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Autore: Psyker_    20/06/2013    0 recensioni
Grazie al paradossale sacrificio del Demone, il Saar è riuscito a riemergere dopo gli anni di guerra. Una cacciatrice e i suoi preziosi compagni non hanno però dimenticato il debito nei confronti di quella entità "oscura" che li aveva salvati, e riunendo il gruppo si preparano a varcare il limite del Saar, in quei tempi di cambiamenti in cui ognuno di loro ha imparato a vivere la propria storia. Tra magia e stregoneria si pongono intanto i Cacciatori della Notte, vincolati alla loro imprescindibile Promessa.
Genere: Avventura, Fantasy, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Il mondo di Saar'
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cap1

Saar II

 

Capitolo I – La cacciatrice

 

Un sibilo nel vento, il suono di un istante a lacerare le verdi fronde di quegli alberi che smossi dal flebile e regolare soffiare del vento, ricreavano un gioco di ombre con i caldi e rasserenanti raggi di sole filtranti: una freccia si era conficcata sulla dura corteccia di un tronco e sembrava aver colpito proprio in mezzo agli occhi uno scoiattolo ritrovatosi tra un cacciatore ed il suo bisogno di sfamarsi. Un’ombra si mosse dunque celere tra le radici e chiaramente a proprio agio con la fitta vegetazione, si avvicinò all’ormai carcassa dell’animale sfilandone dal corpo la freccia. Il cappuccio copriva i suoi lineamenti ma il corpetto che lasciava scoperta la pancia piatta metteva in risalto le curve di quella che doveva essere una giovane donna. Saltò tra un cespuglio e l’altro facendo ben attenzione a non lasciare tracce di sangue dell'animale sul percorso e quando giunse nei pressi di un piccolo casolare nella foresta, si avvicinò a piccoli passi tra un sospiro e l’altro come fosse finalmente giunto il momento di una piccola e meritata pausa in una giornata durata fin troppo. Salì gli scricchiolanti gradini in legno per poi poggiare la mano su una maniglia vecchia e malandata. La porta girò sui cardini rivelando un interno spoglio e povero non meno di quanto ci si potesse aspettare osservando l’esterno della struttura. Un letto sfatto, delle frecce sul tavolo di legno ed un pugnale dalla lama smussata dentro un contenitore di metallo vicino il camino spento. Non vi era altro se non delle bucce di mela sul ripiano della finestra che dava sul retro della casa, dove la foresta continuava ancora per chissà quanti chilometri. La ragazza poggiò a quel punto lo scoiattolo sul tavolo, prese il coltello, e rimase a guardare quella che probabilmente sarebbe dovuta essere la sua cena. Cominciò a tamburellare con le dita nervosamente sul legno e con un gesto di stizza piantò la lama dell’arma accanto la carcassa, per poi voltarsi verso la finestra come se sperasse di vedere arrivare qualcuno. Nulla, era da sola con il suo cibo e toccava a lei scuoiarlo e cucinarlo. Uscì nuovamente dall’abitazione e si avvicinò a ciò che rimaneva di un braciere per accendere la fiamma che le avrebbe garantito un pasto decente. Non fu una pratica semplice e veloce, le ci vollero almeno venti minuti per alimentare il fuoco con alcuni legnetti che aveva disposto in modo da formare una sorta di archetto, poi tenuto fermo da alcuni lacci recuperati probabilmente da qualche particolare foglia. Quindi si occupò di spellare e pulire lo scoiattolo e se l’accensione del fuoco le occupò quasi mezz’ora, questa parte le risultò ancora più difficoltosa. Con l’aiuto del pugnale ed alcune grosse foglie umide per pulirsi le mani, terminò finalmente quel supplizio e mise la carne sul fuoco lento. Intanto sopraggiunse la sera e con essa i suoni tipici della foresta che con l’avvento della luna riecheggiavano tra le fronde degli alberi anche per diversi chilometri. Ululati, inquietanti suoni causati dallo spostamento dei gufi e perfino quelle che sembravano grida umane, probabilmente il semplice verso di qualche strano animale. Il cielo era comunque celato dalla fitta vegetazione ed il riflesso argenteo della luna che filtrava era l’unica fonte di luce che garantiva la visuale del perimetro alla donna che faceva della vecchia struttura l’unico luogo in cui rintanarsi in caso di pericolo. Anche il fuoco faceva la sua parte nell’illuminazione e scaldava l’aria frizzante ma la cacciatrice sapeva bene di non poter godere di quel benessere per tutta la notte: le creature attratte dalle fonti luminose erano tante e tra le più feroci. Era dunque giunto il momento di rientrare e dopo aver spento il fuoco, la fanciulla sigillò l’entrata con un chiavistello, chiuse le finestre e si fiondò sul letto. Si sedette sospirando e finalmente liberò il viso dal leggero cappuccio che lo ricopriva, mostrando dei lucenti e corti capelli rossi e due occhi azzurri che le illuminavano le guance candide rese splendide dalla bocca rosea scolpita in quel volto meraviglioso e giovane. Non ebbe però neppure il tempo di distendersi e chiudere gli occhi ignorando i rischi della foresta che il suono di alcuni sassolini sulla finestra la destò dall’istante di riposo. Afferrò agilmente l’arco ed incoccò una freccia mentre si avvicinava alla finestra su cui continuava a picchiettare qualcosa. Allungò un braccio togliendo il chiavistello e circospetta cercò di sbirciare fuori senza sporgere troppo la testa. Apparentemente non vi era nessuno, poi avvistò un’ombra scattare in direzione di un cespuglio e senza pensarci troppo la puntò scagliando una freccia con una potenza ed una precisione invidiabili.
«Per un pelo!» sospirò una voce maschile da dietro il fogliame, mentre la fanciulla dai capelli rossi inarcava un sopracciglio cercando di associare quel tono a qualcuno di conoscente.
«Tarus?» domandò perplessa, mentre balzava fuori dalla finestra ormai sicura di non aver di fronte un qualche predatore della selva «non ti fai vedere da quanto ormai? Due mesi? E ti presenti in questa maniera?» concluse con un velo d’irritazione, alleggerito però da un sorriso che da solo valeva più di mille parole. Il piccolo Phylis balzò dal nascondiglio mostrando un taglio netto sul braccio e sebbene inizialmente si limitò ad osservare con uno sguardo impaurito la donna che stava per ucciderlo, si sciolse quasi immediatamente nel momento in cui incrociò le sue iridi dello stesso colore del cielo. Le corse incontro con un ghigno beffardo e la solita aria da maniaco ma prima che potesse saltarle tra le braccia, la cacciatrice si spostò fulminea lasciandolo sbattere contro la corteccia di un grosso albero.
«Se è rimasta la tua faccia impressa giuro che lo abbatterò» commentò acida mentre incrociava le braccia. Il piccolo umanoide scivolò sull’erba e cercò di ricomporsi nel minor tempo possibile, quindi tornò serio ed osservò soddisfatto colei che aveva davanti gli occhi.
«Sei davvero fantastica, Mera» affermò quasi commosso mentre la fanciulla si perdeva in un piccolo sorriso.
«Non sei qui semplicemente per congratularti con me suppongo, che cosa sei venuto a dirmi dopo tutto questo tempo?» lo puntò sospetta mentre si passava una mano tra i capelli dal nuovo riflesso cremisi.
«Per quanto morissi dalla voglia di rivederti… no, effettivamente c’è una ragione» terminò facendole cenno di rientrare nella struttura di legno, la selva di notte non era sicuramente il luogo più sicuro per scambiare due parole. Mera annuì e ricordando della porta chiusa dall’interno, invitò l’ospite a passare dalla finestra. A quel punto accese il camino ed offrendo una seduta al Phylis, si mostrò piuttosto curiosa:
«Di cosa si tratta?» chiese tagliando corto.
«Carian è riuscita ad amplificare i frammenti di forza rimasti nelle due gemme degli Ebrion. In qualche modo crede di poter riaprire il portale per l’altra dimensione» cominciò serio il piccolo cacciatore «il potere delle due pietre era stato assorbito da Liz ed inizialmente credevamo che le gemme si fossero fuse col suo corpo come era successo tra Seiri e la pietra nera…»
«E invece?» chiese nervosamente Mera mentre tamburellava con le dita sulle gambe.
«Le abbiamo trovate e con un po’ della sua magia particolare ne abbiamo amplificato la forza rimasta. Insomma, possiamo riprovare il rituale che aveva evocato Liz… forse potrò rivederla» commentò con voce rotta e gli occhi lucidi pronti a lasciare cadere delle lacrime che lo braccavano da quando aveva perso la sua cara guida lì al Monte Metista. Non vi furono altri commenti, Mera si limitò a riflettere su quelle parole e solo dopo qualche minuto capì che avrebbe forse potuto riabbracciare colui che aveva sacrificato la propria vita per lei e per tutto il mondo. Che fosse un demone, un angelo, uno stregone o un mago non importava più ormai, aveva un debito nei suoi confronti e doveva ripagarlo. Si alzò improvvisamente e strinse i pugni, osservò il fuoco ardente del camino senza dire una parola e lasciò parlare il proprio sguardo.
«Credo che Carian abbia già contattato suo fratello, e Ruphis è rimasto con lui in questi ultimi due anni, manchi solo tu» specificò Tarus con aria quasi malinconica. Era passato parecchio tempo dalla loro ultima riunione ed erano cambiate tante cose: quella che era la principessa del regno di Kubara sembrava essersi persa nei meandri di un’oscura foresta a favore di una guerriera, una cacciatrice, capace di badare a se stessa e pronta ad affrontare qualsiasi ostacolo tra lei ed il mago che aveva salvato il Saar.
«Sono pronta» affermò Mera mentre stava già per sistemarsi l’arco e la faretra.
«Frena un po’, sono stanco… partiremo domattina» rispose il Phylis mentre si lasciava cadere sul letto che doveva essere proprio della fanciulla.
«D’accordo. Dove vogliono vedersi?» chiese lei ormai completamente in preda all’eccitazione.
«Qui, a Nord… nell’Horion» terminò Tarus giusto prima di lasciarsi andare al lento cullare del vento ed il dolce richiamo del sonno che come un rapace sulla preda, aveva afferrato i suoi pensieri con lunghi ed affilati artigli. Mera uscì invece dalla struttura sospirando per poi balzare sul tetto spiovente: quella notte non era intenzionata a chiudere occhio e a riposare, ma avrebbe semplicemente pensato a come agire, cosa dire, alle giuste parole da riferire a Valerian nel momento in cui avrebbe incrociato nuovamente i suoi occhi azzurri. Sembrava passata ormai un’eternità ma non li avrebbe mai confusi con quelli profondi ed oscuri visti in quella giostra di colori arcani nel tempio di Nefilim. Erano ricordi imprecisi misti ai pensieri di Naos, istanti che dovevano essere dimenticati.


  
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