La scena del secondo capitolo fu recitata senza alcun intoppo e finalmente si poté passare al terzo capitolo, quello del ballo. Parecchie ragazze attendevano quel momento, perché i due fratelli Ishida (anche se uno era passato ad essere Takaishi) sarebbero comparsi insieme sul palco. C’era di che rifarsi gli occhi per ore. Peccato per il fatto insignificante che Yamato fosse impegnato e che anche Takeru era ad un passo dall’esserlo. Ma questo non avrebbe impedito alle ragazze di guardarli, assolutamente.
«Orgoglio e pregiudizio, capitolo tre, prova uno! Tutti pronti?» domandò il professor Tawada, guardando i suoi alunni. Notò con piacere che erano già sul palco. Con un cenno di soddisfazione si sedette sulla sua poltrona in prima fila.
Iori cominciò a leggere l’introduzione del capitolo, poi, finalmente, i due biondi entrarono in scena.
«Suvvia,
Darcy, vorrei proprio che tu ballassi. Mi dà veramente
fastidio vederti lì impalato a quel modo. Faresti molto
meglio a muoverti»
disse Takeru, voltandosi verso il fratello maggiore e calandosi nel suo
ruolo.
«Per
nulla al mondo. Lo sai che detesto il ballo se non conosco
bene la mia compagna, e in una riunione simile mi sarebbe addirittura
insopportabile. Le tue sorelle sono impegnate , e non
c’è una sola signora in
tutta la sala con la quale ballerei senza sacrificio»
replicò Yamato, con tutta
la serietà di cui era capace.
«Direi
che è il ruolo perfetto per lui. Ha detto quasi la stessa
cosa, la prima volta che gli ho consigliato di provarci con
qualcuna» commentò
Taichi, dando di gomito a Kōshirō ed entrambi ridacchiarono sotto i
baffi,
ricevendo delle occhiate dai loro compagni.
Intanto,
sul palco, la scena era andata avanti e si era arrivati
alla battuta più famosa di Darcy: «A chi alludi?
È passabile, ma non abbastanza
bella per tentarmi, e non sono affatto in vena di consolare le
signorine
trascurate dagli altri giovanotti. Faresti meglio a tornare dalla tua
bella e a
bearti dei suoi sorrisi, perché con me perdi il tuo
tempo.»
«Quanto
è vero!» sussurrò Taichi, forse un
po’ troppo forte perché
tutti lo sentirono, compresi Yamato e Sora che si voltarono a
fulminarlo,
mentre il professor Tawada sospirava profondamente e lo riprendeva:
«Yagami!
Sei pregato di tacere finché non sarà il tuo
turno!»
«Chiedo
scusa» ridacchiò il ragazzo, grattandosi la nuca
imbarazzato.
«Continuiamo…»
sospirò l’insegnante, in tono rassegnato.
I
ragazzi in scena ripresero da dove erano stati interrotti,
mentre i ragazzi dietro le quinte soffocavano le risate per la
figuraccia di
Taichi.
«Taichi,
se continuerai così Yamato ti ridurrà in
poltiglia, lo
sai, vero?» gli chiese Kōshirō, guardandolo preoccupato.
«Se
non lo farà prima Sora, ovviamente» aggiunse Jyō,
che ben
conosceva il caratterino della rossa.
«Ragazzi,
state tranquilli! È tutto sotto controllo!»
ridacchiò
spavaldamente il castano.
«Se
lo dici tu…» mormorò Ken, tornando a
rivolgere la sua
attenzione al palco: metà dei personaggi erano usciti di
scena, visto che il
ballo era finito e i loro personaggi non erano più richiesti
sulla scena. Il
che significava che anche Yamato era… «Taichi!
Preferisci che ti faccia fuori
subito o immediatamente?»
I toni
soavi erano i suoi.
Taichi
scattò in piedi e cominciò a scappare, ridendo
come un
matto. Yamato lo inseguiva lanciando urla disumane. Ovviamente il tutto
scatenò
una serie di incidenti lungo il percorso seguito dai due ragazzi:
Taichi
ribaltò uno sgabello, Yamato travolse due imprudenti ragazze
che si erano messe
in mezzo ed entrambi scivolarono su una macchia d’acqua
causata da una
bottiglia aperta che Taichi aveva ribaltato.
La
loro corsa si fermò ai piedi del professor Tawada, che
soltanto
grazie ad un’enorme dose di autocontrollo riuscì a
trattenersi dall’urlargli
addosso. Inspirò profondamente, poi chiese:
«Yagami, Ishida, che cosa sta
succedendo?»
«Niente!»
esclamarono i due ragazzi in coro.
«Quindi
non vi dispiacerà passare la prossima ora in punizione,
giusto?» domandò l’insegnante, con un
tono mellifluo che fece accapponare la
pelle ai due ragazzi.
Due
minuti dopo, i due ragazzi erano in piedi nel corridoio con
due secchi in mano e uno in testa. Pieni d’acqua.
«Molto
bene. Proseguiamo!» commentò soddisfatto il signor
Tawada,
tornando nell’aula sfregandosi le mani, soddisfatto.
«Quanto
non lo sopporto quell’uomo, quando fa
così!» esclamò
Taichi, rischiando di far cadere il secchio che teneva in testa.
«Io
invece non sopporto te, quando fai così»
replicò gelido
Yamato, cercando di voltarsi verso di lui e nel contempo cercare di
evitare di
lavarsi tutto.
«Così
come, Yamato caro?» fece lo gnorri il ragazzo castano.
«Vuoi
morire giovane?» chiese l’altro.
«Ma
come? Yamatuccio è sensibile su un certo argomentino,
eh?» lo
stuzzicò Taichi, che si stava divertendo da matti.
«Taichi,
ti avverto. Potrei non rispondere delle mie azioni»
ribatté
Yamato, quasi ringhiando.
«Oh,
come sei sensibile. Finalmente capisco cosa ci trova Sora in
te!» scherzò ancora il ragazzo castano.
«Trovo
cosa in chi?» chiese la voce di Sora da davanti a loro.
I due
ragazzi scattarono colpevoli, facendo cadere i secchi ed
impiombandosi d’acqua. La ragazza non poté
trattenersi dal ridere e anche
Taichi scoppiò a ridere come un matto.
«Ragazzi,
siete troppo buffi!» esclamò, aiutandoli a
liberarsi dei
recipienti ormai vuoti.
«Fantastico»
commentò gelido Yamato.
«Su,
Yamato. Fattela una risata!» gli disse la ragazza,
prendendolo sotto braccio e stampandogli un bacio delicato sulla
guancia.
«La
risata la farei volentieri, se non implicasse il fatto di
essere bagnato fradicio alle dieci di mattina»
commentò il biondo, imbronciato.
«Comunque, tu cosa ci fai qui? Non dovresti essere in
scena?»
«Siccome
il nostro ruolo era pressoché nullo, l’insegnante
ci ha
lasciati liberi, tranne Miyako e Daisuke. Loro stanno finendo la loro
parte.
Comunque mi ha mandato a chiamarvi, ha detto che avete sofferto anche
troppo»
spiegò la ragazza.
«Che
gentile» brontolò Yamato, cercando di sistemarsi i
capelli.
«Lascia
fare a me» si offrì Sora, liberandogli il braccio
per
sistemargli il ciuffo.
«Bè,
direi che io me ne vado. Sono di troppo! Addio!»
esclamò
Taichi, eclissandosi nell’aula.