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Autore: Hazel 88    04/01/2008    2 recensioni
Ok... questa storia è frutto di un sogno che ho fatto... ma vi avviso, non so affatto dove andrà a parare; è un'incognita anche per me. Hiei incontra suo padre e gli viene finalmente rivelato "Il mistero del Fuoco Oscuro"... segreto che sarà utile a sconfiggere un'entita malvagia davvero molto pericolosa. Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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X Dreven: Nuuuuuuuuu! Non mandarmeli in manicomio. Non ancora, almeno. Mi servono per la storia. Comunque penso di far comparire Hina fra un paio di capitoli. Ma non si può mai sapere cosa architetta la mia mente malata.
Intanto continua a leggere la storia della famiglia di Kotaro e fammi sapere che ne pensi. Baci!

X Yukochan: Mi fa piacere che il personaggio di Kotaro ti piaccia. Ti confesso che è il mio preferito. Per la storia di Hina, vedi il commento a Dreven. Commenta ancora anche tu, mi raccomando. Mi fa sempre molto piacere. Baci!


Cap 7: Ribellione [La storia di Kotaro]

<< Quando mi decisi ad uscire finalmente dalla mia stanza, mi allenai duramente con mio padre. Ero determinato più che mai a superare Benimaru, per fargli pagare ogni singola umiliazione che mi avesse inflitto. Avevo un’importante arma a mio vantaggio: la conoscenza di diverse tecniche di combattimento che Benimaru, dall’alto della sua superiorità, non si sarebbe mai abbassato ad apprendere, perché questo avrebbe significato stare a contatto con gli “inferiori”.
Durante il mio breve soggiorno fra i mezzo demoni, avevo imparato molto sui combattimenti corpo a corpo. Vedi, essendo demoni solo per metà, molti di loro non possedevano un grande potere maligno, per questo compensavano la lacuna attraverso lo sviluppo della forza e dell’agilità.
Questo stesso modo di combattere l’ho poi trasmesso a Twiggy e devo dire che non ho conosciuto nessun altro che sappia praticarlo in modo così eccellente. Ma torniamo a me.
Mi concentrai soprattutto sull’uso della spada e non avrei potuto avere maestro migliore: mio padre era uno spadaccino formidabile e le sue capacità erano esaltate dalla sua spada, Enserric, un’arma magica che sfruttava il potere del Fuoco Oscuro per dare vita ad attacchi spettacolari, ma soprattutto letali.
Secondo mio padre, ero talmente abile che presto sarei riuscito a maneggiare una lama simile con la sua stessa padronanza. Be’, non si sbagliava, ma su questo si può sorvolare…
Dopo alcuni mesi, una sera, mentre stavamo cenando, mio padre ci comunicò che a giorni avrebbe intrapreso un viaggio nel Ningenkai. Non c’era nulla d’insolito. Lo aveva già fatto altre volte.
Soltanto Benimaru, con aria disgustata, gli chiese come sarebbe riuscito a resistere in mezzo a degli esseri così infimi, ma mio padre non lo degnò neanche di uno sguardo.
Due giorni dopo partì.
Benimaru stabilì che dovesse essere lui a fare le veci del capofamiglia, ma sia io, sia mia madre lo ignoravamo.
Trascorrevo tutto il tempo a cercare di migliorare le mie capacità e stranamente mia madre era lì ad aiutarmi.
Dico stranamente perché a lei non è mai interessato addestrarci; anzi, passava la maggior parte del tempo in disparte, senza curarsi di ciò che facevamo noialtri, tranne qualche raro momento in cui veniva da me e si lasciava andare a fugaci confidenze. In fondo era quello il suo modo di fare. Era abituata a non mostrare quasi mai le sue emozioni. Io ero l’unico che la conosceva e comprendeva un po’ meglio.
Durante quei giorni lottammo spesso. Era straordinaria nei movimenti, così fluidi ed eleganti: agile, veloce, precisa… insomma, perfetta.
Un giorno mi portò nel suo luogo segreto. Impiegammo mezza giornata per raggiungerlo.
Si trattava di una lunga distesa di piante esotiche dai mille colori; a fare da sfondo c’era un’alta cascata che precipitava in un lago limpidissimo.
-Amo stare qui.- sussurrò mia madre con un brillio negli occhi -Anche se vorrei poter fuggire e girovagare per sempre fra i mille luoghi magnifici come e forse anche più di questo.-
Mia madre si avviò verso il lago, sfiorando delicatamente al suo passaggio i fiori variopinti delle piante. Si fermò sulla riva, poi senza mostrare alcun pudore nei miei confronti, si spogliò totalmente e si immerse nelle acque cristalline.
Forse per la prima volta compresi veramente cosa significasse per lei dover aver rinunciato ai suoi desideri, per combattere battaglie che non le interessavano e stare accanto a delle persone che non suscitavano in lei le emozioni che invece avrebbe provato in quei fantastici mondi esotici che le erano stati privati.
In quel momento mi resi conto che, nonostante io fossi la persona che amava di più, avrebbe rinunciato a me senza esitazioni per tuffarsi in eterno in quegli angoli di paradiso.
Dopo qualche minuto la vidi riemergere dalle acque. La sua treccia si era disfatta e poter osservare quella magnifica pioggia di riccioli neri ondeggiare attorno al suo corpo fu per me lo spettacolo più bello.
Improvvisamente mi accorsi che il suo aspetto stava mutando: stava trasformandosi nella bestia sacra che possedeva, Genbu.
-Madre…- mormorai io allarmato.
-Seguimi.- disse semplicemente lei, prima di assumere le sembianze di un’enorme testuggine nera dal guscio ricoperto di serpenti.
Interdetto, la guardai innalzarsi al cielo. Velocemente la imitai. Gettai a terra i miei abiti, mi trasformai nella possente Tigre Oscura e la rincorsi.
Era la prima volta che praticavo quella metamorfosi al di fuori di una battaglia. Faticavo a rimanere tranquillo, perché il grado di sovreccitazione in quello stato è molto elevato. Ero sorpreso nel notare che mia madre, invece, sembrava molto calma e controllata, come se fosse perfettamente a suo agio.
Iniziai a lasciarmi andare. Non pensavo a nulla, se non a farmi trasportare dal vento, mentre sotto ai miei occhi si distendeva uno spettacolo naturale sublime.
Quando mi sentii più rilassato, intrapresi con mia madre una sorta di danza aerea, fatta di incroci e inseguimenti che culminarono in una giocosa lotta. Alla fine precipitammo nel lago e quando risalimmo in superficie avevamo riacquistato il nostro aspetto.
Mia madre mi sorrise maliziosamente e riprese il discorso che avevamo interrotto in aria. Dopo una breve zuffa, mi trovai disteso a terra; mia madre, inginocchiata sopra di me, stava ridendo.
Mai, davvero mai l’avevo vista ridere. Non esisteva nulla nel nostro freddo e chiuso mondo che potesse renderla felice.
Lo stupore fu presto sostituito dall’imbarazzo. Prova ad immaginare: mia madre era completamente nuda ed era sopra di me.
Si accorse del mio disagio e sembrava alquanto divertita.
-Mi piace essere totalmente a contatto con la natura.- spiegò velocemente. Poi si alzò e si rivestì. Io feci lo stesso.
Quel pomeriggio mi resi conto della potenza di mia madre.
Come ho già detto, durante la trasformazione è difficile mantenere il controllo completo sulla propria mente e sul proprio corpo. La bestia dentro di noi esige violenza e sangue e, anche se siamo abbastanza lucidi da convogliare questa aggressività contro i nostri nemici, è sempre parso impossibile reprimerla.
Eppure lei era placida e rilassata, come se fosse stata nel suo aspetto normale. Possedeva un autocontrollo eccezionale.
Avevo appreso quel giorno che era possibile dominare con maestria quella furia che la metamorfosi comporta e mi ripromisi di esercitarmi per essere naturale durante la trasformazione così come mia madre lo era in maniera straordinaria.
-Dominarsi alla perfezione in situazione di normalità è il segreto per sfruttare appieno la propria potenza in battaglia.- disse inaspettatamente come se mi avesse letto nel pensiero -A me è una cosa che è venuta spontaneamente sin dall’inizio, ma sono certa che anche tu, con il dovuto allenamento, potresti raggiungere buoni risultati.-
Nel tragitto di ritorno al castello, non ci scambiammo più una parola.
Ero immensamente felice: mia madre aveva condiviso con me il suo mondo. Ma la gioia più grande scaturiva dall’intimità che si era creata tra noi durante quei momenti.
Quando rincasammo, Benimaru era furioso. -Si può sapere dove siete stati tutto questo tempo?- ci domandò con fredda ira -Ho dovuto combattere da solo contro il clan di demoni acquatici.-
-Se sei qui significa che te la sei cavata egregiamente.- lo liquidò subito mia madre.
-È vero, ma gli anziani avrebbero voluto che ci foste anche voi.- protestò lui.
-Gli anziani! Quand’è che ti stancherai di essere il loro burattino?!- ribatté mia madre sogghignando.
-Se vogliamo conquistare il Makai…-
Benimaru venne interrotto da una gelida risata. -Per loro conquistare il Makai significa sterminare i branchi di demoni più insignificanti? Come mai non si decidono a sfidare Raizen o Mukuro?-
Benimaru strinse i pugni. -Bisogna iniziare dal basso per…-
-Menzogne! Il problema è che i vecchi sono troppo vigliacchi per provare a infastidire i demoni maggiori.- mia madre aveva iniziato ad alterarsi -Te lo dico io cosa significa per loro conquistare: accontentarsi delle briciole avanzate agli altri. Apri gli occhi, figlio!-
Benimaru rimase interdetto: non sapeva cosa controbattere.
Mia madre si diresse nella sua stanza e anch’io, soddisfatto per la manifestazione di quel piccolo moto di rivolta, mi ritirai nella mia.

Trascorsero alcuni anni. Mio padre non si era mai trattenuto per più di qualche mese nel Ningenkai e questo suo lunghissimo ritardo iniziava a destare non poca agitazione.
Poi un giorno finalmente tornò, ma non da solo.
È impossibile descriverti la miriade di sensazioni che provammo tutti, quando varcò la soglia in compagnia di una donna umana e due bambini, un maschio e una femmina, mezzo demoni.
-Vi presento Reika, Easlay e Twiggy!- disse semplicemente mio padre indicando la bella umana con i capelli castani e gli occhi azzurri al suo fianco, il bambino con i capelli neri e gli occhi rossi che si reggeva con una mano ai suoi pantaloni e la bambina, molto simile al fratello, che si nascondeva dietro la madre.
Benimaru esplose in mille sentenze e insulti riferiti soprattutto ai tre “esseri inferiori”.
Mio padre gli impose imperiosamente di tacere. -Questo è il mio castello. E visto che sono io a prendere le decisioni, ho stabilito che Reika e i miei figli vivranno qui con noi.-
Benimaru era verde dalla rabbia. -Questo va oltre ogni regola. Non avresti dovuto unirti a quella sgualdrina umana e i due piccoli bastardi mezzosangue devono morire.-
Mio padre si avvicinò fulmineamente a lui e lo afferrò al collo, fissandolo ferocemente. -Tu non li toccherai. Non ti sfiorerà nemmeno l’idea, oppure rimpiangerai amaramente il momento in cui io e tua madre ti abbiamo messo al mondo.-
Benimaru non batté ciglio. -Tu rimpiangerai il momento in cui quei tre hanno messo piede qua dentro. Gli anziani non tollereranno tale affronto. Quanto a me, non ho intenzione di dividere la mia dimora con degli esseri inetti.-
-Sei liberissimo di andartene, figlio.- sibilò gelidamente l’altro, mollando la presa.
-È ciò che farò, padre.-
Benimaru non impiegò molto tempo a raccogliere le cose a cui teneva; poi lasciò definitivamente il castello.
Ero sicuro che si sarebbe diretto subito dai capostipiti per riferire l’accaduto e per invitarli ad intervenire, ma mi sbagliavo. Come appresi qualche tempo dopo, Benimaru era sparito chissà dove, rinunciando a combattere per gli anziani.
Avrei potuto intuirlo. In fondo, già da un po’ di tempo sembrava non essere più attratto dai sogni di conquista degli anziani. Forse le dure parole che gli aveva rivolto mia madre alcuni anni prima erano servite davvero ad aprirgli gli occhi. Ma torniamo al castello.
Avevamo continuato a scrutarci per parecchio tempo in silenzio. Fu mia madre a spezzarlo. -Tenkyo, dobbiamo parlare.-
-Certo.- rispose lui -Kotaro, ti spiace intrattenere gli ospiti?-
La richiesta mi gelò. Non ero certo contento della situazione. Quei tre ci avrebbero causato molti guai, me lo sentivo.
Mentre mio padre e mia madre discutevano, condussi la donna e i due bambini in biblioteca. Sedevamo senza proferire parola. Poi la bambina si alzò e si avvicinò timidamente a me. -Io mi chiamo Twiggy. Tu sei Kotaro, vero? Papà mi ha tanto parlato di te.-
-Davvero? E cosa ti ha raccontato?-. Non so perché, ma quella bambina mi ispirò da subito simpatia.
-Ha detto che sei l’unico della sua famiglia ad avvicinarsi alle sue idee e che ci avresti accolto senza problemi.- rispose candidamente.
Il mio fu un gesto inaspettato anche per me stesso: la sollevai e la misi a sedere sulle mie ginocchia. -Quanti anni hai, Twiggy?-
-Ne hanno entrambi dieci.- rispose sua madre.
-La domanda non era rivolta a te.- la fulminai con lo sguardo, poi attesi che fosse la piccola a rispondermi.
-D-dieci.-
-E sai combattere?-
Twiggy annuì energicamente.- Sì! Papà ha insegnato qualcosa a me e ad Easlay.-
Osservai il bambino seduto di fronte a me. Era chiaramente intimorito, ma sostenne il mio sguardo.
Sorrisi. -Avete entrambi poteri demoniaci?-
-Sì, sappiamo sprigionare delle fiamme.- affermò la piccola entusiasticamente.
“Quindi poterebbero ereditare tutti e due il Fuoco Oscuro.” Pensai “E allora saranno veramente guai.”
-Papà ha detto che sei molto forte.- la vocetta squillante di Twiggy mi distolse dalle mie riflessioni -Mi insegnerai anche tu a combattere?-
La misi a terra e le poggiai una mano sulla testa. -Solo se sarai in grado di sopportare i miei duri allenamenti. Pensi di farcela?-
Il volto della bambina si illuminò. -Certo che ce la farò!.-

Non ho mai saputo cosa si fossero detti quel giorno mio padre e mia madre, ma di sicuro nulla di piacevole, visto che da allora non si rivolsero quasi più la parola.
Dopo aver accompagnato la donna e i due figli nelle loro stanze, mio padre tornò da me in biblioteca. -Cosa pensi di tutto questo? Sinceramente.- domandò all’improvviso.
-Sinceramente? La bambina mi ha già conquistato. Il maschio mi è indifferente. La donna… a pelle non posso dire di provare simpatia per lei.- risposi con la massima onestà.
Mio padre sorrise fievolmente. -Lo immaginavo. Lo vedi come un tradimento verso tua madre?-
-So che non vi siete mai amati, ma lo considero comunque una mancanza di rispetto nei suoi confronti.-
-Quando ho conosciuto Reika, ho sentito di non poter più rinunciare ai miei desideri.-
-Mia madre ha rinunciato ai suoi.- replicai gelidamente.
Mio padre sorrise di nuovo, ma con amarezza. -Comprendi me, ma ami di più lei.-
Quella frase mi colpì. Era così. Non potevo far altro che ammetterlo.
-Non pretendo che ti comporti con loro come se fossero la tua famiglia.- mormorò mio padre. Io mi limitai ad annuire. -Cosa farai con i capostipiti?-
-Per il momento fingerò di non essere ancora tornato dal mio viaggio.-
-Prima o poi se ne accorgeranno. E inoltre sei stato lontano già parecchi anni. Lo considereranno un tradimento.- protestai.
-Devo nascondere Reika e i miei figli. Almeno finché non sarò sicuro di poter contrastare il loro potere.- ribatté lui con tranquillità.
-Non reggerà a lungo.- insistetti nuovamente.
Mio padre non mi rispose ed io mi ritirai nella mia stanza. Quella notte non chiusi occhio, meditando sull’intera faccenda.>>

  
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