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Autore: Crow17    21/06/2013    0 recensioni
Mi accasciai lentamente a terra, sempre ad occhi chiusi, persa nei miei pensieri annebbiati dal sonno. Presi il cellulare dalla tasca del cappotto con una mano infreddolita. Nessun messaggio. Nessun segno di lui.
Prima di cedere al dolce tepore dell’incoscienza, un pensiero mi balenò nella mente.
“E se mi avesse mentito? Se fosse tutto uno scherzo crudele? E se…”
Una lacrima gelata cadde dai miei occhi stanchi, quasi ad indicare la fine.
Morii.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Riaprii gli occhi. Non c’era nulla, nemmeno io. Eppure sapevo di esserci, sapevo di esistere ancora.
Non avevo la minima idea di dove mi trovassi ma, come ormai avrete capito, non mi interessava. Il mio pensiero era rivolto a lui. Dove si trovava? Stava bene?
Una fitta al cuore mi distolse dai miei pensieri. Guardai in basso. Non avevo nemmeno un cuore, come poteva farmi male?
Tap, tap, tap…
Passi. C’è qualcun altro, oltre a me. Iniziai a correre verso quel rumore sempre più flebile. Non avevo gambe per correre, e nemmeno braccia per darmi lo slancio. Corsi comunque a perdifiato verso quei passi, come se fossero la mia ultima salvezza.
Mi fermai ad ascoltare, ma non sentii più alcun rumore. Come il nulla che mi circondava, anche quel silenzio era opprimente.
“Cosa stai guardando?”
Mi voltai di scatto, ma non c’era nessuno. La voce, però, mi era estremamente familiare.
La voce cominciò a ridere. “Dovresti vedere la tua faccia! È veramente spassosa! Sono davvero in grado di fare questo genere di espressioni? Io, che vengo chiamata la ‘Regina di Ghiaccio’?”
Una nuova risata, crudele, proprio dietro di me. Mi voltai di nuovo, e ciò che vidi non aveva alcun senso. Di fronte, in piedi, stava una ragazza identica a me, e allo stesso tempo totalmente diversa.
“Chi sei tu?” La mia voce tremava, perché avevo il timore di conoscere la risposta.
“Come, chi sono io?” La ragazza scoppiò a ridere. “Dopo quasi diciassette anni che ti guardi allo specchio non sei ancora in grado di riconoscerti?” Cominciò ad applaudire. “Aah! Povera Ophelia! Quel ragazzo ti ha proprio rovinata, eh? Come si chiamava? Alex, Adam… George… No, non è quello…”
“È Alec!” urlai, quasi in lacrime. “Smettila di dire cose così crudeli! Non ci capisco più nulla! Chi sei tu? Cos’è questo posto? Perché sono finita qui?”.
“Visto che insisti, te lo dirò” ghignò la ragazza, “anche se non penso ti piacerà affatto ciò che sto per dirti”. Un’espressione seria, quasi grave, si dipinse sul suo volto. “Cominciamo dalle presentazioni: io sono Ophelia Moore, ho diciassette anni e vivo…”.
“Stai mentendo” la interruppi, urlando. “Tu non puoi essere me!”.
L’altra me mi lanciò uno sguardo da gelare il sangue nelle vene.
“Non interrompermi!” sibilò. “Dicevamo… Ah sì! Abito nella città di Ipswich, nella contea del Suffolk, in Inghilterra. Frequento la Ipswich School, e la mia migliore amica, nonché vicina di banco, si chiama Christine Jones. Tutto questo ti ricorda qualcuno, piccola Ophi?” Sfoderò ancora quel suo ghigno malizioso, senza mai distogliere lo sguardo dai miei occhi impauriti. Non sapevo cosa rispondere. Il terrore che provai in quel momento è impossibile da descrivere.
“Ti chiedi dove siamo e perché sei finita qui. Beh, sei qui perché… sei morta. Hai presente l’appuntamento al quale Alec ti ha dato buca? Ecco, i medici dicono…”.
Non la ascoltavo più. Non volevo più sentire una parola. L’ultima che avevo sentito mi aveva distrutta. Sono morta. “Sciocchezze!”pensai, “Non sono morta! Stavo aspettando Alec fuori dal cinema, faceva freddo e…”
Raggelai. Sentivo le mie non-gambe molli e instabili, poi caddi. Non passarono nemmeno due secondi che scoppiai in lacrime. L’altra me se ne stava in silenzio, dopo aver finito il racconto.
Passarono  minuti. Ore. Non so nemmeno quanto tempo rimasi lì a piangere. Non tanto per essere morta giovane, quanto per il fatto che non avrei mai più rivisto lui. Lui era la cosa più importante della mia vita, non potevo permettermi di lasciarmela scappare così tra le dita.
Dopo un tempo che mi sembrò infinito, mi asciugai le lacrime. Bruciante di determinazione, sapevo cosa dovevo fare. Ma non avevo idea del come. Mi guardai intorno, cercando una via d’uscita. Non c’era nulla, nemmeno uno spiraglio. Tutto era uguale ovunque guardassi. La ragazza che si spacciava per me non c’era da nessuna parte. “Meglio così” pensai, sarcastica. “Non mi avrebbe aiutato comunque”.
“Mi hai chiamata?”. Spuntò dal nulla, ghignando, esattamente come era svanita.
“Parli del diavolo…” borbottai. Non le bastava avermi ucciso mentalmente, voleva sicuramente rigirare il coltello nella piaga. Decisi di ignorarla, e iniziai a camminare. Non sapevo dove portasse la mia strada immaginaria, ma era sempre meglio che starsene lì con le mani in mano, aspettando qualcosa che non sarebbe mai arrivato.
“Hai intenzione di ignorarmi? Ti conosco come le mie tasche, non puoi mentirmi”disse, cominciando a seguirmi. Ancora quel ghigno.
Continuai ad ignorarla. “Non distrarti, Ophelia! Devi cercare una via d’uscita, devi andartene da qui!”. Continuavo a ripetere questa frase fra me e me, incitandomi a non mollare.
“Ah! Adesso ho capito! Stai cercando di fuggire da qui, non è vero?”. Mi superò per potermi sbarrare la strada, facendomi la linguaccia. “Io so come uscire! Esco spesso per farmi un giro, sennò sarei già morta di noia!”.
La guardai con espressione incredula. “Davvero sai come uscire da qui? E saresti disposta a dirmelo?”.
“Per chi mi hai preso, scusa? Ti sembro forse la matrigna cattiva di cenerentola? Andiamo, è ovvio che voglio dirtelo! Dopotutto, io sono te e tu sei me”.
Iniziai a piangere di gioia. “Grazie, grazie, grazie!” ripetei, abbracciandola di slancio.
“Che schifo! Staccati subito da me, o rovinerai l’immagine da dura che mi sono costruita!”, Mi allontanai di scatto, preoccupata che cambiasse idea sull’aiutarmi. “Oh, grazie al cielo. Bene, possiamo iniziare il viaggio, allora.”
Si avvicinò a me, quasi per abbracciarmi, con un’espressione dolce che non le si addiceva.
Mi avvicinai, fiduciosa, allargando le braccia. Ma non ci fu un abbraccio ad accogliermi.
Nascosto nella manica della sua maglia, un paletto di legno era stato conficcato dove un tempo si trovava il mio stomaco. Avvicinò la sua bocca al mio orecchio, sussurrando parole incomprensibili. Poi capii.
Mi disse “Ci vediamo dall’altra parte”.

  
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