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Autore: ashura    17/09/2004    2 recensioni
Cho Gono... non ride mai...non piange mai...è un bambino che quasi fa paura. Harumi Kawajima è la nuova arrivata all'orfanotrofio. Il suo sorriso è tanto caldo che ricorda la primavera. Harumi è la primavera, il calore, la luce... ma è dove la luce splende di più che l'ombra si fa più fitta...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10

“Hiro…” lo chiamò timidamente Yu alla fine delle lezioni. Anche Mami e Rui l’avevano seguito, ma non avevano trovato il coraggio di chiamarlo. La sfuriata che aveva avuto il loro compagno appena qualche ora prima li aveva lasciati completamente spiazzati.
Il bambino non si voltò nemmeno: “Sì?” rispose con tono tanto sommesso da non essere quasi percepibile.
“Senti… ti va di parlare un po’?” gli chiese l’altro, sempre esitante.
Hiroyuki si appoggiò alla sedia, inclinando un po’ la testa da un lato: “Va bene…” acconsentì alla fine, ma senza dar segno di esserne troppo entusiasta.
“Ehm…” esordì Mami, stranamente timida, “…Perché hai… cioè, insomma… Cosa…?”
“Perché ho aggredito Gono a quel modo?” la anticipò Hiroyuki, leggermente infastidito dagli imbarazzanti tentennamenti dell’altra.
Mami arrossì un po’, ma confermò ugualmente: “Sì... insomma, che ti è preso? Lo sappiamo che Gono è irritante, ma stavolta che ti aveva fatto?”
“Lasciate perdere…” rispose lui, con un vago gesto della mano.
“Lasciate perdere?? Ma che dici? In tutti questi anni che ti conosco non ti ho mai visto non dico gridare, ma neanche arrabbiarti!” scattò Yu, a metà tra il preoccupato e l’offeso, “Avanti, parla! Che ti ha fatto, eh?” “Che mi ha fatto chi?” domandò Hiroyuki senza riuscire a capire.
“Ma Gono, no?” chiarì Rui, guardandolo con gli occhi grandi e preoccupati, “Deve averti fatto qualcosa per forza, se no tu non avresti mai gridato! Io lo so!”
Hiroyuki sospirò: “Gono non mi ha fatto proprio niente, invece… Anzi, immagino dovrò andare a scusarmi con lui…” “Sciocchezze! È impossibile! Tu non avresti mai perso la testa per niente! Credi che non ti conosciamo?” lo rimbeccò Mami.
“Non devi avere paura a dircelo!” lo incoraggiò Yu, ma a queste parole Hiroyuki si mise a ridere: “Già… siamo amici, no?”
I tre si lanciarono un’occhiata preoccupata: stava forse impazzendo?
“Certo che lo siamo…” gli rispose Mami.
Hiroyuki rimase in silenzio ancora per un po’: stava decidendo se era arrivato il momento di spiegare anche a loro il motivo di tutto quel suo turbamento.
“D’accordo… adesso vi dirò tutto.” Concluse alla fine “Io so come trattare i miei amici… Io lo so…”

Gono richiuse la porta della stanza senza riuscire a capire: la madre superiora aveva detto che Harumi era rimasta nella sua stanza, ma là non c’era nessuno. La serratura scattò, ma il bambino non accennava ancora a togliere la mano dalla maniglia. In realtà stava riflettendo velocemente: se non era nella sua stanza, dove poteva essere? Con pochi passi veloci raggiunse la finestra che stava in fondo al corridoio e ci guardò attraverso: in cortile non c’era. Gono lo controllò attentissimamente con i suoi occhi verdi, ma davvero non c’era. Con un sospiro si decise ad andarsene: se Harumi si fosse allontanata con l’intenzione di stare via poco, sarebbe già tornata. Era da un po’ che la aspettava, ma non si era fatto vivo nessuno.
Sempre rimuginando scese le scale, diretto alla biblioteca. Quello era il posto migliore per pensare. Aveva quasi sceso tutta la rampa quando si ricordò di aver dimenticato in camera sua un libro che aveva preso di nascosto. Le suore non volevano che i volumi uscissero dalla biblioteca, ma a volte, stando molto attento, se ne portava qualcuno in camera, per poterli leggere durante la notte, quando la biblioteca ovviamente era chiusa. Finora non si erano mai accorte di niente, anche perché lui era sempre stato molto cauto; ma lasciare troppo a lungo i libri incriminati nella camera, benchè ben nascosto, avrebbe potuto diventare rischioso.
Senza pensarci due volte, Gono invertì la rotta e risalì le scale: meglio evitare di mettersi nei guai.
E poi quello era senz’altro il momento migliore per restituire il maltolto: gli altri bambini giocavano nel cortile e le suore erano troppo impegnate a badare a loro per accorgersi di lui. Con un sorrisetto aprì la maniglia della porta della sua camera. Sarebbe stato come al solito un giochetto da…
“Non credevo si potessero portare via…” gli disse piano Harumi mentre, seduta sul suo letto, teneva in mano il libro che era venuto a riprendere. Gono sbatté tanto d’occhi: cosa ci faceva lì? Lo stupore fu tale che stavolta non riuscì a fare niente per nasconderlo. Per cui, infastidito e imbarazzato per quella sua debolezza, tentò di dissimulare la causa di tanto sconcerto: “Come hai fatto a trovarlo? L’avevo nascosto bene!”
Harumi gli sorrise appena: “L’hai fatta tu quella nicchia sul muro?” gli chiese, indicando il punto esatto del suo nascondiglio.
“No… l’ho trovata così…” confessò lui. Era stata una piacevole sorpresa: una mattina, mentre riordinava, aveva per sbaglio urtato la parete spingendoci contro troppo forte il comodino e così, come il meccanismo di una trappola, si era aperta quella fessura. Il muro, in quel punto, era ricoperto da sottili assi di legno.
Probabilmente qualcuno, prima di lui, era riuscito a staccarne una e a ricavarci un piccolo buco in cui nascondere i propri segreti. Lui non aveva segreti da nascondere lì dentro, ma l’aveva trovato un ottimo posto dove tenere i libri che si portava via dalla biblioteca.
“Quando sono entrata, l’asse era caduta…” spiegò Harumi, “Si vede che qualcuno, stamattina, deve averla fatta scattare… Beh, comunque è meglio se lo riporti…”
“Infatti ero venuto qui per questo…” disse lui, avvicindandolesi per prendere il libro che gli stava porgendo “Tu, piuttosto… che cosa sei venuta a fare qui?”
Harumi lo guardò senza dire niente.
“Credevo che mi avessi detto tutto…” continuò Gono, fissandola con gli occhi verdi severi.
“Sono successe delle novità…” spiegò lei, quasi distrattamente.
“Ah sì?” fece il bambino, “E sarebbero?”
“Fra pochi giorni me ne andrò di qui.”
Queste ultime parole vennero pronunciate dalla bambina col solito tono di sempre, per qualche strano motivo Gono le sentì come una doccia fredda, come punte acuminate che lo ferivano.
“Stamattina la madre superiora è venuta a dirmelo. Verrò adottata. Dopodomani o forse il giorno dopo ancora i miei nuovi genitori verranno a portarmi via.” Continuò Harumi, guardando a terra.
Gono rimase impalato a guardarla, come stordito: “Beh… beata te… sei stata fortunata…”
Harumi assunse un’espressione poco convinta: “Io avrei preferito restare qui…”
“Stai scherzando? Come puoi preferire l’idea di restare ad ammuffire qua dentro alla possibilità di andartene e iniziare una nuova vita?” sbottò lui, sentendosi quasi offeso per la sua ultima uscita.
“Tu non ti trovi bene qua…” sussurrò lei.
“No, per niente! Odio questo posto, e se solo mi capitasse l’occasione per…”
“Solo perché tu la pensi così credi che tutti ragionino allo stesso modo?” lo interruppe lei.
A Gono morirono le parole in gola: Harumi aveva un modo di dire le cose così semplice e secco, a volte, che era capace di spiazzare.
“Non voglio andare via. Qui mi sento bene… qui io… mi sento amata, protetta…” riprese a spiegare la bambina. Dopo un sospiro, continuò, cercando le parole giuste: “Io ho pensato molto a quello che mi hai detto ieri…”
“Pensavo fosse per quello che non ti sei presentata stamattina…” disse Gono.
“No… anche per quello…” lo corresse lei, “Non sono venuta perché la notizia che fra poco dovrò andarmene è arrivata troppo in fretta.”
Sospirò piano di nuovo e poi riprese il discorso da dove si era interrotta: “Tu avevi ragione, sai? È vero, io ho continuato a fingere anche qui. Mi sono chiesta perché l’avessi fatto. E sai cosa mi sono risposta?”
“No…” fece Gono.
“L’ho fatto perché avevo paura di non riuscire a piacere. Avevo paura di rimanere ancora una volta indifferente, di non riuscire ad amare… né ad essere amata. Per cui ho cercato di mostrare il lato migliore che riuscivo a creare di me. Mi dicevo, se sorriderò sempre, mi accetteranno… se sarò gentile, disponibile, non mi lasceranno in disparte. E vedendo che gli altri ricambiavano i miei sorrisi, proprio adesso che non avevo nient’altro da offrire loro, ho pensato di avere imparato come si fa a volere bene agli altri. Ma mi sbagliavo di nuovo… se tu non me lo avessi detto, non me ne sarei mai accorta. E forse, un domani, avrei perso tutto di nuovo…”
Gono si sedette accanto a lei. Non sapeva cosa dirle, ma sentiva che era giusto starle vicino.
“Se potessi rimanere qui… imparerei come si fa…” sussurrò Harumi, sollevando appena la testa.
“Non si può imparare ad amare. E non si può imparare come farsi accettare dagli altri.” Le rispose lui, con gentile decisione. Harumi si voltò verso di lui, cercando di capire.
“Non è una cosa che dipende da noi… sono gli altri che devono decidere se volerci bene oppure no. Ma non è giusto ingannarli come hai fatto tu, perché finiranno per amare una persona che non esiste. E quando la vera Harumi avrà bisogno di loro, loro non potranno aiutarla, perché non la riconosceranno.” Continuò lui brevemente. Non era bravo a parlare di quelle cose: l’amore e la ricerca dell’affetto degli altri non erano certo gli argomenti su cui rifletteva più spesso. Ma anche lui si era posto certe domande…
Harumi rimase in silenzio per un po’, riflettendo su quello che lui aveva appena detto: “È giusto.” Disse alla fine.
“Se vuoi essere accettata veramente dagli altri, per quello che sei, devi anche rivelarti per quello che sei.” Spiegò ancora il bambino, mentre l’altra accanto a lui annuiva.
“È vero.” Disse piano Harumi.
“Se hai capito, allora è tutto a posto.”
“Ma se non piacerò?”
Gono la fissò con il suo solito sguardo: “Potrà succedere. Ma quel rifiuto sarà un rifiuto vero. Non avrai più attorno a te falsità o adulazione. Avrai solo sincerità. E non è questo che cerchi? Sentimenti sinceri?”
Harumi abbassò di nuovo lo sguardo: “Sì… sincerità. Come la tua…”
Gono arrossì e si girò dall’altra parte: non se ne era accorto, davvero, non se ne era proprio reso conto. Ma mai prima d’ora aveva parlato a qualcun altro col cuore in mano come aveva fatto con Harumi.
“Io… devo andare in biblioteca…” balbettò, cercando una scusa per cavarsi d’impaccio. Odiava trovarsi in quelle situazioni imbarazzanti, non sapeva come gestirle. Per cui, senza nemmeno guardare la bambina che gli stava ancora seduta accanto, con un piccolo balzo scese dal letto e si diresse verso la porta.

Harumi lo seguì con lo sguardo mentre usciva. Per quanto riguardava lei, non era ancora ora di tornare nella sua stanza. C’era ancora una cosa che doveva fare, prima.
Quattro persone, più di tutti, le avevano sempre dimostrato calore e affetto. Ma lei non aveva permesso loro di vedere la Harumi che stava in profondità. A quel punto, a costo di perderli, voleva che sapessero la verità su tutto. Aveva ancora così troppo poco tempo da passare con loro… se se ne doveva andare, voleva farlo senza rimorsi.
Mentre aspettava che Yu, Mami, Rui e Hiroyuki salissero in camera, la bambina estrasse di tasca la catenina d’oro che aveva perso appena il giorno prima. Con un sorriso ci giocò per qualche istante, e poi si alzò. Cercò sulla parete la zona esatta dove aveva scoperto la nicchia segreta e la aprì; poi, ci mise dentro la collanina e la richiuse.
Quello sarebbe stato il suo ringraziamento.

  
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