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Autore: jjk    21/06/2013    1 recensioni
Perdersi tra le strade di New York e tra le scelte della propria vita.
A quella ragazzina era successo tutto insieme e non sapeva più come tornare indietro.
Non sapeva perché stesse correndo né da cosa o chi stesse scappando,né tanto meno come ritrovare la strada di casa,se stessa e la pace interiore di cui aveva bisogno.
E non aveva nessuno che la potesse capire e aiutare.
O meglio, non ancora.......
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-La porto io-borbottò il giovane appena furono usciti prendendo la bicicletta.
A poco servirono le proteste della ragazza che si vide persino costretta ad accettare la felpa che lui le stava porgendo.
-Fa freddo a New York la sera, anche se è praticamente Maggio.- Le disse mettendogliela sulle spalle e, senza darle il tempo di protestare, cominciò a camminare.
-E tu come fai? Non hai freddo?-
-Non sarò un vero newyorkese però dopo quasi 5 anni che vivo qui mi sono abituato al clima-
-Non sei di qui?! Ecco perché Jack diceva che ti sei perso spesso!-
-Oh si, non hai idea di quante volte, soprattutto durante i primi mesi, mi ritrovavo in strade che non conoscevo senza sapere come ci ero arrivato, né tantomeno come tornare a casa. Ma ero troppo orgoglioso per chiedere aiuto, così mi ritrovavo la sera tardi distrutto e disperato a chiamare Jack, che era praticamente l’unica persona che conoscevo, cercando di non piangere e implorando di venirmi a prendere-
-E lui veniva sempre?-domandò lei con voce infantile, riconoscendo in quelle parole le stesse cose che provava lei quando si perdeva, e che aveva quindi chiamato quel giorno, solo che lei non aveva nessuno da chiamare.
-No, non sempre-rispose lui con un sorriso.
-Ogni tanto mi chiedeva dov’ero, ma invece di mettersi in macchina e raggiungermi, mi guidava telefonicamente verso casa. Anche perché spesso mi decidevo a chiamarlo solo alle ore più improbabili o quando era in compagnia di qualche ragazza, e lui non aveva di certo nessuna intenzione di mollare tutto quello che stava facendo solo per “soccorrere” quell’imbecille del suo nuovo amico che non aveva ancora imparato ad orientarsi, tanto più che fino a poco tempo prima che mi trasferissi qui ci odiavamo!-
Entrambi risero, l’uno ricordando i primi tempi della sua vita a New York e l’altra immaginandosi ciò che le aveva appena raccontato.
-Perché vi odiavate?-
-Suppongo non ci fosse un vero motivo. Io pensavo che lui fosse un’idiota presuntuoso e lui lo pensava di me-
-E cosa vi ha fatto cambiare idea?-
-Lavoro-borbottò Nate con una strana espressione e un tono quasi più strano-
-è per lavoro che si venuto a vivere qui?-
-Più o meno-
Giulia non disse nulle, ma fece una faccia interrogativa che lo spinse a spiegarsi meglio.
-La mia fidanzata viveva qui anche allora, abbiamo pensato che potevamo trasformare in qualcosa di più il nostro rapporto a distanza, così mi sono trasferito da lei-
Doveva amare la sua ragazza, ma aveva una luce strana negli occhi, come se, in qualche modo, rimpiangesse quella scelta.
-Ti manca la tua famiglia?-domandò la ragazza facendolo riscuotere dai suoi cupi pensieri.
-Io vengo da Glendale, in Arizona. Dall’altra part del paese insomma. In più il mio lavoro mi porta via davvero molto tempo ed è quasi impossibile per me riuscire ad andarli a trovare-
-Non possono venire loro?-
-Sono venuti, qualche volta, ma per loro è praticamente impossibile prendere l’aereo e da Glendale a qui è un viaggio in macchina non indifferente. Quella che vedo di più è mia sorella con il figlio  il marito. Loro vengono appena possono-
-Hai un nipote?!chiese lei con gli occhi che le brillavano.
Lui annuì e aprì il portafoglio per mostrarle una foto in cui era ritratto accanto a una bionda con in braccio un bambino di circa 5-6 anni.
-è lui. E lei è mia sorella Libby-rispose.
Era evidente quanto fosse profondamente orgoglioso di loro, soprattutto del piccoletto che nell’immagine sorrideva contento allo zio.
-E quelli chi sono?-domandò ancora Giulia indicando una vecchia foto in bianco e nero che riprendeva una giovane coppia di sposi.
-I miei genitori il giorno del loro matrimonio-
-Devi essere molto legato alla tua famiglia-
-E sono anche molto mammone se è per questo-le disse lui sorridendo.
-Ti sei mai pentito di essere venuto a vivere qui?-
La domanda della ragazza lo lasciò spiazzato.
Aveva avuto paura di chiederselo per troppo tempo e ogni tanto la questione tornava a galla, ma per la prima volta era costretto a dare una risposta.
-Non fraintendermi. Io amo davvero tanto la mia ragazza e adoro vivere con lei…..ma vorrei poter passare del tempo con la mia famiglia non solo al telefono-sospirò tirandosi indietro il ciuffo che gli copriva gli occhi pieni di nostalgia.
A Giulia dispiaceva di aver oscurato il suo bellissimo sguardo.
Non voleva che fosse triste, anche perché, se non si considerava come l’aveva trattata quando aveva scoperto quanti anni aveva, era stato molto gentile con lei.
Si era preoccupato che le sue ferite fossero ben pulite e disinfettate e i suoi vestiti asciutti, in più ora la stava riaccompagnando a casa portandole la bicicletta dopo averle ceduto la sua felpa, quando avrebbe potuto rimanere in quel bar con i suoi amici, e lei lo aveva ripagato rendendolo triste.
Si sentiva in colpa e fissò lo sguardo sull’asfalto che scorreva sotto i suoi piedi.
-Perché a te non mancano?-
La voce di Nate la costrinse ad alzare la testa, incrociando le sue iridi verde-acqua a cui non riusciva a mentire.
-Gli voglio bene e ci sentiamo spesso- disse abbassando nuovamente il volto.
Ma lui si fermò, le tirò su il mento e la costrinse a guardarlo negli occhi.
-Non hai risposto alla domanda. Non abbassare lo sguardo e dimmi: Ti manca la tua famiglia?-
Lei allontanò la sua mano con uno scatto e riprese a camminare più veloce di prima.
-Giulia…..-
-Ci separano un oceano e non so quanti km, quindi non ho nessuna intenzione di pensare a quanto mi manchino i miei genitori e le mie sorelle. Dovrò vivere a New York per on so quanto tempo ancora e vorrei credere che questa nostalgia è dovuta solo al fatto che sono qui da nemmeno 3 settimane. Perché Roma è molto più distante di Glendale da New York!-
-Allora perché ti sei trasferita qui? Sei solo una ragazzina! Alla tua età si vive ancora con mamma e papà!-
-Beh io no! Non sono venuta qui per un mio capriccio personale! Non sono il mostro che tu credi che io sia!-sbottò.
Era davvero furiosa, ma non con lui, più che altro con se stessa.
Dopotutto era stata una sua scelta quella di cogliere l’opportunità che le era stata offerta e andare a vivere lì, quindi si sentiva così stupida quando si accorgeva di quanto le mancasse la sua famiglia.
-Io…..Io non volevo dire questo. Volevo solo dire che…è una sfida non da poco andare a vivere da sola, e così lontana da casa tua, così giovane-
Non aveva intenzione di ferirla, anche perché sapeva come ci si sentiva fragili e insicuri quando si era così lontani da tutto ciò che si conosceva e che aveva rappresentato la propria vita precedente, ma evidentemente, era proprio quello che aveva fatto.
-Scusa è che….Sono un po’….Ehmmm…. Suscettibile in questo periodo-mormorò lei imbarazzata, capendo di aver frainteso ciò che lui voleva dirle.
-E io ho sbagliato argomento. Eppure avrei dovuto saperlo che era un tasto dolente. Sai ogni tanto ancora non riesco a dormire per la nostalgia. Riesco a prendere sonno solo sentendo il battito ritmato del cuore della mia fidanzata e il suo respiro leggero. Mi fanno da ninna-nanna e sono le uniche cose che riescono a calmarmi-
-Devi amarla davvero tanto. Come l’hai conosciuta?-
Nate sospirò ricordando la prima volta che l’aveva vista.
Era dietro le quinte di un festival musicale di un caldo giorno d’estate.
Indossava un vestito pieno di colori che metteva bene in risalto le sue gambe e lasciava scoperto un pezzo della bianca schiena, coperta però dai lunghi capelli biondi che le scendevano ben più sotto delle scapole.
Lei stava guardando con attenzione il gruppo che suonava sul palco e non si era minimamente accorta di lui che, vedendola, si era fermato, incurante delle persone che gli passavano accanto.
Aveva appena trovato il coraggio di avvicinarsi a quella che gli sembrava un’angelica visione, quando la band smise di suonare e si ritirò dietro le quinte.
Proprio dove stavano loro.
Ricordava ancora il sorriso che aveva quando l’avevano raggiunta e lei si era gettata al collo del chitarrista senza dargli nemmeno il tempo di posare il suo strumento.
E ancora meglio ricordava la stretta allo stomaco che aveva sentito quando lui le aveva dato un tenero bacio sulla guancia ricambiando l’abbraccio.
«Dai, adesso basta!» le aveva detto poi allontanandola.
Gli aveva dato dell’idiota: lui avrebbe dato qualsiasi cosa per passare la vita tra quelle braccia.
Li aveva guardati allontanarsi tutti insieme, odiando ogni singolo membro di quello stupido gruppo che poteva passare un po’ di tempo con lei.
«Tu credi nel colpo di fulmine?» aveva chiesto a Sam quella sera in albergo prima di addormentarsi.
«No. Perché tu si?»
«Non credo che ci si possa innamorare di una persona a prima vista, ma credo che ognuno sappia riconoscere la propria anima gemella che cercava da sempre»
«Oggi sei più poeta del solito. C’entra nulla la biondina dietro le quinte?»
«E tu come…..»
«Come faccio a saperlo? Ho visto come la guardavi: ti brillavano gli occhi come mai prima d’ora. E dire che ti ho visto prendere tante di quelle cotte!»
«Ma lei è diversa Sam! Me lo sento! È lei quella giusta!»
«Sarà, ma stai attento. Non so se hai notato quel chitarrista che le sta sempre accanto. Beh, io dubito che lui ti lascerà mettere con lei senza protestare. Adesso dormi che domani si torna a casa»
Di solito, per quanto amasse andare in tour, era sempre molto felice di tornare in Arizona, ma non quella volta.
Aveva la sensazione che se fosse partito non l’avrebbe più rivista.
Sperava solo di avere torto
-Ehi! Ti sei incantato?!-
Giulia schioccò le dita e Nate ritornò con i piedi per terra.
-Oh scusa. Di cosa stavamo parlando?-
-Stavi per raccontarmi come hai conosciuto la tua fidanzata. Il giovane rise.
-Dubito, però penso di poterti accontentare-
In fondo non gli costava nulla e avrebbe fatto felice la ragazzina al suo fianco con cui, malgrado la conoscesse da poche ore, sentiva di avere uno strano legame di lui ancora non riusciva a capire bene la natura.
Così le raccontò di quel caldo giorno d’estate.
Uno di quelli che ricordava meglio in tutta la sua vita.
-…..E poi cosa successe?-
-Diciamo che volevo avere torto, ma ebbi ragione. Non la vidi per almeno un altro anno. Non la dimenticai, ma pensai che era inutile piangere per una ragazza che oramai avevo la certezza di non vedere più, così andai avanti con la mi avita di sempre, come se non l’avessi mai incontrata. Questo almeno finché io e Sam non decidemmo di sciogliere il nostro gruppo-
-Perché lo faceste?-
-Ancora non so bene perché ci siamo sciolti, ma se non fosse successo la mia vita avrebbe preso una piega completamente diversa-rispose lui con una smorfia che le fece capire che quello era un tasto dolente che era meglio non toccare, così lo incitò ad andare avanti.
-Comunque questo cosa c’entra con te e la tua ragazza?-
-Ora te lo spiego ragazzina! Ma quanto sei curiosa!-
-Me lo dicono in molti, ma non ci posso fare niente giuro che ci ho provato!-gli rispose lei facendolo ridere.
Rise anche lei, ma voleva sapere come andava a finire questa storia.
Sembrava una bambina piccola che cercava di far raccontare alla nonna il finale della sua fiaba preferita.
-Allora? Dai continua!-
-La prossima volta ragazzina. Per oggi siamo arrivati a casa tua e se non vuoi che la tua coinquilina si arrabbi davvero ti conviene correre dentro. Sono quasi le 9-
-Come faccio ad essere sicura che ci sarà una prossima volta?-
-Hai i nostri vestiti e noi abbiamo i tuoi. Direi che ci sarà per forza una prossima volta. In più hai promesso a Jack ed Andy di raccontargli cosa ci fai qui e sinceramente sono curioso anch’io, quindi non pensare che ti lasceremo in pace. Quando tu ci racconterai la tua storia io finirò di raccontarti la mia ok?-
-Ok-borbottò lei imbronciata.
Odiava le cose lasciate in sospeso.
Nate legò la bici a una rastrelliera di fronte al palazzo, poi le si avvicinò e le porse un fogliettino di carta stropicciato su cui aveva appena scritto una serie di numeri.
-Ho l’impressione che ti perderai di nuovo, perciò tieni. Tutti devono avere qualcuno da chiamare in questi casi, questa volta è il mio turno, quindi……Chiamami se hai bisogno ok?-
-Ok. E…..Nate….Prima non conoscevo il tuo volto, ma ho riconosciuto la tua voce e trovo che sia bellissima-
Lui sorrise.
Allora, in fondo un minimo sapeva chi era.
-Buonanotte ragazzina-le disse salutandola con la mano.
-Buonanotte. E grazie per tutto quello che hai fatto per me. La tua fidanzata è molto fortunata ad averti accanto-rispose lei scomparendo nel portone.
Prima di salire le scale però si girò, appena in tempo per vedere il ciuffo castano di lui venire scompigliato dal vento mentre il giovane correva veloce verso casa sua con la camicia aperta che gli svolazzava dietro.
Quel discorso gli aveva fatto venire una gran voglia di abbracciare colei che aveva il potere di farlo sempre sentire al sicuro, a casa.

nota:Innanzitutto ringrazzio tantissimo MON per la recensione che ha lasciato al capitolo precedente.Le sono molto riconoscente.
questo capitolo è qualcosa come un quarto del precedente e per questo mi scuso, ma era fondamentale che finisse qui, perciò abbiate un po' di pietà vi prego.Mi farebbe moltissimissimissimo piacere sapere cosa ne pensate di questa storia,quindi spero ardentemente che vogliate lasciarmi qualche recensione.Grazie in anticipo
  
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