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Autore: kingpin    21/06/2013    0 recensioni
Nella notte in cui il vecchio anno cede il passo a quello nuovo, una ladra professionista è impegnata con l'ultimo dei suoi contratti di lavoro. Le istruzioni fornite dal misterioso Committente comprendono informazioni utili, ma sono fin troppo precise. È una situazione insolita, fa sorgere il dubbio che quello non sarà il solito furto su commissione a cui lei è abituata.
Storia dinamica, dai ritmi serrati e ricca di azione. Un colpo di scena dopo l'altro, il racconto spezza le certezze del lettore, mentre l'ipotesi del proverbiale lieto fine si allontana sempre di più man mano che si scorrono le pagine.
(la pronuncia del titolo è "cromìa")
Genere: Azione, Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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    Questo per esempio sarebbe un momento perfetto per mettersi in azione.
    Se non fosse per quell’armadio in completo scuro e cappotto che non mi toglie gli occhi di dosso da quando Meehan è venuto ad attaccare bottone.
    È un bianco, circa trentacinque anni, non sono sicura che sia inglese o scozzese. Mi sembra di vedere un rigonfiamento anomalo sul suo fianco destro, all’altezza della cintura. Una pistola? Le guardie personali del padrone di casa non sono armate, non con armi da fuoco almeno. Ne ho contate parecchie da quando sono entrata, ma questo qui dev’essere una guardia del corpo speciale. Forse il capo del servizio di sicurezza?
    Dannazione, avrei voluto più tempo a disposizione per raccogliere dati sui soggetti chiave! Normalmente saprei vita morte e miracoli di qualunque ostacolo mi si potrebbe parare davanti durante un lavoro, come questo Pistolero.
    Un forte rumore. Un fragore di vetri infranti, uno scoppio.
    Non può essere un fuoco d’artificio, però.
    Grasse risate.
    Ah, una delle dame ha urtato un tavolino e una bottiglia di bollicine è finita per terra, spargendo il liquido che conteneva in ogni direzione.
    Noto che il Pistolero ha finito per essere attirato anche lui dalla confusione e non mi sta più tenendo d’occhio. Decido di prendere la palla al balzo.
    Specchietto e borsetta ormai non mi servono più, anzi, mi sono solo d’intralcio. Mi libero le mani lanciandoli oltre il muretto di cinta e mi accomodo sulla fredda pietra. Faccio perno con le mani e ruotando il busto scavalco il parapetto, prima con la gamba sinistra, poi anche con la destra. Continuo a girare fino a trovarmi faccia a faccia con il muro esterno del castello e comincio a scendere verso il basso calandomi a forza di braccia, puntando i piedi negli appigli che riesco a scovare fra una fila di pietre e l’altra. L’intera operazione non dura che una manciata di secondi: prima che chiunque possa rendersene conto, io sono già sparita dalla loro vista, e tanti saluti.
    Proseguo fino a quando il muro diventa troppo liscio e insidioso per continuare, e lì mi fermo.
    Adesso inizia la parte divertente. Ovvero complicata: per proseguire ho bisogno di un po’ più di aderenza.
    Bloccata così, in balìa del vento gelido, mi tengo ben salda alla parete con la mano sinistra e uso i denti per sfilare dalla destra il guanto bordato di pelliccia che indosso, poi lo lascio precipitare giù verso la costa rocciosa. E ripeto l’operazione invertendo le mani.
    Sotto quei guanti ne indosso un altro paio, sono molto più sottili e non servono affatto a riparare dal freddo. Si tratta di guanti da roccia che uso per avere una presa migliore quando devo produrmi in folli acrobazie come quella che sto per compiere, ma fanno anche comodo per evitare di lasciare impronte digitali.
    Abbasso lo sguardo per studiare la situazione: finora va tutto a meraviglia, mi trovo esattamente dove devo essere. Solo tre piani più in alto.
Nell’oscurità distinguo a malapena la finestra che devo raggiungere, e molto più sotto il Mare del Nord che picchia duro contro la costa con le sue onde nere.
    Cerco di non pensare a quei vortici di acqua rabbiosa e mi concentro unicamente su quella specie di cornicione che spunta dal muro un paio di metri sotto i miei piedi, la prossima tappa della mia discesa.
    Aumento al massimo la concentrazione e mi preparo per il salto.
    Inspiro. Espiro.
    Mi allontano dal muro di qualche centimetro.
    Inspiro. Mollo la presa e mi lascio cadere nel vuoto, occhi puntati sul cornicione.
    Quando mi trovo alla giusta altezza, lo afferro con entrambe le mani e arresto così di colpo la mia caduta.
    Ricevo in cambio un bel colpo di frusta che riecheggia fra le braccia e il dorso, addirittura mi faccio sfuggire un gemito sommesso. Non molto professionale da parte mia, ma è andata bene: non ho mancato la presa.
    Peso poco e ho braccia, mani e gambe piuttosto forti; per esigenze di lavoro devo sempre mantenere il mio corpo tonico e in perfetta efficienza fisica. Non ho troppe difficoltà a eseguire una manovra del genere, ma non sono neanche indistruttibile.
    Perdo una decina di secondi per ricaricare le batterie e prepararmi per il bis, nel frattempo il grande spettacolo pirotecnico di Olivier Meehan ha inizio, qualche piano più in alto, lontano dalla mia visuale.
    È iniziato un nuovo anno, evviva. Tanti auguri, Zlata.
    Il vento inizia a soffiare sul serio. Le ciocche di capelli neri che ho intenzionalmente tenuto fuori dallo chignon svolazzano qua e là secondo i capricci delle folate gelide, come anche gli orecchini, il mantello e il vestito. È proprio uno svolazzare unico lì sotto, ho le gambe tutte scoperte. Meno male che non sono in balìa di qualche stupido maschietto guardone. Già, sono solo in balìa del vento più freddo dai tempi della Glaciazione di Moho. Ripensandoci credo che baratterei volentieri questo vento del cazzo con un paio di quei guardoni.
    Meglio non pensarci e focalizzarsi sul prossimo salto.
    Rilasso il collo, inspiro di nuovo a fondo e mi lascio cadere a peso morto.
    Stavolta riesco ad aggrapparmi meglio alla sporgenza, niente sollecitazioni muscolari come quelle di prima. L’unica cosa fuori posto è sempre il mantello nero, che ormai non poggia più sulle mie spalle ed è libero di fluttuare nell’aria come quello di un dannato supereroe a fumetti, tenuto al suo posto solo dal legaccio che mi cinge il collo.
    Sotto di me distinguo infine il balconcino che devo raggiungere, talmente stretto che davvero non so a cosa possa servire, se non da ornamento strutturale.
    Effettuo l’ultimo balzo oltrepassando del tutto il poggiolo e agguanto la base della ringhiera. Anche questo salto è quasi indolore, ma il mio mantello decide di slacciarsi del tutto e volare via trasportato dal vento. Ciao ciao mantello... Non è una gran perdita, contavo lo stesso di togliermelo una volta entrata, ma adesso oltre alle gambe mi ritrovo anche con le braccia scoperte. E come se non bastasse, il vestito è piuttosto scollato... Non c’è che dire, l’ho davvero scelto bene. Con questa temperatura non vedo l’ora di rifugiarmi all’interno.
    Mi isso oltre il parapetto, lo scavalco e ritrovo finalmente un supporto stabile sotto i piedi. Gran bel sollievo. Com’era prevedibile la stanza dall’altro lato della porta a vetri è buia e deserta.
    Prima di congelare per davvero, colpisco uno dei rettangoli trasparenti della porticina con un pugno ben assestato. Il vetro è sottile e va in frantumi senza neanche applicare troppa forza, non si tratta certo di uno di quei solidi doppi vetri riempiti a gas inerte. Il passo successivo è scontato, infilo una mano guantata attraverso la fenditura e aziono la maniglia interna della porta, aprendola. L’istante dopo sono già nell’ufficio di Oliver Meehan, felice di trovarmi al riparo dall’aria gelida. Finora la sortita si sta svolgendo in accordo con la mia pianificazione. Anche se ho dovuto rischiare il collo interpretando la donna-ragno per un po’, con questo espediente sono riuscita a evitare tutti gli uomini della sicurezza sparsi per i corridoi del castello. In base alle informazioni che mi ha fornito il Committente, questa mi è sembrata la strategia migliore e finora sembra proprio che stia pagando.
    L’ambiente in cui mi trovo è al buio, ma ormai i miei occhi si sono abituati all’oscurità e riesco a individuare le dimensioni della stanza e la mobilia che mi circonda. Solidi divanetti stile vittoriano, poltroncine. Un mobile bar, un paio di armature medievali in esposizione, immancabili in un castello, e svariati quadri alle pareti.
    Cammino con circospezione verso la massiccia scrivania che occupa il lato sinistro dell’ufficio rispetto al balconcino. Cerco di muovermi senza produrre alcun rumore, come è giusto che faccia una ladra professionista, ma con questi stivali col tacco è impossibile. Poco male, dato che lo spettacolo pirotecnico copre tutto con i suoi sordi boati. Ormai va avanti da un paio di minuti e non accenna a volersi fermare. È soprattutto per questo motivo che ho pianificato il mio furto proprio negli attimi successivi alla mezzanotte.
    Senza indugi raggiungo la scrivania e la aggiro, poi spingo via la sedia girevole in pelle per fare spazio. Appeso al muro retrostante c’è un quadro, circa cinquanta per trenta centimetri. Non è il più costoso della collezione e di sicuro non è il più bello, ma a me proprio questo interessa; lo rimuovo dalla parete e scopro la cassaforte incassata nel muro.
    È una Mosler non troppo recente, aggiornata però con una serratura digitale S&G Titan al posto di quella originale meccanica. La combinazione per aprirla va inserita tramite tastierino numerico.
    Un discreto sistema di sicurezza: anche avendo con me un set completo di attrezzi da scasso, ci metterei come minimo un quarto d’ora per riuscire a forzarla senza danneggiare i valori al suo interno. Di trovare la combinazione esatta con un autodialer non ne parliamo proprio, dovrei lasciarlo lavorare sul Titan per almeno mezza giornata, a meno di un colpo di fortuna.
    Il mio piano non prevede nulla di tutto questo, dato che sono già in possesso del codice di apertura della serratura. Non mi capita spesso una situazione così vantaggiosa, quindi sono parecchio felice di poterne approfittare.
    Ma per riuscire a farlo devo prima tirar fuori l’unico utensile che mi sono portata dietro questa notte: la piccolissima torcia elettrica Maglite che ho nascosto nella tasca interna del mio stivale destro.
    La regolo al minimo della potenza e la punto sul chiavistello elettronico da una distanza ravvicinata. Premo il tasto asterisco e il sistema mi conferma la sua attivazione con un segnale sonoro, poi inserisco il codice a sei cifre due-sette-sei-cinque-cinque-sei. La serratura si apre con uno scatto e io sono libera di azionare la maniglia e spalancare lo spesso sportello metallico.
    L’ubicazione della cassaforte e la sua combinazione fanno parte del pacchetto di istruzioni consegnatemi dal Committente, una persona di cui non conosco l’identità ma che mi sembra alquanto ammanicata. Infatti non capisco come mai abbia scelto di affidare questo lavoro a una professionista del mio calibro, dato che le informazioni più importanti per raggiungere e aprire la cassaforte erano già in suo possesso. Sicuramente si tratta di qualcuno che conosce Meehan di persona, quindi non vuole trovarsi all’interno del castello quando il furto viene compiuto, così da evitare di attirare sospetti su di sé.
    La combinazione numerica che mi ha fatto avere in realtà non è un numero, è una parola. I pulsanti della tastiera Titan, oltre le solite cifre, hanno anche raffigurate le lettere dell’alfabeto, disposte in maniera molto simile a quelle dei telefoni cellulari. Ogni numero che ho premuto in realtà corrisponde a una lettera e, mettendo in sequenza le lettere corrispondenti a quelle che aveva in mente Meehan per la combinazione, il risultato che si ottiene è A-P-O-L-L-O, il nome del dio greco. Probabilmente è così che si vede lui nella sua immaginazione, come un lucente dio Apollo.
    Mentre inizio a frugare nella cassaforte, un sorriso di compatimento compare mio sul volto.
    Ci sono svariati oggetti all’interno: mazzette di banconote di varia nazionalità, fascicoli da ufficio, una busta bianca piena di fotografie che non perdo tempo a sfogliare, e alcuni astucci per gioielli. Sono proprio questi ultimi che mi interessano.
    Mi infilo fra i denti la Maglite per avere entrambe le mani libere e apro il primo. Una moneta antica. Non è quello che sto cercando, la metto da parte. Nel secondo trovo un sacchetto di velluto, all’interno ci sono dei piccoli oggetti solidi. Credo proprio di sapere di che cosa si tratta; allento la cordicella che tiene chiuso il contenitore e faccio scivolare i ghiaccioli sul palmo della mano.
    E invece mi sbaglio: sono smeraldi, non diamanti.
    Per un attimo sono tentata di portarmi via il sacchetto di preziosi, leggero e di altissimo valore, ma alla fine decido di rimetterli a posto. Non sono venuta qui per quelle pietre, il Committente è stato chiaro: devo prendere solo un anello, lasciar stare qualunque altro oggetto si trovi nella cassaforte, tanto una volta consegnato il bottino sarò ben retribuita.
    Continuo la ricerca.
    Trovo un bracciale, degli orecchini e un’altra moneta antica. Poi i miei guanti scovano una scatoletta più pesante, di legno massello. È piuttosto vecchia, un po’ rovinata e tenuta chiusa da un chiavistello metallico. Faccio scattare l’apertura e la apro: finalmente ecco comparire l’anello d’argento che sono venuta a rubare. Una fedina dal disegno semplice, ma con un rombo in rilievo sul bordo esterno. Forse in passato ospitava una pietra preziosa incastonata? Di sicuro adesso sembra solo un anello da pochi soldi; se con tutto il ben di Dio contenuto nella cassaforte di Meehan il Committente mi ha mandato a prelevare solo questo giocattolino, il furto deve essere un messaggio personale di qualche tipo, magari una minaccia.
    Fatti loro. A me interessa solo portare fuori di qui me stessa e l’anello, poi di questa storia e dei loro protagonisti non voglio più sentir parlare.
    Un rumore di metallo contro metallo.
    Una chiave che viene inserita nella toppa, quella della stanza in cui mi trovo.
    Cazzo.
 

   
 
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