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Autore: Blackmoody    21/06/2013    2 recensioni
Nel frattempo l’agente Hill si era spostata in un angolo, la fronte corrugata e due dita premute sul proprio auricolare come se stesse ascoltando qualcosa con estrema attenzione:
«Signori, devo interrompervi. Ho appena appreso novità importanti da Boston.» annunciò infatti, e i suoi occhi grigi saettarono nervosamente da Fury a Thor.
[...] «Diversi invasori sono stati uccisi prima che la nostra squadra di ricognizione giungesse in città, e non a opera dell’esercito o dei civili. Molti testimoni hanno confermato di aver visto un’auto decappottabile di marca italiana color verde oliva sfrecciare per le strade con a bordo due persone armate che hanno attaccato i nemici in almeno due differenti occasioni per poi scomparire verso le campagne. Una di esse portava in testa un elmo cornuto.»

Erin Anwar è una midgardiana giovane, brillante e arrogante. Non ha poteri o strani segreti, solo una mente particolare – e non brama l'asservimento. Non per se stessa, sicuramente. Il giorno in cui la sua strada incrocia quella di un certo dio asgardiano sarà un giorno che almeno due mondi ricorderanno a lungo.
Post-Avengers, diciassette capitoli, EPIC BADASSERY.
microcorrezioni 2O14
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Majestic Tale of the Mischief Maker and the Flute Maiden'
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16.

Beloved freak, the world is at your feet

 

 

 

 

 

 

Thanos rimase immobile, fissando alternativamente il Cubo offuscato e il corpo inerte del principe asgardiano ai suoi piedi. Gli fu immediatamente chiaro che aveva commesso due colossali errori, da quando aveva messo le mani sul manufatto cosmico che tanto bramava: il primo era stato non uccidere subito Loki, il secondo lasciare che fossero i propri stupidi sottoposti a occuparsi delle ricerche dello scettro andato perduto – o forse la responsabilità era sua, poiché si era preoccupato soltanto dei soldati del Valhalla in fuga e non aveva considerato l’ipotesi che fosse stato un civile, o addirittura una dama, a rinvenire l’arma; in realtà non avendone notizia si era convinto che fosse andata distrutta nell’impatto, nella caduta, e difficilmente si sarebbe perdonato una simile leggerezza. Gli sovvenne ciò che i suoi soldati gli avevano riferito durante l’assedio di Midgard circa una giovane umana che si accompagnava al Dio degli Inganni e di cui non si era affatto curato, ritenendola troppo debole per affrontare un viaggio tra i mondi e troppo mortale per nuocergli in alcun modo. Adesso si rendeva invece conto che poteva esserci lei dietro all’evasione tempestiva dell’asgardiano e al fatto che questi brandiva di nuovo il bastone che lui stesso gli aveva donato, e con cieca ira per ciò che si era lasciato sfuggire serrò denti e pugni. Era stato vanesio e disattento, reso stolto dalla foga della vittoria e dal dolce pensiero delle vite che aveva e avrebbe offerto al bel sembiante di Morte che lo avrebbe per questo amato. Aveva concepito un piano perfetto e due insignificanti dettagli glielo avevano pressoché rovinato, e doveva porvi rimedio.

Respirando a fondo per placarsi si disse che dopotutto Loki era infine caduto e che gli sarebbe bastato riattivare il Tesseract per tornare ad avere il controllo su ogni cosa; voci tonanti e rumori di battaglia si approssimavano all’anticamera, notò, e doveva sbrigarsi.

Così allungò una mano verso il piedistallo, superando con cautela il dio esanime disteso innanzi a lui, ma prima che potesse toccare la superficie appena illuminata del Cubo la punta dorata di un altro scettro che ben conosceva gli trapassò il palmo strappandogli un sordo ringhio e una possente figura gli sbarrò la strada: il Padre degli Dei era comparso alla sua sinistra, pallido e fiero e temibile, Gungnir ben saldo tra le sue dita e l’occhio che sembrava saettare nella semioscurità come un presagio di tempesta.

« Tu. » lo apostrofò Thanos con feroce disprezzo.

« Io. E con me, figlio di Mentore, vengono molti altri. » rispose Odino.

E la luce crebbe nella stanza e molte nuove fiaccole si accesero, e sulla soglia spalancata si stagliarono le sagome di decine di guerrieri asgardiani accorsi sul posto, e grida e clangori li seguivano annunciando al cielo che ovunque si era tornati a combattere, poiché il velo che adombrava gli occhi e le menti degli Æsir – e finanche dei midgardiani – si era dissolto come nebbia al sole, e la paura e lo sconforto non attanagliavano più i loro cuori.

Il titano allora rise di sé stesso, riconoscendo il sapore inequivocabile della sconfitta, e il sovrano del Valhalla estrasse la lancia dei re dalla sua mano e gliela puntò alla gola e disse:

« Il tuo vile inganno dal Dio degli Inganni è stato annientato. Ora rinuncia al Cubo e arrenditi, Thanos, e avrai forse salva la vita. »

La risata dell’altro si fece più aspra e sfrontata: « Credi che la mia vita sia in tuo potere, o re? Lascio la vittoria al tuo freddo figlio, per questa volta, dacché se l’è meritata ed io in cambio gli ho inflitto ciò che gli avevo promesso, e perché so quando è il momento di abbandonare un campo divenuto ingestibile. Ma non rinuncerò al Tesseract e non mi arrenderò, e tieni bene a mente, Padre degli Dei, che un giorno ti pentirai di non avermi qui ucciso. » rispose.

Ridendo ancora si avvolse nel proprio mantello, giganteggiando per un istante sull’avversario, e con un guizzo la sua immagine svanì; Odino tentò un affondo e non colpì altro che aria, e le ultime parole del folle titano gli si piantarono in testa come un funesto stornello.

« Thanos ha scelto la fuga e il suo esercito è allo sbando. » esclamò tuttavia rivolgendosi ai soldati che avevano assistito alla scena e che attendevano ordini: « Andate e riconquistate quel che avevamo perduto, e non abbiate pietà di loro. »

Non levò però alto Gungnir, e mentre la maggior parte degli uomini sciamavano fuori dal vestibolo con rinnovato ardore egli s’inginocchiò accanto al corpo di Loki e posò lo scettro a terra: con delicatezza tolse la picca dalla schiena del figlio e piano lo mise supino, osservandone tristemente il volto cereo e l’armatura insanguinata. I guerrieri rimasti abbassarono le armi e alcuni di loro addirittura si scoprirono il capo dall’elmo in segno di rispetto, e Odino sfiorò la fronte del principe e fece per chinarsi su di lui.

« Ce l’abbiamo fatta, dolcezza, cazzo se ce l’abbiamo fatta! » esultò una voce squillante appena oltre la porta, e l’irlandese fece il suo impetuoso ingresso nella sala, il flauto e lo stiletto in pugno, esausta e ferita e con un gran sorriso ignaro a illuminarle lo sguardo.

Il sovrano la fissò e la chiamò gravemente per nome, intuendone l’identità, ed Erin sentì il sorriso morirle sulle labbra e un cupo rombo salirle alle orecchie, e vacillò lasciando cadere le armi: incespicando sulle gambe malferme si precipitò dal compagno silente e quasi gli si buttò addosso, e con gli occhi sbarrati e le dita tremanti prese a scuoterlo violentemente, incurante della presenza del Padre degli Dei e delle sue mani e parole che tentavano di calmarla.

« Non era questo il piano. Non doveva andare così, razza di stupido coglione! » ripetè la ragazza di Galway con voce stridente. Aveva la vista offuscata ed era madida di sudore.

« Non c’è niente che possiamo fare adesso, Erin d’Irlanda. » mormorò Odino con fermezza, o almeno questo le parve di udire nella bolgia di sensazioni che andava stordendola.

Il rombo nelle sue orecchie divenne un urlo indistinto e il buio calò intorno a lei e perse la percezione di ogni cosa: fu come cadere in un cupo sonno improvviso, e fu silenzio.

 

 

Ciò che Erin vide nel riaprire le palpebre la stupì e le piacque non poco.

Sopra di lei ondeggiavano lievi stoffe chiare e impalpabili, e più in su campeggiavano alti soffitti d’oro illuminati morbidamente dal sole. Allungando con cautela le braccia la musicista si accorse di essere distesa in un grande letto dalle soffici coltri e dai molti cuscini, e senza volerlo la sua mente illanguidita associò il tutto a una delle storie che tanto amava:

« Dove sono gli indolenti rami di betulla? » se ne uscì infatti scioccamente; sentirsi parlare dopo l’indefinito lasso di tempo che aveva trascorso nell’incoscienza le suonò strano.

« Avresti dunque gradito riposare all’aria aperta, Erin di Galway? » domandò con gentilezza qualcuno vicino al giaciglio, e l’irlandese si sollevò di scatto sui gomiti, completamente sveglia: colei che aveva appena parlato era una donna bella e dall’aspetto materno che sedeva al suo capezzale e che le stava sorridendo; « Mi rallegro nel notare che stai bene. Hai dormito per due interi dì, dalla notte della liberazione di Asgard. » questa soggiunse.

« Sono ancora ad Asgard. » constatò l’irlandese rizzando la schiena, e in quella il ricordo di ciò che era accaduto la travolse impietoso: la serrata lotta che aveva sostenuto contro gli skrull che tentavano di irrompere nell’anticamera circolare, il dolore fisico per i colpi ricevuti, l’aver esultato all’arrivo dei soldati di Odino, la certezza che l’incanto del Cubo era stato spezzato – e poi Loki, immobile e pallido e coperto di sangue sul pavimento lucido della stanza.

Un singhiozzo le spezzò il respiro nei polmoni e gli occhi le bruciarono di un urgente bisogno di piangere sino a consumare le lacrime che da giorni si teneva in corpo. Le ferite si erano rimarginate, i muscoli finalmente riposati, ed era pulita e profumata e indossava una fresca tunica di seta, ma lui era rimasto rigido e muto ed Erin non provò nemmeno per un attimo a illudersi che da un minuto all’altro il dio avrebbe fatto il suo ingresso nella bella stanza in cui lei si trovava. Era una consapevolezza così desolante da schiacciarle il petto come un macigno, e quando la donna seduta accanto al letto le toccò cortesemente un polso la flautista sussultò e scrollò la testa per concentrarsi su quel che le succedeva intorno.

« I guaritori e le mie ancelle si sono presi cura di te, giovane Erin. Ora che ti sei ridestata il peggio è passato, e tuttavia sarei più serena se il tuo ristoro e la tua convalescenza proseguissero per due ulteriori giornate. » disse la dama; « In tal modo ti rimetterai in forze in vista della cerimonia e di qualunque cammino deciderai poscia d’intraprendere. »

« Di quale cerimonia parlate, signora? Che accade là fuori? » indagò l’irlandese, confusa.

« Molte cose stanno tornando al proprio posto. L’esercito invasore è stato battuto e disperso e celeri aiuti sono stati inviati su Midgard per dare manforte a mio figlio, ai suoi compagni e alla tua valorosa gente. Il re mio sposo ha indetto una grande celebrazione pubblica per rendere omaggio a coloro che hanno liberato Asgard dal nemico e tu, Erin Anwar, sei tra questi. Forse non ti ringrazieremo mai abbastanza per ciò che hai fatto e per ciò cui hai contribuito. » fu la risposta, ed Erin intuì che la sua interlocutrice non si riferiva soltanto alla battaglia.

« Quindi voi siete la regina. » quasi esclamò; osservandola meglio scoprì che aveva le iridi arrossate di chi ha pianto e il viso stanco delle notti insonni, e credette di saperne il motivo.

Frigga le rivolse un sorriso stiracchiato: « Lo sono. Mando a chiamare i medici affinché controllino il tuo stato di salute. Entro il tramonto alcune dame del mio seguito verranno a prendere le misure per confezionare l’abito che indosserai alla cerimonia. » si congedò con garbo. Si alzò e fece per andare verso la porta, ma la musicista la fermò:

« Maestà, per caso ci sono state altre cerimonie mentre dormivo? » chiese nervosamente.

« Nessuna cerimonia ha ancora avuto luogo, Erin d’Irlanda. » replicò la sovrana, e nel tono di entrambe vi fu di nuovo un sottinteso che nessuna delle due volle affrontare.

La dea se ne andò e al suo posto entrarono cinque tra cerusici e guaritrici che con premura visitarono la giovane, applicarono unguenti sulle sue ferite e ne cambiarono i bendaggi; infine la fecero scendere dall’alcova ed Erin scoprì di essere in grado di stare in piedi senza appoggiarsi ad alcunché, nonostante si sentisse ancora debole. Le raccomandarono di non fare sforzi e di bere l’infuso che le avevano portato e garantirono che l’indomani avrebbe potuto finanche passeggiare un po’. Venne poi il turno delle ancelle annunciate dalla regina: l’irlandese s’informò circa la celebrazione tanto attesa, frattanto che le dame le misuravano il corpo con nastri simili ai terreni metri da sarta, ed esse risposero che si sarebbe svolta due giorni dopo e che l’intera popolazione di Asgard era stata invitata per omaggiare gli eroi. Nessuno accennò a Loki o alla sua sorte, né Erin osò chiedere niente; si convinse che non ci fosse niente di più da sapere oltre a quello che aveva visto coi propri occhi e che la cerimonia fosse stata organizzata soprattutto per dare l’estremo saluto al principe non più rinnegato e gloriosamente perito: se il suo intento era quello di farsi amare dalle folle asgardiane così come lei gli aveva insegnato tra gli umani, v’era riuscito fin troppo bene, pensò amaramente la ragazza di Galway.

Quando finalmente fu sola esalò un’imprecazione e si rimboccò le maniche della tunica uscendo di gran carriera sul balcone che ornava la sua stanza. Il sole s’avviava ormai all’orizzonte e tutto scintillava spudoratamente, e nei giardini rimessi a nuovo molti membri della corte camminavano, conversavano o si occupavano di altri urgenti affari. Erin si riempì i polmoni d’aria pulita e rovesciò il capo all’indietro fissando il cielo terso, le mani sulla balaustra cesellata della terrazza: era triste come mai lo era stata, di una tristezza vuota, disarmante e nebulosa, e tuttavia non riuscì a piangere – per quanto nessuno la osservasse, per quanto nessuno l’avrebbe giudicata male per questo, non fu capace di versare alcuna lacrima. E nonostante temesse per ciò che poteva essere accaduto ai suoi genitori, a Mus, a suo nonno, a Sylvia e a tutti gli altri, era solo il Dio degli Inganni a mancarle come il respiro.

Al crepuscolo le venne servito un pasto caldo che consumò distrattamente e non assaporandone l’effettiva bontà, quindi si avvolse in una sontuosa veste da camera bordata di pelliccia e si rannicchiò sul letto fissando il confortante bagliore dei bracieri e dei lumi accesi nella stanza e sotto il porticato attraverso le ciglia abbassate. Si concentrò su di esso finché ciò che vedeva non si annacquò e divenne indistinto, e senza accorgersene si addormentò.

 

 

Il mattino seguente Erin venne svegliata dai guaritori per rinnovate cure e la conferma che si era quasi completamente rimessa in sesto; le consegnarono anche un piccolo fagotto d’indumenti che l’irlandese riconobbe immediatamente: erano i vestiti e le calzature che aveva indossato durante la battaglia alla base dello S.H.I.E.L.D. e che l’avevano accompagnata in quei rocamboleschi giorni asgardiani. Erano stati rammendati, lavati e spazzolati e lei sostituì con soddisfazione la canotta bianca, i jeans e gli stivali di cuoio chiaro alla setosa veste da notte.

Fuori, per le vie e i ponti della città e nei corridoi e sale e parchi della reggia, c’era un gran fermento, dovuto ai preparativi per le celebrazioni e al ritorno di Thor da Midgard. Eppure la ragazza di Galway preferì non uscire ancora, se non sul balcone, e fu grata per la solitudine in cui medici e ancelle la mantennero in seguito a una sua velata richiesta.

Giunse così il meriggio, limpido e grondante di luce come il precedente, e mentre Erin se ne stava scompostamente appollaiata sul parapetto del loggiato esterno scrutando il panorama con espressione crucciata, due guardie bussarono discretamente alla porta e s’inchinarono:

« Dama Erin, il principe desidera vedervi. » annunciarono solenni.

La musicista fu attraversata da una scossa, tentò invano di ricomporsi e si affrettò a rientrare col cuore in subbuglio, e fu soltanto nello scorgere la corpulenta sagoma del Dio del Tuono sulla soglia che si rammentò che il principe in questione non poteva essere che lui.

« Oh. Sei tu. Ovvio che sei tu. » borbottò con un groppo in gola.

Per tutta risposta il biondo mandò via i soldati e si precipitò ad abbracciarla fraternamente; Erin rimase spiazzata da quella dimostrazione d’affetto, pur accettandone la ragione, e ricambiò con un paio di maldestri colpetti sulle ampie spalle del figlio di Odino.

« Mi riempie di gioia trovarti sana e salva, Erin. Ti porto buone nuove e oggetti per te importanti. » esordì Thor sciogliendo l’abbraccio e tenendole le mani: « I tuoi familiari sono sopravvissuti, e il direttore Fury mi manda a dirti che la tua casa e la tua vettura sono intatti. Ho recuperato i tuoi averi, una volta conclusosi il conflitto, e ho disposto che ti siano riconsegnati a breve. Il tuo flauto è stato affidato alle sapienti cure dei nostri armaioli. »

L’irlandese annuì: « Come stanno gli altri? » nicchiò.

« I Vendicatori miei compagni hanno condiviso con me il destino intessuto da Thanos per noi e con me sono risorti, perciò non temere per loro. E non temere per Jane, che non si è data per vinta pur disperandosi per me. Sif, Hogun e Heimdall sono vivi e come te riposano, e parlano del tuo grande coraggio. Volstagg e Fandral sono stati liberati dalle segrete insieme a molti altri e si lamentano per non aver partecipato alle vostre gesta. »

« Mi fa piacere. » disse lei ridendo piano, quindi si fece seria e attenta e chiese: « Cos’è successo esattamente col Cubo, con Thanos e con tutti voi dati per morti? »

Il dio le lasciò le mani e si accomodò su uno scranno imbottito presso le arcate che davano sulla terrazza: « So che avevi intuito che il Tesseract fosse la chiave della terribile situazione in cui ci siamo trovati, e non avevi torto. Quando Thanos è giunto qui a palazzo ha combattuto contro mio padre e si è impossessato del manufatto, e non appena lo ha toccato ha creato un abile incanto alterando la realtà. » raccontò; « Ad Asgard e su Midgard, entrambe sotto assedio, guerrieri e civili si sono convinti come un sol uomo che sovrani ed eroi fossero caduti e sono piombati nell’angoscia cessando di lottare. Noi stessi – io, mio padre, mia madre, i Vendicatori – siamo stati preda di una morte apparente e abbiamo come abbandonato i nostri corpi, e Thanos ci ha intrappolati in una dimensione senza nome tra i mondi ove tutto era buio e dubbio e non esistevano vie d’uscita. Un velo ci divideva da voi e non potevamo stracciarlo. »

« Heimdall ha fatto riferimento a un velo calato su ogni cosa, in effetti. Di certo anche lui aveva capito l’inghippo. » interloquì Erin.

Thor sorrise: « La vista di Heimdall di rado può essere ingannata. Per questo ha appoggiato il tuo piano senza esitare e ha rischiato volentieri la vita per permettervi di penetrare nelle prigioni e liberare mio fratello. Sapeva che restituendo lo scettro a Loki e aiutandolo ad arrivare al Cubo avremmo avuto una possibilità di vittoria, e così è stato. »

Il nome del Dio degli Inganni aleggiò nell’aria e colpì la flautista dritto al petto costringendola a distogliere lo sguardo per non scoppiare miseramente in lacrime; poggiò la fronte contro una colonna e nascose il viso tra i tendaggi che pigri fluttuavano nella brezza diurna, e senza voltarsi emise un bizzarro sbuffo diviso tra ironia e sconforto:

« Ci ha salvati a sue spese. Vi ha salvati. » asserì.

« Lo so. Lo sanno tutti, credimi. » garantì lui con voce gonfia di commozione.

L’irlandese lo osservò di sottecchi: « Che fine ha fatto quello stronzo di un titano? »

« Si è visto sconfitto ed è fuggito. Adesso si starà nascondendo in un angolo remoto del cosmo, magari implorando il perdono di Morte ed escogitando future diavolerie. »

« E a te non viene voglia di andarlo a cercare per dargli quello che si merita? » esclamò lei con rabbia improvvisa spalancando le braccia e voltandosi di scatto: « Io ne avrei, e tanta. »

Il biondo scosse la testa, gli occhi lucidi: « Lo farei, se potessi. Ma dubito che potrei mai sconfiggere il figlio di Mentore da solo, e d’altronde la vendetta a niente mi servirebbe. »

« Certe frasi retoriche vanno di moda pure tra gli dèi, vedo. » fu il caustico commento di Erin.

« Parlo sul serio. La vendetta non serve. » ripetè il Dio del Tuono con un sorriso incerto.

« Come no. » grugnì l’altra, eppure ebbe l’impressione che i sottintesi celati nelle parole di Thor e di Frigga prima di lui non corrispondessero a quelli che lei coglieva, e l’ombra di un buon presentimento le stuzzicò la mente e la riscaldò. Lo giudicò però troppo stupido e illusorio e si sforzò di accantonarlo, e mantenendosi mordace nei toni aggiunse:

« A proposito di cose inutili, Thor. È proprio necessario che io partecipi alla cerimonia di domani? Non ho più nulla che mi leghi ad Asgard e comincia a mancarmi casa mia. »

« Le genti del Valhalla aspettano di vedere da vicino la donna di Midgard che così tanto ha fatto per loro, guadagnandosi un posto tra le leggende e i paladini immortali, e vogliono renderle omaggio. Trattieniti ancora un giorno, e se dopo il trionfo sarai sempre dell’idea che per te non è più tempo di restare ci diremo addio. » rispose il figlio di Odino.

Erin inclinò il capo, pensosa: « Mi sembra un compromesso ragionevole. » mormorò.

« Ti ringrazio, Erin Anwar. Sei forte e straordinaria, hai l’animo di una regina e il cuore di un leone, » le disse il principe, « e per questo mio fratello ti ha scelta. »

« Mi aveva scelta. » lo corresse l’irlandese con una punta di stizza.

Ma Thor sorrise di nuovo, le diede un bacio tra i capelli e se ne andò, ed Erin rotolò sul letto a peso morto e quivi se ne stette fino a sera cercando di decifrare l’ondata di infondate sensazioni positive riguardo a Loki che la conversazione col biondo dio aveva suscitato in lei.

 

 

Cadde e trascorse la notte, strana e lenta, e l’irlandese si coricò molto tardi con un disco dei Beatles in cuffia: aveva ricevuto le due borse promesse e tutte le sue cose, e ascoltare musica per calmarsi era stato il suo primo e unico pensiero. Fece sogni agitati e incomprensibili che le lasciarono un senso di piacevole aspettativa addosso, acuito dagli interrogativi sul comportamento della famiglia reale e dal fatto che nessuno di coloro con cui aveva interagito appariva particolarmente in lutto; era come se tutti, lei compresa, stessero dando per scontato qualcosa di assai importante, e non capiva né cosa né come.

« Dacci un taglio, Anwar. » si rimbeccò nell’alzarsi: « O questi stanno cercando di tenermi nella bambagia per non farmi stare peggio, oppure sono una manica di stronzi ingrati. »

Entrambe le ipotesi le suonarono plausibili, per quanto deprimenti, ed erano comunque migliori dell’aggrapparsi a un miraggio improbabile con le unghie e con i denti.

Aveva giusto terminato di vestirsi quando una dama di compagnia della regina venne a chiamarla: l’abito cerimoniale era pronto, disse, e la attendevano per prepararla.

Erin le tenne dietro attraverso stanze e corridoi d’incomparabile splendore, incuriosita suo malgrado, fino in una saletta dalle alte finestre gremita di ancelle che al suo arrivo si profusero in garbati inchini. Le fecero togliere gli indumenti midgardiani e infilare una sorta di sottoveste di lino che le sfiorava le ginocchia, e sopra di essa misero altri strati di stoffe incantevoli al tatto di cui la musicista non riuscì a cogliere le forme, e al contempo le acconciarono le chiome e imbellettarono il volto usando soffici pennelli; qualcuno le sistemò sui polsi i parabracci che Loki aveva creato per lei, ora lucidati sino a farli risplendere, e una volta terminata la vestizione un alto dignitario entrò nel locale prostrandosi di fronte all’irlandese con deferenza e porgendole il flauto magico. Lei lo afferrò e sentì il proprio battito cardiaco accelerare fieramente, e strinse lo strumento con notevole orgoglio.

« Desiderate mirarvi, giovane signora? » le domandò un’ancella.

Due delle altre donne liberarono un grande specchio dalla tenda che lo ricopriva, ed Erin fissò la propria immagine riflessa e sorrise inebetita, senza fiato: indossava una corta tunica priva di maniche di broccato blu ricamato d’argento e un pastrano di morbida nappa del color della notte dal lungo strascico e dalle spalle decorate da leggere placche metalliche i cui motivi riprendevano quelli dei bracciali; la schiena e la coda della giacca erano impreziosite da un tripudio di minuscole scaglie argentee simili a una cascata di stelle, come se la Via Lattea l’avesse avvolta, e ai piedi portava un paio di stivali di pelle di camoscio azzurra come il cielo dal gambale alto e stretto. I capelli erano raccolti sulla nuca in molte trecce, le palpebre sapientemente bistrate e le guance appena rosee, e il flauto fiammeggiava come non mai.

Era bellissima e regale, ma ciò che più le saltò agli occhi fu la somiglianza di quegli abiti e quei colori con quelli che aveva sfoggiato alla serata di gala che si era tenuta nella Galleria Schäfer, a Stoccarda, la prima volta che la sua strada aveva incrociato il cammino del Dio degli Inganni – e per quanto fosse solo una coincidenza il sangue le ruggì nelle vene gridandole che doveva fidarsi dei suoi buoni presentimenti e che una coincidenza non era.

« È tempo di andare, dama Erin. » disse il dignitario che le aveva consegnato lo strumento, riportandola alla realtà, e con un gesto fluido la invitò a seguirlo.

Così si avviarono per altri corridoi ancora, scortati da una mezza dozzina di guardie, e man mano che procedevano il distante brusìo che udivano si faceva più chiaro e intenso e vi si distinguevano voci e squilli di tromba. Il passaggio si aprì su un colonnato ampissimo e soleggiato e l’irlandese, il cerimoniere e i soldati si arrestarono in cima alla gradinata che si affacciava sull’immenso salone riservato alle celebrazioni e ai riti ufficiali, e lei amò lo spettacolo che aveva davanti: una folla sconfinata riempiva l’ambiente, ondeggiando scalpitante ai due lati del camminamento d’onore che conduceva alla piattaforma del trono, e ogni singolo sguardo era puntato verso la scalinata, verso Thor, Sif, Hogun ed Heimdall che già si trovavano lì e che accolsero Erin con luminosi sorrisi.

Le chiarine suonarono e Odino annunciò il primo degli eroi, e uno ad uno gli improvvisati compagni d’arme della ragazza di Galway sfilarono tra la gente in festa, e il Dio del Tuono fu il quarto ed Erin si apprestò al proprio ingresso trionfale. Essere oggetto di quel genere di attenzione era ciò che aveva sempre sognato e le disegnò un lieve sogghigno compiaciuto sulle labbra, eppure non avrebbe voluto goderselo da sola, mai.

Ed ecco che i cortigiani e le dame che aveva d’intorno presero a mormorare qualcosa con malcelata eccitazione e indicarono un punto alle sue spalle, e lei istintivamente si girò a guardare per scoprire di chi o cosa si trattava. E nella luce che filtrava tra colonna e colonna si stagliò una figura slanciata e maestosa che camminando senza fretta le si fece incontro: indossava un elmo cornuto e abiti scuri e un’armatura leggera e un manto verde, e nella mano destra stringeva un’alabarda la cui punta elaborata brillava di vivido blu.

Nel petto di Erin un fuoco divampò, selvaggio e meraviglioso, colmandola da capo a piedi, e quando Loki le sorrise tutto acquistò un senso e i dubbi svanirono, e lei scoppiò dapprima a ridere, matta di felicità, e poi si sciolse finalmente in lacrime belle come una pioggia d’estate. Rise e pianse mentre lui annullava la distanza che li separava, quindi con dita frementi gli sfiorò gli zigomi, il naso e la bocca e seppe che era vivo e fatto di carne e non di sogno.

« Hai pianto per me, donna d’Irlanda? » la salutò il dio, ammiccante.

« Mi duole ammetterlo ma temo di sì. » rispose la musicista, soffocata dall’emozione, e Loki le cinse i fianchi e con estremo ardore la baciò.

E l’avere le sue labbra e la sua bocca sulle proprie, dopo un tempo che le era parso infinito, fu per l’irlandese qualcosa d’indescrivibile, fu una bomba di schegge ardenti che s’irradiarono fino alle sue più recondite terminazioni nervose; si strinse a lui e godette di ogni singola sensazione, di ogni minimo dettaglio, persino delle ovazioni che gli asgardiani più vicini a loro lanciarono nel vederli così avvinghiati e splendidi in quel bacio.

In quella le trombe squillarono e il Padre degli Dei parlò a gran voce, e i due si allontanarono l’uno dall’altra quel poco che bastava per volgersi verso il salone e il trono:

« E adesso, brave genti di Asgard la splendente, accogliete coloro senza i quali quest’oggi non potremmo essere qui. Accogliete Erin d’Irlanda, Dama del Flauto, la valorosa fanciulla di Midgard che per prima tra gli umani ha traversato il Ponte Arcobaleno e che ha spronato immortali guerrieri all’azione dimostrando una tempra degna di una dea, colei che a lungo ha viaggiato e lottato al fianco di mio figlio. E accogliete soprattutto quest’ultimo, poiché è a lui che dobbiamo ogni cosa. » Odino disse; « Loki, Dio degli Inganni e principe ritrovato, gloriosamente tornato dall’esilio con nobili propositi. Due volte abbiamo temuto di averlo perso quando perso non era, e due mondi lo hanno ritenuto una minaccia prima di essere da lui salvati a costo quasi della sua stessa vita. Ha spezzato il terribile incanto creato dal Cubo e ha sconfitto Thanos il Rosso, e per questo non gli saremo mai grati abbastanza. Accogliete dunque Erin Anwar e Loki figlio di Odino, genti di Asgard, e onorateli con grandi onori! »

La folla esplose in un boato gioioso e unanime, e l’asgardiano porse il braccio alla flautista e con lei discese solennemente i gradini sino al camminamento d’onore: avanzarono insieme tra le due ali festanti di sudditi, cortigiani, dame e soldati, lentamente, sorridendo compiaciuti, ed erano regali e fieri come due sovrani al proprio trionfo. E del loro trionfo si trattava, e se lo meritavano, ed era ciò a cui il Dio degli Inganni aveva puntato sin dal principio; il suo intento si era compiuto nonostante gli impensati ostacoli e la pura ammirazione degli abitanti del Valhalla era l’inebriante vendetta alla quale aveva mirato, egli constatò tra sé. E sebbene mille domande tempestassero la sua mente Erin decise che se ne sarebbe occupata più avanti, dopo essersi beata senza crucci e distrazioni del senso di potenza che quel camminare tra persone che la acclamavano le stava comunicando. Era una fiamma, e bruciava con orgoglio.

Giunsero alla piattaforma centrale del salone, di fronte al seggio aureo del re, e si fermarono ai piedi della scalinata: Odino, Frigga, Thor, Heimdall, Sif e Hogun li guardarono raggianti, e nel chiarore abbacinante che pioveva dalla gigantesca apertura rotonda che si apriva nel soffitto – e dalla quale centinaia di altre persone si affacciavano – l’irlandese sollevò il flauto sopra la testa e Loki fece altrettanto col proprio scettro, e i presenti ruggirono.

Non appena il ruggito si fu dissolto nell’aria i due s’inchinarono con velata ironia al Padre degli Dei e questi spalancò le braccia:

« Siamo noi che dovremmo inchinarci a voi. Non ci saranno parole adeguate per esprimere la gratitudine che vi portiamo, né lo stupore o il sollievo, né il rispetto che vi siete guadagnati. Ed io, figlio mio, temo che non riuscirò mai a saldare il debito che ho nei tuoi confronti o a farmi perdonare in maniera sufficiente, dopo ciò che hai fatto. »

Il Dio degli Inganni dovette reprimere un ghigno vittorioso, e tuttavia al contempo fu felice di sapere che Odino aspirava al suo perdono per le proprie passate colpe. Così il ghigno fu invece un contenuto sorriso ed egli scosse il capo con aria volutamente dimessa:

« Non credi che avermi evitato la morte sia sufficiente, padre? » gli chiese.

Il sovrano sembrò rifletterci su, quindi apostrofò Erin ponendole a sua volta una domanda:

« E tu, giovane dama d’Irlanda? Come posso ripagarti per le gesta che hai compiuto? C’è qualcosa che desideri e ch’io potrei offrirti? »

Lei inarcò le sopracciglia e tentennò sul posto, un po’ in imbarazzo e assai lusingata:

« Io non so ancora come sono andate esattamente le cose, ma il fatto che Loki sia vivo è per me la ricompensa migliore. » rispose, e la folla esalò un brusìo commosso; « Diciamo che la sola altra cosa che potrei volere è la possibilità di restare con lui. » aggiunse a precipizio fissando il compagno. Il cuore le rimbombava nelle orecchie e aveva le guance roventi.

« Forse ho un desiderio che potresti esaudire, Padre degli Dei. » interloquì lentamente il dio dall’elmo cornuto senza distogliere gli occhi da Erin: « Però non è il tuo consenso che per primo mi servirà perché il desìo che ho in animo si compia. »

E sotto gli sguardi di tutti, di Odino e di Frigga e di Thor che sorrideva trepidante e dell’intero popolo di Asgard, Loki si tolse l’elmo, fece svanire lo scettro e con calma s’inginocchiò davanti alla ragazza di Galway prendendole una mano. Erin soffocò un’esclamazione attonita e un turpiloquio di gioia, e con solennità estrema il Dio degli Inganni così parlò:

« Erin Anwar, il mio unico desìo sei tu. Accetterai dunque di divenire mia sposa? »

Un attimo di limpido silenzio coronò tali parole, e in quell’attimo l’irlandese si sentì come se l’universo le fosse imploso magnificamente nel cervello. Il cuore si sostituì al respiro e il mondo fu luce e fuoco, e lei boccheggiò ed emise una piccola risata incredula simile a un singhiozzo. Mai aveva osato immaginare ciò che il suo ingannatore divino le aveva appena detto, e tuttavia lui era lì e sorrideva con quelle sue verdi iridi ardenti e tutto era reale.

Allora la musicista gli sorrise di rimando e gli s’inginocchiò d’innanzi, e con voce decisa e vibrante pronunciò tre semplici, sfrontate sillabe: « Cazzo sì. »

« E che così sia. » affermò Odino con evidente emozione, e la folla lanciò un grido di gaudio che percorse l’immenso salone come un’onda, e tutti inneggiarono ancora a Erin e Loki.

E il Duo degli Inganni rimase in ginocchio ai piedi del trono come se nient’altro contasse all’infuori di loro, ridenti, gli occhi negli occhi e le dita intrecciate.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

> Note a piè di pagina

… AEHM. *corre a lanciarsi elegantemente dal Bifröst frignando di gioia e gridando GNAHRGH!*

Aggiorno con un po’ di ritardo nel glorioso giorno del Solstizio d’Estate per lanciarvi questa sottospecie di bomba atomica che è il penultimo capitolo della mia storia – il capitolo per il quale o m’inseguirete con un esercito di Estranei incazzati oppure mi adorerete come una Daenerys Targaryen de’ noartri. A mia “discolpa” vi dico che la mia intenzione è sempre stata quella di scrivere un’epica, maestosa favola (il titolo la dice lunga) e di rendere felice il mio asgardiano prediletto. E poi suvvia, non crederete davvero che il succitato asgardiano lo abbia fatto per puro et semplice ammmmòre

Il capitolo è stracolmo di citazioni e riferimenti tolkieniani, uno su tutti il parallelismo Erin-Èowyn in convalescenza che osservano dai balconi delle loro stanze la ritrovata pace della capitale dopo la vittoria; gli altri due sono il richiamo al risveglio di Samvise sotto gli indolenti rami di betulla presso il Campo di Cormallen e la frase di Odino “onorateli con grandi onori!”, citazione fedelissima. Per quanto riguarda il Tesseract, nei fumetti il suo principale potere è quello di alterare la realtà e la sua percezione secondo il volere di chi lo possiede e comanda, e qui è così che Thanos lo ha usato.

Il titolo è il verso portante del ritornello di Beloved freak dei Garbage (so here you stand, beloved freak / the world is at your feet). E per la colonna sonora, in sequenza, ecco i brani che vi consiglio per godere al meglio della lettura:

1. Love, love, love degli Of Monsters And Men (risveglio e convalescenza di Erin);

2. Shakespeare in love (tema principale) di Stephen Warbeck (vestizione e arrivo alla sala del trono)

3. PM’s theme (da Love Actually) di Craig Armstrong (Erin e Loki che finalmente si ritrovano)

4. Karelia Suite (I movimento) di Jean Sibelius (marcia trionfale del Duo degli Inganni)

5. Destiny in Space (tema principale) di Erbe & Solomon (dialogo con Odino e La Proposta)

Come sempre trovate le mie grafiche e i miei disegni a tema QUI – e a proposito, grazie mille a Dama Greenleaf che mi segue lì su Tumblr :) e GRAZIE a tutti voi che leggete, seguite e commentate, sperando di avervi fatto sognare un po’ ;)

Sono indietro con recensioni e letture, a proposito, perciò abbiate pazienza che prima o poi recupero.

Vi aspetto al prossimo e conclusivo capitolo. Ossequi asgardiani e buon Solstizio!

  
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