Saar II
Capitolo I – La cacciatrice
Un sibilo nel vento, il suono di un istante a lacerare le
verdi fronde di quegli alberi che smossi dal flebile e regolare soffiare del
vento, ricreavano un gioco di ombre con i caldi e rasserenanti raggi di sole filtranti:
una freccia si era conficcata sulla dura corteccia di un tronco e sembrava aver
colpito proprio in mezzo agli occhi uno scoiattolo ritrovatosi tra un
cacciatore ed il suo bisogno di sfamarsi. Un’ombra si mosse dunque celere tra
le radici e chiaramente a proprio agio con la fitta vegetazione, si avvicinò
all’ormai carcassa dell’animale sfilandone dal corpo la freccia. Il cappuccio
copriva i suoi lineamenti ma il corpetto che lasciava scoperta la pancia piatta
metteva in risalto le curve di quella che doveva essere una giovane donna.
Saltò tra un cespuglio e l’altro facendo ben attenzione a non lasciare tracce
di sangue dell'animale sul percorso e quando giunse nei pressi di un piccolo
casolare nella foresta, si avvicinò a piccoli passi tra un sospiro e l’altro
come fosse finalmente giunto il momento di una piccola e meritata pausa in una
giornata durata fin troppo. Salì gli scricchiolanti gradini in legno per poi
poggiare la mano su una maniglia vecchia e malandata. La porta girò sui cardini
rivelando un interno spoglio e povero non meno di quanto ci si potesse
aspettare osservando l’esterno della struttura. Un letto sfatto, delle frecce
sul tavolo di legno ed un pugnale dalla lama smussata dentro un contenitore di
metallo vicino il camino spento. Non vi era altro se non delle bucce di mela
sul ripiano della finestra che dava sul retro della casa, dove la foresta
continuava ancora per chissà quanti chilometri. La ragazza poggiò a quel punto
lo scoiattolo sul tavolo, prese il coltello, e rimase a guardare quella che
probabilmente sarebbe dovuta essere la sua cena. Cominciò a tamburellare con le
dita nervosamente sul legno e con un gesto di stizza piantò la lama dell’arma
accanto la carcassa, per poi voltarsi verso la finestra come se sperasse di
vedere arrivare qualcuno. Nulla, era da sola con il suo cibo e toccava a lei
scuoiarlo e cucinarlo. Uscì nuovamente dall’abitazione e si avvicinò a ciò che
rimaneva di un braciere per accendere la fiamma che le avrebbe garantito un
pasto decente. Non fu una pratica semplice e veloce, le ci vollero almeno venti
minuti per alimentare il fuoco con alcuni legnetti che aveva disposto in modo
da formare una sorta di archetto, poi tenuto fermo da alcuni lacci recuperati
probabilmente da qualche particolare foglia. Quindi si occupò di spellare e
pulire lo scoiattolo e se l’accensione del fuoco le occupò quasi mezz’ora,
questa parte le risultò ancora più difficoltosa. Con l’aiuto del pugnale ed
alcune grosse foglie umide per pulirsi le mani, terminò finalmente quel
supplizio e mise la carne sul fuoco lento. Intanto sopraggiunse la sera e con
essa i suoni tipici della foresta che con l’avvento della luna riecheggiavano
tra le fronde degli alberi anche per diversi chilometri. Ululati, inquietanti
suoni causati dallo spostamento dei gufi e perfino quelle che sembravano grida
umane, probabilmente il semplice verso di qualche strano animale. Il cielo era
comunque celato dalla fitta vegetazione ed il riflesso argenteo della luna che
filtrava era l’unica fonte di luce che garantiva la visuale del perimetro alla
donna che faceva della vecchia struttura l’unico luogo in cui rintanarsi in
caso di pericolo. Anche il fuoco faceva la sua parte nell’illuminazione e
scaldava l’aria frizzante ma la cacciatrice sapeva bene di non poter godere di
quel benessere per tutta la notte: le creature attratte dalle fonti luminose
erano tante e tra le più feroci. Era dunque giunto il momento di rientrare e
dopo aver spento il fuoco, la fanciulla sigillò l’entrata con un chiavistello,
chiuse le finestre e si fiondò sul letto. Si sedette sospirando e finalmente
liberò il viso dal leggero cappuccio che lo ricopriva, mostrando dei lucenti e
corti capelli rossi e due occhi azzurri che le illuminavano le guance candide
rese splendide dalla bocca rosea scolpita in quel volto meraviglioso e giovane.
Non ebbe però neppure il tempo di distendersi e chiudere gli occhi ignorando i
rischi della foresta che il suono di alcuni sassolini sulla finestra la destò
dall’istante di riposo. Afferrò agilmente l’arco ed incoccò una freccia mentre
si avvicinava alla finestra su cui continuava a picchiettare qualcosa. Allungò
un braccio togliendo il chiavistello e circospetta cercò di sbirciare fuori
senza sporgere troppo la testa. Apparentemente non vi era nessuno, poi avvistò
un’ombra scattare in direzione di un cespuglio e senza pensarci troppo la puntò
scagliando una freccia con una potenza ed una precisione invidiabili.
«Per un pelo!» sospirò una voce maschile da dietro il fogliame, mentre la
fanciulla dai capelli rossi inarcava un sopracciglio cercando di associare quel
tono a qualcuno di conoscente.
«Tarus?» domandò perplessa, mentre balzava fuori dalla finestra ormai sicura di
non aver di fronte un qualche predatore della selva «non ti fai vedere da
quanto ormai? Due mesi? E ti presenti in questa maniera?» concluse con un velo
d’irritazione, alleggerito però da un sorriso che da solo valeva più di mille
parole. Il piccolo Phylis balzò dal nascondiglio mostrando un taglio netto sul
braccio e sebbene inizialmente si limitò ad osservare con uno sguardo impaurito
la donna che stava per ucciderlo, si sciolse quasi immediatamente nel momento
in cui incrociò le sue iridi dello stesso colore del cielo. Le corse incontro
con un ghigno beffardo e la solita aria da maniaco ma prima che potesse
saltarle tra le braccia, la cacciatrice si spostò fulminea lasciandolo sbattere
contro la corteccia di un grosso albero.
«Se è rimasta la tua faccia impressa giuro che lo abbatterò» commentò acida
mentre incrociava le braccia. Il piccolo umanoide scivolò sull’erba e cercò di
ricomporsi nel minor tempo possibile, quindi tornò serio ed osservò soddisfatto
colei che aveva davanti gli occhi.
«Sei davvero fantastica, Mera» affermò quasi commosso mentre la fanciulla si
perdeva in un piccolo sorriso.
«Non sei qui semplicemente per congratularti con me suppongo, che cosa sei
venuto a dirmi dopo tutto questo tempo?» lo puntò sospetta mentre si passava
una mano tra i capelli dal nuovo riflesso cremisi.
«Per quanto morissi dalla voglia di rivederti… no, effettivamente c’è una
ragione» terminò facendole cenno di rientrare nella struttura di legno, la
selva di notte non era sicuramente il luogo più sicuro per scambiare due
parole. Mera annuì e ricordando della porta chiusa dall’interno, invitò
l’ospite a passare dalla finestra. A quel punto accese il camino ed offrendo
una seduta al Phylis, si mostrò piuttosto curiosa:
«Di cosa si tratta?» chiese tagliando corto.
«Carian è riuscita ad amplificare i frammenti di forza rimasti nelle due gemme
degli Ebrion. In qualche modo crede di poter riaprire il portale per l’altra
dimensione» cominciò serio il piccolo cacciatore «il potere delle due pietre
era stato assorbito da Liz ed inizialmente credevamo che le gemme si fossero
fuse col suo corpo come era successo tra Seiri e la pietra nera…»
«E invece?» chiese nervosamente Mera mentre tamburellava con le dita sulle
gambe.
«Le abbiamo trovate e con un po’ della sua magia particolare ne abbiamo
amplificato la forza rimasta. Insomma, possiamo riprovare il rituale che aveva
evocato Liz… forse potrò rivederla» commentò con voce rotta e gli occhi lucidi
pronti a lasciare cadere delle lacrime che lo braccavano da quando aveva perso
la sua cara guida lì al Monte Metista. Non vi furono altri commenti, Mera si
limitò a riflettere su quelle parole e solo dopo qualche minuto capì che
avrebbe forse potuto riabbracciare colui che aveva sacrificato la propria vita
per lei e per tutto il mondo. Che fosse un demone, un angelo, uno stregone o un
mago non importava più ormai, aveva un debito nei suoi confronti e doveva
ripagarlo. Si alzò improvvisamente e strinse i pugni, osservò il fuoco ardente
del camino senza dire una parola e lasciò parlare il proprio sguardo.
«Credo che Carian abbia già contattato suo fratello, e Ruphis è rimasto con lui
in questi ultimi due anni, manchi solo tu» specificò Tarus con aria quasi
malinconica. Era passato parecchio tempo dalla loro ultima riunione ed erano
cambiate tante cose: quella che era la principessa del regno di Kubara sembrava
essersi persa nei meandri di un’oscura foresta a favore di una guerriera, una
cacciatrice, capace di badare a se stessa e pronta ad affrontare qualsiasi
ostacolo tra lei ed il mago che aveva salvato il Saar.
«Sono pronta» affermò Mera mentre stava già per sistemarsi l’arco e la faretra.
«Frena un po’, sono stanco… partiremo domattina» rispose il Phylis mentre si
lasciava cadere sul letto che doveva essere proprio della fanciulla.
«D’accordo. Dove vogliono vedersi?» chiese lei ormai completamente in preda
all’eccitazione.
«Qui, a Nord… nell’Horion» terminò Tarus giusto prima di lasciarsi andare al
lento cullare del vento ed il dolce richiamo del sonno che come un rapace sulla
preda, aveva afferrato i suoi pensieri con lunghi ed affilati artigli. Mera
uscì invece dalla struttura sospirando per poi balzare sul tetto spiovente:
quella notte non era intenzionata a chiudere occhio e a riposare, ma avrebbe semplicemente
pensato a come agire, cosa dire, alle giuste parole da riferire a Valerian nel
momento in cui avrebbe incrociato nuovamente i suoi occhi azzurri. Sembrava
passata ormai un’eternità ma non li avrebbe mai confusi con quelli profondi ed
oscuri visti in quella giostra di colori arcani nel tempio di Nefilim. Erano
ricordi imprecisi misti ai pensieri di Naos, istanti che dovevano essere
dimenticati.