16.
Beloved
freak, the world is at your feet
Thanos
rimase immobile, fissando alternativamente il Cubo offuscato e il corpo inerte
del principe asgardiano ai suoi piedi. Gli fu immediatamente chiaro che aveva
commesso due colossali errori, da quando aveva messo le mani sul manufatto
cosmico che tanto bramava: il primo era stato non uccidere subito Loki, il
secondo lasciare che fossero i propri stupidi sottoposti a occuparsi delle
ricerche dello scettro andato perduto – o forse la responsabilità era sua,
poiché si era preoccupato soltanto dei soldati del Valhalla in fuga e non aveva
considerato l’ipotesi che fosse stato un civile, o addirittura una dama, a
rinvenire l’arma; in realtà non avendone notizia si era convinto che fosse
andata distrutta nell’impatto, nella caduta, e difficilmente si sarebbe
perdonato una simile leggerezza. Gli sovvenne ciò che i suoi soldati gli
avevano riferito durante l’assedio di Midgard circa una giovane umana che si
accompagnava al Dio degli Inganni e di cui non si era affatto curato,
ritenendola troppo debole per affrontare un viaggio tra i mondi e troppo
mortale per nuocergli in alcun modo. Adesso si rendeva invece conto che poteva
esserci lei dietro all’evasione tempestiva dell’asgardiano e al fatto che
questi brandiva di nuovo il bastone che lui stesso gli aveva donato, e con
cieca ira per ciò che si era lasciato sfuggire serrò denti e pugni. Era stato
vanesio e disattento, reso stolto dalla foga della vittoria e dal dolce
pensiero delle vite che aveva e avrebbe offerto al bel sembiante di Morte che
lo avrebbe per questo amato. Aveva concepito un piano perfetto e due
insignificanti dettagli glielo avevano pressoché rovinato, e doveva porvi
rimedio.
Respirando
a fondo per placarsi si disse che dopotutto Loki era infine caduto e che gli
sarebbe bastato riattivare il Tesseract per tornare ad avere il controllo su
ogni cosa; voci tonanti e rumori di battaglia si approssimavano all’anticamera,
notò, e doveva sbrigarsi.
Così
allungò una mano verso il piedistallo, superando con cautela il dio esanime
disteso innanzi a lui, ma prima che potesse toccare la superficie appena
illuminata del Cubo la punta dorata di un altro scettro che ben conosceva gli
trapassò il palmo strappandogli un sordo ringhio e una possente figura gli
sbarrò la strada: il Padre degli Dei era comparso alla sua sinistra, pallido e
fiero e temibile, Gungnir ben saldo tra le sue dita e l’occhio che sembrava saettare
nella semioscurità come un presagio di tempesta.
« Tu. »
lo apostrofò Thanos con feroce disprezzo.
« Io. E
con me, figlio di Mentore, vengono molti altri. » rispose Odino.
E la luce
crebbe nella stanza e molte nuove fiaccole si accesero, e sulla soglia
spalancata si stagliarono le sagome di decine di guerrieri asgardiani accorsi
sul posto, e grida e clangori li seguivano annunciando al cielo che ovunque si
era tornati a combattere, poiché il velo che adombrava gli occhi e le menti
degli Æsir – e finanche dei midgardiani – si era dissolto come nebbia al sole,
e la paura e lo sconforto non attanagliavano più i loro cuori.
Il titano
allora rise di sé stesso, riconoscendo il sapore inequivocabile della
sconfitta, e il sovrano del Valhalla estrasse la lancia dei re dalla sua mano e
gliela puntò alla gola e disse:
« Il tuo
vile inganno dal Dio degli Inganni è stato annientato. Ora rinuncia al Cubo e
arrenditi, Thanos, e avrai forse salva la vita. »
La risata
dell’altro si fece più aspra e sfrontata: « Credi che la mia vita sia in tuo
potere, o re? Lascio la vittoria al tuo freddo figlio, per questa volta, dacché
se l’è meritata ed io in cambio gli ho inflitto ciò che gli avevo promesso, e
perché so quando è il momento di abbandonare un campo divenuto ingestibile. Ma
non rinuncerò al Tesseract e non mi arrenderò, e tieni bene a mente, Padre
degli Dei, che un giorno ti pentirai di non avermi qui ucciso. » rispose.
Ridendo
ancora si avvolse nel proprio mantello, giganteggiando per un istante
sull’avversario, e con un guizzo la sua immagine svanì; Odino tentò un affondo
e non colpì altro che aria, e le ultime parole del folle titano gli si
piantarono in testa come un funesto stornello.
« Thanos
ha scelto la fuga e il suo esercito è allo sbando. » esclamò tuttavia
rivolgendosi ai soldati che avevano assistito alla scena e che attendevano
ordini: « Andate e riconquistate quel che avevamo perduto, e non abbiate pietà
di loro. »
Non levò
però alto Gungnir, e mentre la maggior parte degli uomini sciamavano fuori dal
vestibolo con rinnovato ardore egli s’inginocchiò accanto al corpo di Loki e
posò lo scettro a terra: con delicatezza tolse la picca dalla schiena del
figlio e piano lo mise supino, osservandone tristemente il volto cereo e
l’armatura insanguinata. I guerrieri rimasti abbassarono le armi e alcuni di
loro addirittura si scoprirono il capo dall’elmo in segno di rispetto, e Odino
sfiorò la fronte del principe e fece per chinarsi su di lui.
« Ce
l’abbiamo fatta, dolcezza, cazzo se ce l’abbiamo fatta! » esultò una voce
squillante appena oltre la porta, e l’irlandese fece il suo impetuoso ingresso
nella sala, il flauto e lo stiletto in pugno, esausta e ferita e con un gran
sorriso ignaro a illuminarle lo sguardo.
Il
sovrano la fissò e la chiamò gravemente per nome, intuendone l’identità, ed
Erin sentì il sorriso morirle sulle labbra e un cupo rombo salirle alle
orecchie, e vacillò lasciando cadere le armi: incespicando sulle gambe malferme
si precipitò dal compagno silente e quasi gli si buttò addosso, e con gli occhi
sbarrati e le dita tremanti prese a scuoterlo violentemente, incurante della
presenza del Padre degli Dei e delle sue mani e parole che tentavano di
calmarla.
« Non era
questo il piano. Non doveva andare così, razza di stupido coglione! » ripetè la
ragazza di Galway con voce stridente. Aveva la vista offuscata ed era madida di
sudore.
« Non c’è
niente che possiamo fare adesso, Erin d’Irlanda. » mormorò Odino con fermezza,
o almeno questo le parve di udire nella bolgia di sensazioni che andava
stordendola.
Il rombo
nelle sue orecchie divenne un urlo indistinto e il buio calò intorno a lei e
perse la percezione di ogni cosa: fu come cadere in un cupo sonno improvviso, e
fu silenzio.
Ciò che
Erin vide nel riaprire le palpebre la stupì e le piacque non poco.
Sopra di
lei ondeggiavano lievi stoffe chiare e impalpabili, e più in su campeggiavano
alti soffitti d’oro illuminati morbidamente dal sole. Allungando con cautela le
braccia la musicista si accorse di essere distesa in un grande letto dalle
soffici coltri e dai molti cuscini, e senza volerlo la sua mente illanguidita
associò il tutto a una delle storie che tanto amava:
« Dove
sono gli indolenti rami di betulla? » se ne uscì infatti scioccamente; sentirsi
parlare dopo l’indefinito lasso di tempo che aveva trascorso nell’incoscienza
le suonò strano.
« Avresti
dunque gradito riposare all’aria aperta, Erin di Galway? » domandò con
gentilezza qualcuno vicino al giaciglio, e l’irlandese si sollevò di scatto sui
gomiti, completamente sveglia: colei che aveva appena parlato era una donna
bella e dall’aspetto materno che sedeva al suo capezzale e che le stava
sorridendo; « Mi rallegro nel notare che stai bene. Hai dormito per due interi
dì, dalla notte della liberazione di Asgard. » questa soggiunse.
« Sono
ancora ad Asgard. » constatò l’irlandese rizzando la schiena, e in quella il
ricordo di ciò che era accaduto la travolse impietoso: la serrata lotta che
aveva sostenuto contro gli skrull che tentavano di irrompere nell’anticamera
circolare, il dolore fisico per i colpi ricevuti, l’aver esultato all’arrivo
dei soldati di Odino, la certezza che l’incanto del Cubo era stato spezzato – e
poi Loki, immobile e pallido e coperto di sangue sul pavimento lucido della
stanza.
Un
singhiozzo le spezzò il respiro nei polmoni e gli occhi le bruciarono di un
urgente bisogno di piangere sino a consumare le lacrime che da giorni si teneva
in corpo. Le ferite si erano rimarginate, i muscoli finalmente riposati, ed era
pulita e profumata e indossava una fresca tunica di seta, ma lui era rimasto
rigido e muto ed Erin non provò nemmeno per un attimo a illudersi che da un
minuto all’altro il dio avrebbe fatto il suo ingresso nella bella stanza in cui
lei si trovava. Era una consapevolezza così desolante da schiacciarle il petto
come un macigno, e quando la donna seduta accanto al letto le toccò
cortesemente un polso la flautista sussultò e scrollò la testa per concentrarsi
su quel che le succedeva intorno.
« I
guaritori e le mie ancelle si sono presi cura di te, giovane Erin. Ora che ti
sei ridestata il peggio è passato, e tuttavia sarei più serena se il tuo
ristoro e la tua convalescenza proseguissero per due ulteriori giornate. »
disse la dama; « In tal modo ti rimetterai in forze in vista della cerimonia e
di qualunque cammino deciderai poscia d’intraprendere. »
« Di
quale cerimonia parlate, signora? Che accade là fuori? » indagò l’irlandese, confusa.
« Molte
cose stanno tornando al proprio posto. L’esercito invasore è stato battuto e
disperso e celeri aiuti sono stati inviati su Midgard per dare manforte a mio
figlio, ai suoi compagni e alla tua valorosa gente. Il re mio sposo ha indetto
una grande celebrazione pubblica per rendere omaggio a coloro che hanno
liberato Asgard dal nemico e tu, Erin Anwar, sei tra questi. Forse non ti
ringrazieremo mai abbastanza per ciò che hai fatto e per ciò cui hai
contribuito. » fu la risposta, ed Erin intuì che la sua interlocutrice non si
riferiva soltanto alla battaglia.
« Quindi
voi siete la regina. » quasi esclamò; osservandola meglio scoprì che aveva le
iridi arrossate di chi ha pianto e il viso stanco delle notti insonni, e
credette di saperne il motivo.
Frigga le
rivolse un sorriso stiracchiato: « Lo sono. Mando a chiamare i medici affinché
controllino il tuo stato di salute. Entro il tramonto alcune dame del mio
seguito verranno a prendere le misure per confezionare l’abito che indosserai
alla cerimonia. » si congedò con garbo. Si alzò e fece per andare verso la
porta, ma la musicista la fermò:
« Maestà,
per caso ci sono state altre cerimonie mentre dormivo? » chiese nervosamente.
« Nessuna
cerimonia ha ancora avuto luogo, Erin d’Irlanda. » replicò la sovrana, e nel
tono di entrambe vi fu di nuovo un sottinteso che nessuna delle due volle
affrontare.
La dea se
ne andò e al suo posto entrarono cinque tra cerusici e guaritrici che con
premura visitarono la giovane, applicarono unguenti sulle sue ferite e ne cambiarono
i bendaggi; infine la fecero scendere dall’alcova ed Erin scoprì di essere in
grado di stare in piedi senza appoggiarsi ad alcunché, nonostante si sentisse
ancora debole. Le raccomandarono di non fare sforzi e di bere l’infuso che le
avevano portato e garantirono che l’indomani avrebbe potuto finanche
passeggiare un po’. Venne poi il turno delle ancelle annunciate dalla regina:
l’irlandese s’informò circa la celebrazione tanto attesa, frattanto che le dame
le misuravano il corpo con nastri simili ai terreni metri da sarta, ed esse
risposero che si sarebbe svolta due giorni dopo e che l’intera popolazione di
Asgard era stata invitata per omaggiare gli eroi. Nessuno accennò a Loki o alla
sua sorte, né Erin osò chiedere niente; si convinse che non ci fosse niente di
più da sapere oltre a quello che aveva visto coi propri occhi e che la
cerimonia fosse stata organizzata soprattutto per dare l’estremo saluto al
principe non più rinnegato e gloriosamente perito: se il suo intento era quello
di farsi amare dalle folle asgardiane così come lei gli aveva insegnato tra gli
umani, v’era riuscito fin troppo bene, pensò amaramente la ragazza di Galway.
Quando
finalmente fu sola esalò un’imprecazione e si rimboccò le maniche della tunica
uscendo di gran carriera sul balcone che ornava la sua stanza. Il sole
s’avviava ormai all’orizzonte e tutto scintillava spudoratamente, e nei
giardini rimessi a nuovo molti membri della corte camminavano, conversavano o
si occupavano di altri urgenti affari. Erin si riempì i polmoni d’aria pulita e
rovesciò il capo all’indietro fissando il cielo terso, le mani sulla balaustra
cesellata della terrazza: era triste come mai lo era stata, di una tristezza
vuota, disarmante e nebulosa, e tuttavia non riuscì a piangere – per quanto
nessuno la osservasse, per quanto nessuno l’avrebbe giudicata male per questo,
non fu capace di versare alcuna lacrima. E nonostante temesse per ciò che
poteva essere accaduto ai suoi genitori, a Mus, a suo nonno, a Sylvia e a tutti
gli altri, era solo il Dio degli Inganni a mancarle come il respiro.
Al
crepuscolo le venne servito un pasto caldo che consumò distrattamente e non
assaporandone l’effettiva bontà, quindi si avvolse in una sontuosa veste da
camera bordata di pelliccia e si rannicchiò sul letto fissando il confortante
bagliore dei bracieri e dei lumi accesi nella stanza e sotto il porticato
attraverso le ciglia abbassate. Si concentrò su di esso finché ciò che vedeva
non si annacquò e divenne indistinto, e senza accorgersene si addormentò.
Il mattino
seguente Erin venne svegliata dai guaritori per rinnovate cure e la conferma
che si era quasi completamente rimessa in sesto; le consegnarono anche un
piccolo fagotto d’indumenti che l’irlandese riconobbe immediatamente: erano i
vestiti e le calzature che aveva indossato durante la battaglia alla base dello
S.H.I.E.L.D. e che l’avevano accompagnata in quei rocamboleschi giorni
asgardiani. Erano stati rammendati, lavati e spazzolati e lei sostituì con
soddisfazione la canotta bianca, i jeans e gli stivali di cuoio chiaro alla
setosa veste da notte.
Fuori,
per le vie e i ponti della città e nei corridoi e sale e parchi della reggia,
c’era un gran fermento, dovuto ai preparativi per le celebrazioni e al ritorno
di Thor da Midgard. Eppure la ragazza di Galway preferì non uscire ancora, se
non sul balcone, e fu grata per la solitudine in cui medici e ancelle la
mantennero in seguito a una sua velata richiesta.
Giunse
così il meriggio, limpido e grondante di luce come il precedente, e mentre Erin
se ne stava scompostamente appollaiata sul parapetto del loggiato esterno
scrutando il panorama con espressione crucciata, due guardie bussarono
discretamente alla porta e s’inchinarono:
« Dama
Erin, il principe desidera vedervi. » annunciarono solenni.
La
musicista fu attraversata da una scossa, tentò invano di ricomporsi e si
affrettò a rientrare col cuore in subbuglio, e fu soltanto nello scorgere la
corpulenta sagoma del Dio del Tuono sulla soglia che si rammentò che il
principe in questione non poteva essere che lui.
« Oh. Sei
tu. Ovvio che sei tu. » borbottò con un groppo in gola.
Per tutta
risposta il biondo mandò via i soldati e si precipitò ad abbracciarla
fraternamente; Erin rimase spiazzata da quella dimostrazione d’affetto, pur
accettandone la ragione, e ricambiò con un paio di maldestri colpetti sulle
ampie spalle del figlio di Odino.
« Mi
riempie di gioia trovarti sana e salva, Erin. Ti porto buone nuove e oggetti
per te importanti. » esordì Thor sciogliendo l’abbraccio e tenendole le mani: «
I tuoi familiari sono sopravvissuti, e il direttore Fury mi manda a dirti che
la tua casa e la tua vettura sono intatti. Ho recuperato i tuoi averi, una
volta conclusosi il conflitto, e ho disposto che ti siano riconsegnati a breve.
Il tuo flauto è stato affidato alle sapienti cure dei nostri armaioli. »
L’irlandese
annuì: « Come stanno gli altri? » nicchiò.
« I
Vendicatori miei compagni hanno condiviso con me il destino intessuto da Thanos
per noi e con me sono risorti, perciò non temere per loro. E non temere per
Jane, che non si è data per vinta pur disperandosi per me. Sif, Hogun e Heimdall
sono vivi e come te riposano, e parlano del tuo grande coraggio. Volstagg e
Fandral sono stati liberati dalle segrete insieme a molti altri e si lamentano
per non aver partecipato alle vostre gesta. »
« Mi fa
piacere. » disse lei ridendo piano, quindi si fece seria e attenta e chiese: «
Cos’è successo esattamente col Cubo, con Thanos e con tutti voi dati per morti?
»
Il dio le
lasciò le mani e si accomodò su uno scranno imbottito presso le arcate che
davano sulla terrazza: « So che avevi intuito che il Tesseract fosse la chiave
della terribile situazione in cui ci siamo trovati, e non avevi torto. Quando
Thanos è giunto qui a palazzo ha combattuto contro mio padre e si è
impossessato del manufatto, e non appena lo ha toccato ha creato un abile
incanto alterando la realtà. » raccontò; « Ad Asgard e su Midgard, entrambe
sotto assedio, guerrieri e civili si sono convinti come un sol uomo che sovrani
ed eroi fossero caduti e sono piombati nell’angoscia cessando di lottare. Noi
stessi – io, mio padre, mia madre, i Vendicatori – siamo stati preda di una
morte apparente e abbiamo come abbandonato i nostri corpi, e Thanos ci ha
intrappolati in una dimensione senza nome tra i mondi ove tutto era buio e
dubbio e non esistevano vie d’uscita. Un velo ci divideva da voi e non potevamo
stracciarlo. »
«
Heimdall ha fatto riferimento a un velo calato su ogni cosa, in effetti. Di
certo anche lui aveva capito l’inghippo. » interloquì Erin.
Thor
sorrise: « La vista di Heimdall di rado può essere ingannata. Per questo ha
appoggiato il tuo piano senza esitare e ha rischiato volentieri la vita per
permettervi di penetrare nelle prigioni e liberare mio fratello. Sapeva che
restituendo lo scettro a Loki e aiutandolo ad arrivare al Cubo avremmo avuto
una possibilità di vittoria, e così è stato. »
Il nome
del Dio degli Inganni aleggiò nell’aria e colpì la flautista dritto al petto
costringendola a distogliere lo sguardo per non scoppiare miseramente in
lacrime; poggiò la fronte contro una colonna e nascose il viso tra i tendaggi
che pigri fluttuavano nella brezza diurna, e senza voltarsi emise un bizzarro
sbuffo diviso tra ironia e sconforto:
« Ci ha
salvati a sue spese. Vi ha salvati. »
asserì.
« Lo so.
Lo sanno tutti, credimi. » garantì lui con voce gonfia di commozione.
L’irlandese
lo osservò di sottecchi: « Che fine ha fatto quello stronzo di un titano? »
« Si è
visto sconfitto ed è fuggito. Adesso si starà nascondendo in un angolo remoto
del cosmo, magari implorando il perdono di Morte ed escogitando future
diavolerie. »
« E a te
non viene voglia di andarlo a cercare per dargli quello che si merita? »
esclamò lei con rabbia improvvisa spalancando le braccia e voltandosi di
scatto: « Io ne avrei, e tanta. »
Il biondo
scosse la testa, gli occhi lucidi: « Lo farei, se potessi. Ma dubito che potrei
mai sconfiggere il figlio di Mentore da solo, e d’altronde la vendetta a niente
mi servirebbe. »
« Certe
frasi retoriche vanno di moda pure tra gli dèi, vedo. » fu il caustico commento
di Erin.
« Parlo
sul serio. La vendetta non serve. » ripetè il Dio del Tuono con un sorriso
incerto.
« Come
no. » grugnì l’altra, eppure ebbe l’impressione che i sottintesi celati nelle
parole di Thor e di Frigga prima di lui non corrispondessero a quelli che lei
coglieva, e l’ombra di un buon presentimento le stuzzicò la mente e la
riscaldò. Lo giudicò però troppo stupido e illusorio e si sforzò di
accantonarlo, e mantenendosi mordace nei toni aggiunse:
« A
proposito di cose inutili, Thor. È proprio necessario che io partecipi alla
cerimonia di domani? Non ho più nulla che mi leghi ad Asgard e comincia a
mancarmi casa mia. »
« Le
genti del Valhalla aspettano di vedere da vicino la donna di Midgard che così
tanto ha fatto per loro, guadagnandosi un posto tra le leggende e i paladini
immortali, e vogliono renderle omaggio. Trattieniti ancora un giorno, e se dopo
il trionfo sarai sempre dell’idea che per te non è più tempo di restare ci
diremo addio. » rispose il figlio di Odino.
Erin
inclinò il capo, pensosa: « Mi sembra un compromesso ragionevole. » mormorò.
« Ti
ringrazio, Erin Anwar. Sei forte e straordinaria, hai l’animo di una regina e
il cuore di un leone, » le disse il principe, « e per questo mio fratello ti ha
scelta. »
« Mi
aveva scelta. » lo corresse l’irlandese con una punta di stizza.
Ma Thor sorrise
di nuovo, le diede un bacio tra i capelli e se ne andò, ed Erin rotolò sul
letto a peso morto e quivi se ne stette fino a sera cercando di decifrare
l’ondata di infondate sensazioni positive riguardo a Loki che la conversazione
col biondo dio aveva suscitato in lei.
Cadde e
trascorse la notte, strana e lenta, e l’irlandese si coricò molto tardi con un
disco dei Beatles in cuffia: aveva ricevuto le due borse promesse e tutte le
sue cose, e ascoltare musica per calmarsi era stato il suo primo e unico
pensiero. Fece sogni agitati e incomprensibili che le lasciarono un senso di
piacevole aspettativa addosso, acuito dagli interrogativi sul comportamento
della famiglia reale e dal fatto che nessuno di coloro con cui aveva interagito
appariva particolarmente in lutto; era come se tutti, lei compresa, stessero
dando per scontato qualcosa di assai importante, e non capiva né cosa né come.
« Dacci
un taglio, Anwar. » si rimbeccò nell’alzarsi: « O questi stanno cercando di
tenermi nella bambagia per non farmi stare peggio, oppure sono una manica di
stronzi ingrati. »
Entrambe
le ipotesi le suonarono plausibili, per quanto deprimenti, ed erano comunque
migliori dell’aggrapparsi a un miraggio improbabile con le unghie e con i
denti.
Aveva
giusto terminato di vestirsi quando una dama di compagnia della regina venne a
chiamarla: l’abito cerimoniale era pronto, disse, e la attendevano per
prepararla.
Erin le
tenne dietro attraverso stanze e corridoi d’incomparabile splendore,
incuriosita suo malgrado, fino in una saletta dalle alte finestre gremita di
ancelle che al suo arrivo si profusero in garbati inchini. Le fecero togliere
gli indumenti midgardiani e infilare una sorta di sottoveste di lino che le
sfiorava le ginocchia, e sopra di essa misero altri strati di stoffe incantevoli
al tatto di cui la musicista non riuscì a cogliere le forme, e al contempo le
acconciarono le chiome e imbellettarono il volto usando soffici pennelli;
qualcuno le sistemò sui polsi i parabracci che Loki aveva creato per lei, ora
lucidati sino a farli risplendere, e una volta terminata la vestizione un alto
dignitario entrò nel locale prostrandosi di fronte all’irlandese con deferenza
e porgendole il flauto magico. Lei lo afferrò e sentì il proprio battito
cardiaco accelerare fieramente, e strinse lo strumento con notevole orgoglio.
«
Desiderate mirarvi, giovane signora? » le domandò un’ancella.
Due delle
altre donne liberarono un grande specchio dalla tenda che lo ricopriva, ed Erin
fissò la propria immagine riflessa e sorrise inebetita, senza fiato: indossava
una corta tunica priva di maniche di broccato blu ricamato d’argento e un
pastrano di morbida nappa del color della notte dal lungo strascico e dalle
spalle decorate da leggere placche metalliche i cui motivi riprendevano quelli
dei bracciali; la schiena e la coda della giacca erano impreziosite da un
tripudio di minuscole scaglie argentee simili a una cascata di stelle, come se
la Via Lattea l’avesse avvolta, e ai piedi portava un paio di stivali di pelle
di camoscio azzurra come il cielo dal gambale alto e stretto. I capelli erano
raccolti sulla nuca in molte trecce, le palpebre sapientemente bistrate e le
guance appena rosee, e il flauto fiammeggiava come non mai.
Era
bellissima e regale, ma ciò che più le saltò agli occhi fu la somiglianza di
quegli abiti e quei colori con quelli che aveva sfoggiato alla serata di gala
che si era tenuta nella Galleria Schäfer, a Stoccarda, la prima volta che la
sua strada aveva incrociato il cammino del Dio degli Inganni – e per quanto
fosse solo una coincidenza il sangue le ruggì nelle vene gridandole che doveva
fidarsi dei suoi buoni presentimenti e che una coincidenza non era.
« È tempo
di andare, dama Erin. » disse il dignitario che le aveva consegnato lo
strumento, riportandola alla realtà, e con un gesto fluido la invitò a seguirlo.
Così si
avviarono per altri corridoi ancora, scortati da una mezza dozzina di guardie,
e man mano che procedevano il distante brusìo che udivano si faceva più chiaro
e intenso e vi si distinguevano voci e squilli di tromba. Il passaggio si aprì
su un colonnato ampissimo e soleggiato e l’irlandese, il cerimoniere e i
soldati si arrestarono in cima alla gradinata che si affacciava sull’immenso
salone riservato alle celebrazioni e ai riti ufficiali, e lei amò lo spettacolo
che aveva davanti: una folla sconfinata riempiva l’ambiente, ondeggiando scalpitante
ai due lati del camminamento d’onore che conduceva alla piattaforma del trono,
e ogni singolo sguardo era puntato verso la scalinata, verso Thor, Sif, Hogun
ed Heimdall che già si trovavano lì e che accolsero Erin con luminosi sorrisi.
Le
chiarine suonarono e Odino annunciò il primo degli eroi, e uno ad uno gli improvvisati
compagni d’arme della ragazza di Galway sfilarono tra la gente in festa, e il
Dio del Tuono fu il quarto ed Erin si apprestò al proprio ingresso trionfale.
Essere oggetto di quel genere di attenzione era ciò che aveva sempre sognato e
le disegnò un lieve sogghigno compiaciuto sulle labbra, eppure non avrebbe
voluto goderselo da sola, mai.
Ed ecco
che i cortigiani e le dame che aveva d’intorno presero a mormorare qualcosa con
malcelata eccitazione e indicarono un punto alle sue spalle, e lei
istintivamente si girò a guardare per scoprire di chi o cosa si trattava. E
nella luce che filtrava tra colonna e colonna si stagliò una figura slanciata e
maestosa che camminando senza fretta le si fece incontro: indossava un elmo
cornuto e abiti scuri e un’armatura leggera e un manto verde, e nella mano
destra stringeva un’alabarda la cui punta elaborata brillava di vivido blu.
Nel petto
di Erin un fuoco divampò, selvaggio e meraviglioso, colmandola da capo a piedi,
e quando Loki le sorrise tutto acquistò un senso e i dubbi svanirono, e lei
scoppiò dapprima a ridere, matta di felicità, e poi si sciolse finalmente in
lacrime belle come una pioggia d’estate. Rise e pianse mentre lui annullava la
distanza che li separava, quindi con dita frementi gli sfiorò gli zigomi, il
naso e la bocca e seppe che era vivo e fatto di carne e non di sogno.
« Hai
pianto per me, donna d’Irlanda? » la salutò il dio, ammiccante.
« Mi
duole ammetterlo ma temo di sì. » rispose la musicista, soffocata
dall’emozione, e Loki le cinse i fianchi e con estremo ardore la baciò.
E l’avere
le sue labbra e la sua bocca sulle proprie, dopo un tempo che le era parso
infinito, fu per l’irlandese qualcosa d’indescrivibile, fu una bomba di schegge
ardenti che s’irradiarono fino alle sue più recondite terminazioni nervose; si
strinse a lui e godette di ogni singola sensazione, di ogni minimo dettaglio,
persino delle ovazioni che gli asgardiani più vicini a loro lanciarono nel
vederli così avvinghiati e splendidi in quel bacio.
In quella
le trombe squillarono e il Padre degli Dei parlò a gran voce, e i due si allontanarono
l’uno dall’altra quel poco che bastava per volgersi verso il salone e il trono:
« E
adesso, brave genti di Asgard la splendente, accogliete coloro senza i quali
quest’oggi non potremmo essere qui. Accogliete Erin d’Irlanda, Dama del Flauto,
la valorosa fanciulla di Midgard che per prima tra gli umani ha traversato il
Ponte Arcobaleno e che ha spronato immortali guerrieri all’azione dimostrando
una tempra degna di una dea, colei che a lungo ha viaggiato e lottato al fianco
di mio figlio. E accogliete soprattutto quest’ultimo, poiché è a lui che
dobbiamo ogni cosa. » Odino disse; « Loki, Dio degli Inganni e principe
ritrovato, gloriosamente tornato dall’esilio con nobili propositi. Due volte
abbiamo temuto di averlo perso quando perso non era, e due mondi lo hanno
ritenuto una minaccia prima di essere da lui salvati a costo quasi della sua
stessa vita. Ha spezzato il terribile incanto creato dal Cubo e ha sconfitto
Thanos il Rosso, e per questo non gli saremo mai grati abbastanza. Accogliete
dunque Erin Anwar e Loki figlio di Odino, genti di Asgard, e onorateli con
grandi onori! »
La folla
esplose in un boato gioioso e unanime, e l’asgardiano porse il braccio alla
flautista e con lei discese solennemente i gradini sino al camminamento
d’onore: avanzarono insieme tra le due ali festanti di sudditi, cortigiani,
dame e soldati, lentamente, sorridendo compiaciuti, ed erano regali e fieri
come due sovrani al proprio trionfo. E del loro trionfo si trattava, e se lo
meritavano, ed era ciò a cui il Dio degli Inganni aveva puntato sin dal
principio; il suo intento si era compiuto nonostante gli impensati ostacoli e
la pura ammirazione degli abitanti del Valhalla era l’inebriante vendetta alla
quale aveva mirato, egli constatò tra sé. E sebbene mille domande tempestassero
la sua mente Erin decise che se ne sarebbe occupata più avanti, dopo essersi
beata senza crucci e distrazioni del senso di potenza che quel camminare tra
persone che la acclamavano le stava comunicando. Era una fiamma, e bruciava con
orgoglio.
Giunsero
alla piattaforma centrale del salone, di fronte al seggio aureo del re, e si
fermarono ai piedi della scalinata: Odino, Frigga, Thor, Heimdall, Sif e Hogun
li guardarono raggianti, e nel chiarore abbacinante che pioveva dalla
gigantesca apertura rotonda che si apriva nel soffitto – e dalla quale
centinaia di altre persone si affacciavano – l’irlandese sollevò il flauto
sopra la testa e Loki fece altrettanto col proprio scettro, e i presenti ruggirono.
Non
appena il ruggito si fu dissolto nell’aria i due s’inchinarono con velata
ironia al Padre degli Dei e questi spalancò le braccia:
« Siamo
noi che dovremmo inchinarci a voi. Non ci saranno parole adeguate per esprimere
la gratitudine che vi portiamo, né lo stupore o il sollievo, né il rispetto che
vi siete guadagnati. Ed io, figlio mio, temo che non riuscirò mai a saldare il
debito che ho nei tuoi confronti o a farmi perdonare in maniera sufficiente,
dopo ciò che hai fatto. »
Il Dio
degli Inganni dovette reprimere un ghigno vittorioso, e tuttavia al contempo fu
felice di sapere che Odino aspirava al suo perdono per le proprie passate
colpe. Così il ghigno fu invece un contenuto sorriso ed egli scosse il capo con
aria volutamente dimessa:
« Non
credi che avermi evitato la morte sia sufficiente, padre? » gli chiese.
Il
sovrano sembrò rifletterci su, quindi apostrofò Erin ponendole a sua volta una
domanda:
« E tu,
giovane dama d’Irlanda? Come posso ripagarti per le gesta che hai compiuto? C’è
qualcosa che desideri e ch’io potrei offrirti? »
Lei
inarcò le sopracciglia e tentennò sul posto, un po’ in imbarazzo e assai
lusingata:
« Io non
so ancora come sono andate esattamente le cose, ma il fatto che Loki sia vivo è
per me la ricompensa migliore. » rispose, e la folla esalò un brusìo commosso;
« Diciamo che la sola altra cosa che potrei volere è la possibilità di restare
con lui. » aggiunse a precipizio fissando il compagno. Il cuore le rimbombava
nelle orecchie e aveva le guance roventi.
« Forse
ho un desiderio che potresti esaudire, Padre degli Dei. » interloquì lentamente
il dio dall’elmo cornuto senza distogliere gli occhi da Erin: « Però non è il
tuo consenso che per primo mi servirà perché il desìo che ho in animo si
compia. »
E sotto
gli sguardi di tutti, di Odino e di Frigga e di Thor che sorrideva trepidante e
dell’intero popolo di Asgard, Loki si tolse l’elmo, fece svanire lo scettro e con
calma s’inginocchiò davanti alla ragazza di Galway prendendole una mano. Erin
soffocò un’esclamazione attonita e un turpiloquio di gioia, e con solennità
estrema il Dio degli Inganni così parlò:
« Erin
Anwar, il mio unico desìo sei tu. Accetterai dunque di divenire mia sposa? »
Un attimo
di limpido silenzio coronò tali parole, e in quell’attimo l’irlandese si sentì
come se l’universo le fosse imploso magnificamente nel cervello. Il cuore si
sostituì al respiro e il mondo fu luce e fuoco, e lei boccheggiò ed emise una
piccola risata incredula simile a un singhiozzo. Mai aveva osato immaginare ciò
che il suo ingannatore divino le aveva appena detto, e tuttavia lui era lì e
sorrideva con quelle sue verdi iridi ardenti e tutto era reale.
Allora la
musicista gli sorrise di rimando e gli s’inginocchiò d’innanzi, e con voce
decisa e vibrante pronunciò tre semplici, sfrontate sillabe: « Cazzo sì. »
« E che
così sia. » affermò Odino con evidente emozione, e la folla lanciò un grido di
gaudio che percorse l’immenso salone come un’onda, e tutti inneggiarono ancora
a Erin e Loki.
E il Duo
degli Inganni rimase in ginocchio ai piedi del trono come se nient’altro
contasse all’infuori di loro, ridenti, gli occhi negli occhi e le dita
intrecciate.
> Note a piè di
pagina
… AEHM. *corre a lanciarsi elegantemente dal Bifröst frignando di gioia e
gridando GNAHRGH!*
Aggiorno con un po’ di ritardo nel glorioso giorno del Solstizio d’Estate
per lanciarvi questa sottospecie di bomba atomica che è il penultimo capitolo
della mia storia – il capitolo per il quale o m’inseguirete con un esercito di
Estranei incazzati oppure mi adorerete come una Daenerys Targaryen de’ noartri.
A mia “discolpa” vi dico che la mia intenzione è sempre stata quella di
scrivere un’epica, maestosa favola (il titolo la dice lunga) e di rendere
felice il mio asgardiano prediletto. E poi suvvia, non crederete davvero che il
succitato asgardiano lo abbia fatto per puro et semplice ammmmòre…
Il capitolo è stracolmo di citazioni e riferimenti tolkieniani, uno su
tutti il parallelismo Erin-Èowyn in convalescenza che osservano dai balconi
delle loro stanze la ritrovata pace della capitale dopo la vittoria; gli altri
due sono il richiamo al risveglio di Samvise sotto gli indolenti rami di betulla presso il Campo di Cormallen e la
frase di Odino “onorateli con grandi
onori!”, citazione fedelissima. Per quanto riguarda il Tesseract, nei
fumetti il suo principale potere è quello di alterare la realtà e la sua
percezione secondo il volere di chi lo possiede e comanda, e qui è così che
Thanos lo ha usato.
Il titolo è il verso portante del ritornello di Beloved freak dei Garbage (so
here you stand, beloved freak / the world is at your feet). E per la
colonna sonora, in sequenza, ecco i brani che vi consiglio per godere al meglio
della lettura:
1. Love, love, love degli Of
Monsters And Men (risveglio e convalescenza di Erin);
2. Shakespeare in love (tema
principale) di Stephen Warbeck (vestizione e arrivo alla sala del trono)
3. PM’s theme (da Love Actually) di Craig Armstrong (Erin
e Loki che finalmente si ritrovano)
4. Karelia Suite (I movimento)
di Jean Sibelius (marcia trionfale del Duo degli Inganni)
5. Destiny in Space (tema
principale) di Erbe & Solomon (dialogo con Odino e La Proposta)
Come sempre trovate le mie grafiche e i miei disegni a tema QUI
– e a proposito, grazie mille a Dama Greenleaf che mi segue lì su
Tumblr :) e GRAZIE a tutti voi che leggete, seguite e commentate, sperando di
avervi fatto sognare un po’ ;)
Sono indietro con recensioni e letture, a proposito, perciò abbiate
pazienza che prima o poi recupero.
Vi aspetto al prossimo e conclusivo capitolo. Ossequi asgardiani e buon
Solstizio!