, probabilmente in virtù di una
promessa fatta a Camus, maestro d’arme del ragazzo, nonché suo migliore amico.
Lui
che era stato il signore dei ghiacci, padrone delle arti del gelo…
Milo
distolse lo sguardo dal panorama visibile dalla sua camera da letto, gettò una
breve occhiata all’orologio da parete di fronte a lui…14.30…doveva sbrigarsi.
Alle 15.30 Saori iniziava la funzione, giù nell’arena, dietro la casa del
Montone Bianco.
Si
sfilò la veste da notte, lasciandola cadere sul pavimento, aggiungendola alla
disordinata serie di oggetti sparsi per ogni dove. L’ordine personale non
penetrava nelle sue priorità; come il non rispettare orari e regole… ed infatti
si era appena svegliato!
Si
fissò un attimo nello specchio… era ancora un giovane, eppure dentro di sé si
vedeva molto più vecchio… un animo e un ego cresciuti troppo in fretta…
appesantiti dalle responsabilità derivanti dal suo rango, dalle missioni
affrontate in tanti anni di servizio e dagli innumerevoli avversari abbattuti
in combattimento.
Un
ruolo importante, nella sua formazione, lo aveva anche la sua sfortunata
infanzia.
Era
nato in una umile famiglia di contadini… Così gli aveva raccontato colui che
era stato il suo allevatore. I suoi veri genitori lo avevano abbandonato ancora
in fasce davanti alla sua porta…
Oh
si! Fin dai suoi primi attimi sulla terra la sorte era stata crudele con Milo!
Il
cavaliere terminò il pensiero, raccolse il mantello indicativo del suo status
di Gold Saint e uscì dalla stanza.
Fuori,
all’entrata, lo attendevano gli uomini della sua guardia! Soldati dall’aspetto
possente, corpi muscolosi, abbronzati, segnati dalle cicatrici, ricordi delle
numerose battaglie. Fedeli come nessuno e pronti al sacrificio per il loro
comandante.
Lo
salutarono con un inchino e si disposero alle sue spalle… in due file ordinate.
L’armatura
dello Scorpione brillava, lucente, sotto la pioggia battente, nonostante la
poca luce della giornata.
Partirono,
a passo di marcia, per coprire la distanza che li separava dal luogo della
cerimonia. Il tempo non accennava a migliorare.
“Che strazio” pensò
Milo “se fosse neve
almeno…”
La
neve, bianca, morbida, pura…
In
quel momento avrebbe dato se stesso per vederne un po’…
Per
la “sua” neve, perfetta, ogni cristallo uguale, regolare, geometrico!
Si!
La neve che solo Camus sapeva creare, le forme che gli dava, il modo in cui la
faceva scendere…quasi una danza!
- Camus! - al
ricordo del suo amico si sentì mancare.
Da
quando era scomparso non un solo fiocco di neve aveva più toccato le terre del
Santuario. Durante le stagioni fredde
cadeva solo pioggia . I giorni erano grigi, umidi…
Perso
nei suoi pensieri il cavaliere dello Scorpione non si accorse nemmeno di
trovarsi già alla sesta casa, il cui custode, Shaka lo aspettava per scendere
insieme.
Si
scambiarono un saluto frettoloso, poche parole e ripresero il cammino.
In
quel giorno nessuno aveva voglia di parlare. Si lasciava spazio ai ricordi,
alle emozioni, ai sentimenti… il partecipare alla cerimonia valeva più di mille
discorsi.
Un’improvvisa
raffica di vento gli gonfiò il mantello fino quasi a staccarlo dagli spallacci
della corazza. Milo lo afferrò per tempo e se lo richiuse nuovamente addosso.
Un ricordo attraverso la sua mente… anche il giorno dell’investitura a
cavaliere di Scorpio c’era vento forte. Quella volta però il mantello gli
scivolò di mano… Per fortuna Aiolos lo raccolse in tempo, con un sorriso glielo
porse, negli occhi la luce inconfondibile del coraggio e della sicurezza che lo
contraddistingueva da tutti gli altri Saint. Era di pochi anni più grande,
abile in combattimento, veloce e potente e oltremodo saggio, riflessivo per un
ragazzo così giovane. Anche se cavaliere di Atena!
Gran
giorno quello…l’investitura, un traguardo tanto atteso, quanto meritato,
raggiunto dopo anni di duro addestramento tra i monti della Greca… praticamente
isolato dal mondo. Quanti ricordi!
Tutto
ebbe inizio quando i suoi genitori lo abbandonarono appena nato davanti alla
porta di un ricco proprietario terriero. L’uomo, conosciuto per la sua
antipatia e cattiveria, trovandosi per le mani un bebé andò su tutte le furie,
ma nonostante tutto decise di tenerlo. Una volta cresciuto avrebbe fatto
lavorare per lui il bimbo, per rifarsi del tempo e del denaro speso per il suo
mantenimento.
Così
Milo si ritrovò alla servitù di quel signorotto avido e borioso.
Incredibile
che nell’età moderna esistesse qualcuno che ancora rendeva servi le persone.
Soprattutto
in un paese progredito come
Eppure!
Tutto per un tozzo di pane e un bicchiere di latte.
All’età
di 3 anni, Milo già faceva lavori da adulto, pesanti perfino per uomini maturi
e abituati a sopportare la fatica! Sembrava incredibile eppure le sue braccia
esili e le gambette ossute possedevano un’inesauribile forza ed energia! Gli
adulti lo guardavano con sospetto…Tra loro girava la voce che il bimbo fosse
figlio del demonio. Non aveva amici il piccolo, era l’unico bambino presente
nella fattoria! Era un bel fanciullo, occhi grandi, espressivi, capelli ricci,
di un inconsueto colore blu!
Questa
sua bizzarda caratteristica non lo aiutava di certo e aumentava di giorno in
giorno la paura che i contadini avevano di lui! Solo il padrone sembrava non
dare peso alle sue doti straordinarie e al suo aspetto da folletto! A lui
bastava che producesse quanto richiesto. Per lui era una macchina da lavoro e
basta, da sfruttare al meglio.
Milo
passava gran parte del suo tempo ad accudire il bestiame: cavalli, buoi,
mucche, porci, muli, oche, galli e galline… e quanto altro ci fosse che non
somigliasse ad un uomo!
Lui
si divertiva tra gli animali, anche se lo facevano faticare, in un certo qual
modo comunicava con loro. Voleva loro bene e li trattava con riguardo e
rispetto! Dopo tutto lui si cibava con il latte della mucca, le uova delle
galline, la carne dei maiali e per questo gliene era riconoscente. Insomma uno
scambio equo; questo pensava!
Non
aveva quasi mai tempo per giocare o divertirsi ma nonostante ciò aveva
sviluppato un carattere esuberante, burrascoso…era un monello! Appena gli si
presentava l’occasione tirava brutti scherzi ai manovali al lavoro nei campi!
Si appostava sugli alberi e con una grossa fionda li bersagliava con piccole
pietre o le ghiande dei pini. Poi si nascondeva tra le fronde dei rami più alti
a cinguettare come un uccellino per non farsi trovare. Che spasso… I volti
contorti in smorfie di dolore e sorpresa e le urla imbufalite degli uomini lo
riempivano d’orgoglio! Ma nessuno quanto il padrone… con il suo enorme sedere,
la pelata luccicante al sole e i baffoni grigi.
Per
lui sceglieva sempre le pietre più grosse e le ghiande più acerbe perché più
dure!
Aaah!
Che musica soave sentir imprecare quell’ammasso di ciccia senza cuore… che
poesia la sua voce gutturale urlata al vento contro un attentatore invisibile.
Quanto
odiava quell’uomo, anche se lo aveva cresciuto. Era un continuo
maltrattamento, insulti, calci, pugni,
sputi.
Ma
un giorno l’avrebbe fatta finita, se ne sarebbe andato, per il mondo, alla
ricerca di un luogo tranquillo dove ricominciare a vivere.
E
forse non avrebbe dovuto aspettare molto! Si avvicinava infatti la consueta
visita annuale a tutte le case della regione del Grande Sacerdote della città
di Atene! Una mistica figura mascherata, ammantata da un velo di magia e
santità!
Milo
non se lo ricordava bene, era troppo piccolo gli anni precedenti, ma in lui era
viva la sensazione provata quando quell’uomo lo aveva tenuto in braccio ancora
in fasce e lo aveva benedetto con la sua preghiera! Aveva sentito un enorme
calore irradiare dall’animo del sacerdote, una pace angelica nel suono della
sua voce.
Ancora
una volta lo avrebbe incontrato e la cosa lo riempiva inspiegabilmente di
euforia, di impazienza.
Contava
i giorni che lo separavano dalla vista, maledicendo il tempo perché non
scorreva più in fretta. Ad una settimana dall’arrivo del pontefice ateniese
Milo era diventato totalmente irrequieto, non ce la faceva più ad aspettare…
Qualcosa lo spingeva ad accorciare i tempi… e così gli venne in mente un’idea.
Al
termine di una normale giornata di lavoro scese nelle cucine della casa
patronale, riempì furtivamente una sacca di cibarie e si rifugiò nella sua
stanza. Quella notte sarebbe scappato!
Attese
in silenzio, fingendo di dormire fino a che tutti si furono coricati. Come si
spense l’ultima luce dentro la casa Milo mise in atto il suo piano.
Aprì
dolcemente la finestra della sua camera e si sporse sul davanzale per
controllare che non ci fosse nessuno in giro; con un balzo si appese alla
vicina grondaia e cominciò a calarsi verso terra.
Aveva
con sé solo la sacca con il cibo e una borraccia per l’acqua… Altro bagaglio lo
avrebbe solo intralciato.
La
notte era buia, grandi nuvole scure coprivano la luna e le stelle. Il vento
fischiava forte e copriva il rumore dei suoi passi nel cortile.
Per
una volta, il tempo era dalla sua parte. Passato il cancello d’ingresso della
casa patronale si lanciò di corsa lungo i prati fino all’estremità della
proprietà. Scavalcò il recinto e si ritrovò sulla strada principale.
Era
davvero un bimbo prodigio… Solo tre anni e mezzo e già pronto per l’avventura.
Si
incamminò seguendo la strada verso destra. Non era sicuro della direzione da
prendere, in fondo non era mai uscito prima dalla fattoria. Lo guidava il suo
istinto, era sicuro di essere diretto dalla parte giusta!
L’aria
era impregnata dell’odore delle piante bagnate dalla rugiada, inconfondibile
gli giungeva al naso il profumo delle pinete che formavano i boschi
circostanti.
Avanzava
lesto, a passi piccoli ma cadenzati… Se teneva quel ritmo si sarebbe
allontanato molto dalla sua “prigione” prima che fosse mattino! Già immaginava
il viso furibondo del padrone una volta scoperta la sua fuga… sogghignò
divertito!
Perse
presto la cognizione del tempo e poco dopo anche l’orientamento… Non vedendosi
stelle non aveva punti di riferimento. Ci volle poco perché si insinuassero
nella sua testa sottili trame di paura! Si ritrovò all’improvviso a ricordare
alcune favole raccontategli dalle cuoche della fattorie, storie narranti di
enormi lupi che vivevano nelle foreste della Grecia in cerca di prede per
sfamarsi.
Iniziò
a guardarsi intorno furtivo, sempre meno sicuro di sé.
Cosa
stava facendo? Si chiese. Dove si trovava?
Un
rumore alle sue spalle lo fece trasalire… Senza pensare iniziò a correre senza
meta, lasciò la strada ed entrò nella foresta con l’idea di rifugiarsi su un
albero in attesa del giorno. Zigzagava veloce e leggero tra i grandi tronchi,
superando i rami che lo frustavano al volto e sulle braccia... La sacca che
portava si impigliò nella vegetazione, strappandosi e spargendo il contenuto
sul terreno. Milo non si fermò e continuò a correr a perdifiato. Il cuore gli
martellava nel petto, la mente persa nell’incubo di essere braccato da un lupo
affamato! Non si accorse di essere arrivato ad un pendio. Gli mancò la terra
sotto i piedi e dopo un breve volo si ritrovò a rotolare a testa in giù! Nella
caduta urtò sassi, radici, rovi. Le vesti gli si erano lacerate in più punti e
fitte di dolore lo attraversavano ad ogni colpo preso.
Infine
stramazzò al suolo, in una piccola radura erbosa tra quattro pini immensi.
Cercò
di alzarsi, le forze gli vennero meno. Aveva il respiro affannoso, credeva di
soffocare! La testa gli doleva e gli occhi gli bruciavano. Aveva la bocca piena
di erba e terriccio e lo stava assalendo un sete tremenda! Tutto, intorno a
lui, roteava vorticosamente e non sembrava volersi fermare. Vomitò, in preda a
convulsioni addominali. Si lasciò cadere a terra supino e chiuse gli occhi. Un
insolito torpore iniziò ad aggredirlo… Non doveva addormentarsi, pensava...
Stai sveglio!, si ripeteva.
Quel
poco che riusciva a vedere stava lentamente sfocando…
Gli
sembrò di sentire una vocina chiamarlo…
- Ehi! Tu, tutto bene? - ora aveva anche le
allucinazioni uditive, pensò.
Gli
sembrò che qualcosa gli sfiorasse la fronte. Socchiuse gli occhi un attimo,
prima di cadere nel sonno. L’ultimo ricordo di quella notte furono due grandi
occhi azzurri…