La brezza carica dell’essenza del mare inondò la grande
vallata che si apriva alla vista della cacciatrice: i colori infuocati del
tramonto donavano al suo sguardo un riflesso scarlatto simile a quello dei suoi
capelli, che raccolti in un fermaglio raffigurante un drago dorato, resistevano
al vento ululante in quei meandri disabitati. Mera non aveva memoria di quel
luogo, non ricordava di aver mai visitato nulla se non il proprio castello e le
località attraversate durante la fuga insieme a Valerian. I suoi ricordi
avrebbero dovuto fermarsi all’elegante ballo in maschera, al suo volteggiare
tra le braccia del mago e il perdersi tra i suoi occhi chiari come il ghiaccio,
eppure frammenti di un’esistenza mai vissuta si insediavano tra lei e le
esperienze realmente conosciute, come bagliori in un contesto appena illuminato
dal chiarore tenue della mezza luna, come giorni di pioggia che velano il
vigore del sole. Chiuse gli occhi scuotendo il capo, il solo pensiero di essere
stata qualcun’altra per un periodo durato fin troppo la disgustava, avrebbe
preferito cambiare da sola, allontanarsi dalla vita di corte per una scelta
consenziente ed effettivamente… così aveva fatto. Proseguì insieme a Tarus per
qualche altro chilometro in quella distesa di prato incontaminato, privo di
alberi, di fiori, forte soltanto della propria erba scaldata dai raggi rossi
che lentamente cominciavano a sparire. Mera continuava ad annusare l’aria
estasiata, non riusciva a comprendere come un luogo così isolato dal mondo
potesse profumare tanto di benessere, in un gioco di odori che mescolava
salsedine e terra umida.
«Ci siamo allontanati parecchio dalla costa, eppure sento ancora il profumo del
mare» iniziò la ragazza mentre Tarus si lasciava pervadere da un sogghigno
divertito.
«Non è l’odore del mare ciò che senti, ma quello del grande lago di Terenith,
il più grande del Saar. Dicono che le sue acque siano salate, proprio come
quelle del mare, ma sinceramente non sono mai stato tanto stupido da inoltrarmi
così profondamente nell’Horion da vederlo» spiegò il Phylis con una punta di
saccenza.
«Perché? Dove si trova?» continuò curiosa Mera che per quanto avesse cambiato
totalmente la sua vita, non avrebbe mai potuto abbandonare quel lato del suo
carattere che poneva il desiderio di conoscere ogni segreto del mondo oltre
qualsiasi cosa. Era in fondo uno dei motivi che l’avevano convinta a lasciare
Kubara la prima volta e sicuramente non uno degli ultimi che l’avevano
allontanata la seconda. Il piccolo arciere indicò verso la radura a Nord che ad
occhio sembrava non terminare neppure oltre l’orizzonte, lasciando
all’immaginazione della fanciulla ciò che nascondevano in verità quei luoghi
misteriosi del continente.
«Verso quella direzione, all’estremo Nord del mondo, vi è la famigerata Foresta
dell’Eco, un luogo da cui, si narra, provengano costantemente voci e grida
disperate. Nel suo cuore vi è il lago».
«Quanto è grande l’Horion? Abbiamo camminato per giorni verso Nord e della
foresta non vi è traccia… solo questa distesa infinita di erba» disse la
ragazza incantata all’idea di un luogo del genere su cui esistevano leggende
misteriose.
«Grande, ma sono sicuro che hai cose più importanti a cui pensare» terminò il
Phylis facendo un cenno col capo verso le sagome di alcune persone appena
illuminate dalle ultimi luci del giorno.
«Siamo arrivati» ed afferrò per un braccio la fanciulla accelerando il passo.
Mera era nervosa, eccitata, strinse i pugni e costretta dal passo
dell’umanoide, faticò per non inciampare nel manto erboso della vallata. La
visibilità era ormai scarsa, la notte sarebbe sopraggiunta presto ma gli occhi
chiari della fanciulla dai capelli rossi avrebbero illuminato anche l’oscurità
più profonda. Sul viso di Carian si aprì un sorriso sincero e felice e correndo
verso l’amica, le saltò tra le braccia contenendo le lacrime; dietro di lei
avanzò lo spadaccino dorato con i suoi corti capelli biondi e gli occhi dello
stesso colore della sorella, anzi, l’occhio, dato che una lunga cicatrice dal
sopracciglio sinistro al mento gliene era costato uno che adesso restava chiuso
sotto quello sfregio. La cacciatrice se ne rese subito conto e con aria
preoccupata si avvicinò immediatamente all’amico.
«Golden… che cosa è successo?» si limitò a chiedere temendo la risposta.
«La vita nelle Terre Aride può essere dura ma mi sono addestrato abbastanza da
non pensarci, a te come va? Anche se a vederti non dovrei neanche chiederlo»
disse sorridendo mentre anche lui si concedeva un abbraccio.
«Bene, credevo di aver vissuto un anno terribile ma dopo questo mi rendo conto
di essere stata fortunata» rispose Mera un po’ titubante.
«Sapevo che te la saresti cavata, nessun problema con il castello?» chiese
Carian.
«No, per quanto l’idea di cambiare colore di capelli mi terrorizzasse, è stata
un’ottima scelta...» - si sfiorò la chioma - «per non parlare del fatto di
tagliarli, mi ci è voluto un po’ per abituarmi» confessò infine la principessa con
un velo di malinconia.
«Dov’è Ruphis?» continuò poi guardandosi intorno. A quelle parole, un
singhiozzare in sottofondo fece alzare ai presenti lo sguardo verso l’alto e
una piccola figura volteggiante con gli occhi bendati scheggiò tra le lacrime
ad abbracciare l’ex padrona. Gli ci vollero almeno dieci minuti per
riprendersi, quel pianto liberatorio era l’accumulo di due anni di sofferenze,
mancanze ed abitudini compromesse di un povero Drago Nano costretto a vivere
senza colei che aveva giurato di proteggere e salvaguardare, in qualunque
circostanza.
«S-scusami…» riuscì a dire fra un singhiozzo e l’altro e dagli occhi chiusi di
Mera fuoriuscirono poche ma significative lacrime mentre il suo volto sembrava
aver finalmente ritrovato un bagliore di luce che la accomunava alla giovane e
bella principessa di Kubara di due anni prima. Era cambiata, era più forte, più
decisa ma quell’abbraccio, quell’incontro, la riportò indietro, smascherò la
nuova figura che si era impossessata del suo viso rivelando la luce in quegli
occhi chiari che avrebbero potuto rischiarare anche il cuore di un demone.
Il gruppo si accampò per la notte nella radura alternando i turni di guardia,
in quel luogo non vi era nulla con cui proteggersi, non un albero, nessun
cespuglio dietro cui nascondersi, solo una distesa infinita di verde con
all’orizzonte una coltre di nebbia attraverso cui filtrava il bagliore della
luna. Mera accese un fuoco e Carian si preparò a spiegare ciò che avrebbero
dovuto fare alle prime luci dell’alba mentre le fiamme scaldavano la notte
fredda.
«Dopo quasi due anni» - esordì- «sono finalmente arrivata ad una svolta
fondamentale. Ho studiato e compreso fino in fondo il potere delle due gemme
nate dall’unione di distruzione e creazione, gemma rossa e bianca, e vita e
morte, gemma dorata e nera, giungendo alla conclusione, dopo diverse ricerche,
che esiste un metodo capace di amplificare il potere rimasto al loro interno».
Mera ascoltava in silenzio così come tutti gli altri presenti, tra coloro che
quella notte sedevano intorno al fuoco, Carian era l’unica capace di
destreggiarsi nell’arte magica e dunque negli studi necessari per avvicinarsi
quantomeno a capire la composizione delle potenti gemme.
«Nelle Terre Aride, in una caverna celata da alcune forze mistiche, si trova il
teschio di un potente Ebrion Bianco, anzi, IL potente Ebrion Bianco che si
racconta fosse vissuto quando nel Saar non esistevano ancora neppure i primi
maghi. Alaphys, la madre dei sacri rapaci» continuò la ragazza mentre il gruppo
veniva rapito da quella che sembrava l’ennesima leggenda di un mondo
inesplorato. Ruphis sembrava il più informato, al punto che continuò da sé la
descrizione di quella potente creatura dal manto puro e candido:
«Colei che era capace di far fiorire un’intera foresta al solo passaggio, colei
il cui battito d’ali era sinonimo di nuova forza, giovinezza, benessere. Lo
stesso rapace con un potere che tutti credevano essere morto con lui tanti
secoli fa».
«Esatto, Ruphis» - rispose immediatamente Carian con sguardo serio - «le ossa
di Alaphys mantengono le proprietà curative che le caratterizzavano. Esistono
troppi studi di maghi e viaggiatori che hanno attraversato le Terre Aride per
giungere a Spell per mettere le mani sui manoscritti di coloro che possono
testimoniare i miracoli di quella creatura e noi… ci siamo riusciti» continuò
sorridendo al fratello che scuoteva le spalle, come se quella che avesse fatto
fosse stata la più semplice delle spedizioni.
«Non ce l’avrei fatta senza Ruphis che fortunatamente c’era già stato con Liz»
Rispose Golden con un sorriso beffardo.
«Quando ci siamo riuniti poco fuori Kubara tempo da, ero già a conoscenza di
questa storia ma avevo bisogno di conferme. Vi avrei convocato prima se
giungere a Spell non fosse risultato tanto difficile. Fortunatamente in quella
miriade di libri, Golden e Ruphis hanno trovato ciò che ci serviva. Sapete, non
è possibile portare degli scritti fuori da Spell ma con un po’ di
concentrazione sono riuscita a mettermi in contatto mentale con Ruphis.
Guidandolo per le numerosi sezioni della biblioteca siamo infine giunti alle
pagine che ci interessavano: “Alaphys e la piuma della Luna”».
«Sembra molto il titolo di una leggenda» commentò Tarus mentre sgranocchiava
qualche frutto che si era portato con sé, poi notò lo sguardo terrificante di
Golden ed intuì che forse era meglio tacere, per il proprio bene.
«Scritto un secolo fa, quando il Luthus corrotto aveva ormai devastato i maghi,
quando gli stregoni popolavano le lande desolate del Saar per sfuggire alla
giustizia, quando i guerrieri, i cavalieri ed i cacciatori puntavano un
utilizzatore di magia oscura per accaparrarsi la sua taglia, Arawyn Merhel, uno
dei più potenti maghi ad essere rimasti tali, si diresse alla caverna di
Alaphys sperando di poter “curare” il Luthus e far rinascere una nuova dinastia
di maghi puri. In questo manufatto vi sono le sue cronache che come in un
diario personale, ha riportato ogni passaggio di quel viaggio folle nel cuore
delle Terre Aride» raccontò la ragazza dai lunghi capelli rossi sotto lo
sguardo attento dei presenti, perfino Tarus finì per incuriosirsi smettendola
di far chiasso masticando.
«Come finisce la storia?» Chiese Mera preoccupata, ritrovandosi per la seconda
volta quella notte a temere una risposta.
«Nell’ultima pagina viene descritto il teschio dell’Ebrion e parla di come
un’energia benigna abbia completamente curato le ferite di Arawyn riportate
durante l’attraversata della caverna» rispose Carian sorridendo.
«E poi?» continuò curiosa la ragazza con gli occhi azzurri.
A quella domanda, Golden preferì volgere lo sguardo al draghetto alla sua
destra che se ne stava accucciato vicino il fuoco che gli metteva in risalto i
riflessi scarlatti delle scaglie, Tarus alzò un sopracciglio e Carian si limitò
ad alzare gli occhi dorati verso l’interlocutrice, sbuffando.
«Nulla, le cronache si fermano a quel punto».