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Autore: Virginia Of Asgard    20/06/2013    1 recensioni
Erin Bridget Bishop è una 17enne disadattata e sola.
Dopo due anni, lontana dalla sua patria natale, ora si trova costretta a farvi ritorno, ma parecchie cose cambieranno. Ha compiuto 17 anni, la profezia sta per avverarsi, ed i Signori di Salem stanno tornando da gli inferi, assetati di vendetta più che mai.
Sono tornati, John Hathorne e Jonathan Corwin , i due signori di Salem, i due cacciatori di streghe.
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Lemon | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico, Sovrannaturale
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Erin Bridget Bishop.
Capitolo I


L’estate era ora mai agli sgoccioli. Dalla morte Rita, nessuno aveva più avuto notizie della giovane Erin Bishop.
Erano passati due lunghi anni, nel qual frattempo Erin s’era trasferita con la famiglia (la madre e la nonna) in Ungheria, per una capricciosa esigenza della diciassettenne: odiava Dooms Village[1], a partire dal nome, ed a finire con le montagne e la troppa, maledetta “pace” che l’invadeva innoqua, senza mostrare la doppia faccia di quell’orrenda città, piena di ripugnanti persone dai mille pregiudizzi; ricolma di gente impicciona che non sapeva tenere un solo segreto dentro di se, piena di spazzatura; della quale Erin, si sarebbe volentieri sbarazzata.
Ma ora si trovava nella situazione ricorrente di dovervi fare ritorno.
«Erin, per favore, fa almeno un piccolo sorrisetto, suvvia!» l’incitò Claudia, la giovane madre prematuramente vedova.
«Dovevamo perforza tornarci, in quella merda di paese?» domandò acida la ragazza, che dentro di se, nurtiva un gran cocktail di odio e disprezzo verso il genere umano, che popolava Dooms Village. L’unico lato positivo era che la sua casa, era estraniata dal Destiny Woodland (nome al quanto insolito, rispetto al nome del villaggio) , il piccolo boschetto che andava crescendo, verso la cima del monte sulla quale era sorta quell’orrenda cittadina, frivola ed insignificante.
«Modera il linguaggio, ragazzina! E, dunque, vedi di comportarti bene con i nuovi vicini!» Repplicò la madre.
Erin fece cadere lo scatolone che aveva in mano, causando il rovesciamento istantaneo di tutti gli oggetti ed oggettini al suo interno. «Vicini?» domandò perplessa. La sua casetta nel bosco non aveva alcun vicino. Com’era possibile, qualcuno aveva occupato il castello Nero? Quale anima stupida ed ingenuamente sciocca, avrebbe mai comprato quel lotto di terra maledetto? Andiamo! Il giardino era occupato da un centenario cimitero di famiglia! Com’era possibile che qualcuno fosse stato tanto macabro, da avere le palle di infilarsi in quel castello, e di viverci come nulla fosse?
«Esattamente, hanno venduto il castello nero» disse la madre, intenta a raccogliere le cianfrusaglierie che quella stupida diciassettenne aveva gettato a terra.
«Ottimo! I nostri vicini Vampiri avranno sicuramente gradito, la vista Necrofila che dà il castello. Ammenoché non se li vogliano mangiare, quei poveri defunti!» fece del sarcasmo, come al suo solito, ma la madre non la badò troppo. ‘ sono gli ormoni, Claudia!’ si disse tra sé e sé.
***
La macchina saltellava e faceva un rumore dannatamente fastidioso ed irritante, ma nonstante tutto Erin era calata in un sonno profondo. Mancavano ora mai pochi minuti – il tempo di risalire il monte – all’arrivo nell’odiata destinazione. Nonnina fissava il vuoto fuori dalla finestra, non osò proferir parola. Le labbra erano strette in una smorfia di disappunto, che dipingeva puntualmente quello sguardo perso dall’Alzheimer galoppante, ed i capelli brizzolati erano raccolti da una disordinata coda. La collana di denti di Volpe continuava a tintinnare sul suo collo, ed i piccoli occhietti asiatici si erano fatti gialli e scuri. Nonnina era una donna di origini Nativo-Americane; La sua famiglia discendeva dalle prime tribù che erano state condannate dalla Nuova Inghilterra che aveva colonizzato quella che un tempo era casa dei nativi.
Un dosso troppo alto fece sobbalzare la giovane Erin, che si trovò in un attimo, poggiata pigramente sul finestrino, a fissare i boschi che correvano sotto i suoi occhi.
Per un attimo le parve addirittura di intravedere una figura, fra i rami e gli alberi in movimento. No! Non le era parso! C’era davvero qualcuno!
Qualcuno di davvero insolito. Qualcuno che aveva già visto e rivisto per anni ed anni. Una ragazza, avrà avuto sui diciassette anni, i capelli erano neri e lunghi, ondulati e morbidi, cadevano sulle clavicole; due profondi occhi blu, labbra rosse e carnose, ed un volto velato dalle lentiggini.
Erin deglutì, e spalancò gli occhi terrorizzata. Quella ragazza, tra le foreste era niente meno che…Erin Bridget Bishop.
«Mamma!» Gridò terrorizzata ed in preda al panico. «Frena!», continuò urlando. La madre obbedì senza domandare nulla, e frenò di colpo.
La ragazza aprì la portiera dell’auto e corse, corse verso quella ragazza che tanto le somigliava, se non fosse per gli abiti lievemente…seicenteschi.
La figura la fissava, con un mezzo sorrisetto enigmatico, un sorriso che appariva quasi come un ghigno. Immaginatevi il voltro perso della Giconda di Leonardo: ecco come la guardava.
Ecco come si guardava.
Le grida ed i richiami di sua madre non servirono a distogliere Erin dal suo percorso.
La figura scomparve fra i rami, seguita da un’insolita nebbia per nulla usuale.
«Hey!!» gridò la ragazza, tentando di richiamare la donna; «Hey dove diavolo sei andata?» la richiamò nuovamente, ma nulla. Era come…scomparsa; scomparsa nel nulla.
Tra i rami ed i tronchi, le foglie ed i licheni apparvero delle rovine antiche, forse Eri s’era spinta troppo in la. La ragazza si girò: poteva ancora tenere sott’occhio la macchina nera di sua madre; non si era ancora persa. Certo si era spinta ben oltre il dovuto, ma non si era persa.
“Erin” una voce chiamò il suo nome tutt’un tratto. La ragazza si voltò, ma non vide nessuno. Scosse la testa, sel’era immaginato, questa volta.
“Erin Bishop!” la voce la chiamò fermamente ed autorevolmente. «Ma che diavolo…?» mormorò la giovante, tra sé e sé. Una figura fuggiasca si proiettò velocemente fra le mura, così velocemente da impedirle di decifrarne i lineamenti.
Erin poggiò una mano su uno di quei massi in rovina, e senza accorgersene cadde velocemente in uno stato di Trance, davvero sospetto.
Vedeva delle donne, vecchie e raggrinzite, danzare mano nella mano attorno ad un fuoco. Dietro quelle donne appariva una cripta, una cripta che seguiva le forme delle rovine nella quale Eri si era ritrovata senza volerlo.
«Satana, nostro signore, il vero Dio, noi ti veneriamo!» gridò una, con voce stridula. «Mostratevi, sorelle!» ordinò sghignando e ridendo amaramente ed acidamente; allora tutte le vecchie si levarono le vesti, rimanerndo nude. Erin chiuse gli occhi, non voleva vedere certi orrori, ma le fu misteriosamente impedito. Nonostante avesse gli occhi chiusi, continuò a vedere quelle immagini di quelle vecchie che danzavano attorno al fuoco, nude e rugose.
«Fate venire avanti la strega!» esclamò dopo varie ed inquetanti preghiere, recitate al contrario, colei che sembrava a capo di tutto. «Strega!» esclamò una delle veecchie, ridendo di gusto; «Strega, ahahahahaha!» la seguirono in coro le altre, canzonando e deridendo la ragazza dai capelli neri e gli occhi azzurri, la stessa ragazza del bosco. Erin, se stessa, o chiunque diavolo fosse.
«Spogliati, Strega!» ordinò la meretrice a capo del gruppo.
La tenevano incatenata, la gemella strana di Erin, quella stramba copia che stava vedendo. Era incatenata e legata, ed aveva strani simboli lungo tutte le estensioni del corpo. Si denudò con difficoltà, impedita dai legamenti e le fastidiose corde.
«A te, oscuro signore offriamo, questa giovane donna innocente, avanti o potente Lucifero, stringi il tuo patto!» le fimme del suoco si alzarono all’istante ì, ed un zampillo di fuoco ne uscì briuciando lievemente la ragazza, che urlò per il dolore.
«Raccoglilo!» ordinò la vecchia nuda. «No, no!» si ribellò la giovane agitandosi. «Raccoglilo, ho detto!» le comandò picchiandola violentemente. La fece inginocchiare a terra, nuda su i sassi ed i detriti che la fecero sanguinare. «Raccoglilo.» ripetè la vecchia un’ultima volta, riferendosi al lapillo infuocato. La giovane simile ad Erin, si avvicinò, e tremante raccolse il piccolo fuocherello, che dopo aver ustionate le mani tremanti e sporche della giovane, si divulgò lascuando fra le sue mani un solo rotolo di pergamena. Apparentemente stupita, la giovane spalancò gli occhi, seguira dalle risa sadiche, delle vecchie sataniche.
Colei che ne stava a capo, la vecchia più brutta, dopo aver riso di gusto prese il palmo bruciato della mano della giovine, e lo tagliò brutalmente, facendola sanguinare, e gridare dal dolore.
«Perché a me?» domandò la ragazza, tra urla e pianti.
«Basta, brutte luride baldracche!» Gridò Erin, accorrendo in soccorso della giovane, ma nessuno si accorse della sua presenza. «Finitela di torturarla!»gridò, mentre vedeva la vacchia trascinare la povera mano della ragazza, infondo al lato destro del foglio, che bruciò all’istante, un attimo dopo essere stato firmato, col sangue.


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Note dell'autrice!
Salve a tutti, sono qui con la mia prima storia di genere Romantico/Soprannaturale, che non riguardi la sezione Beatles.
Non so che cosa ne penserete, neppure se recensirete o continuerete a seguire.
Fatto stà che io vi avverto: nulla, nella mia storia, accadrà per caso, e tra l'altro ho studiato molto, prima di iniziare a scrivere una storia che riguardasse l'argomento a me caro, della strage di Salem.
Spero continuerete a seguirmi, magari farò un ingesso decente, nel genre Romantico!

A bien tois,

Je vis pour elle_


[1] Paesino immaginaro, fra i monti del Massachusetts, inventato da me.
   
 
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