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Autore: clif    22/06/2013    2 recensioni
è un parallelo con la storia "Leon" scritta dall'autore Leonhard. in questa fanfiction assisteremo agli eventi accaduti nella storia precedentemente menzionata, ma dal punto di vista del coprotagonista maschile (Leon).è una storia estratta dal film di Silent hill e ambientata 30 anni prima dei suoi macabri eventi: assisterete alla vita, quasi, normale di un bambino appena trasferitosi nella macabra città.
ne approfitto per salutare tutti e per ringraziare Leonhard che mi ha dato il permesso di scriverla
buona lettura...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alessa Gillespie, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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8.
 
Il viaggio durò poco più di mezz’ora, ma Leon ebbe tutto il tempo per riaddormentarsi: sognò lui insieme ad Alessa, intenti a nascondere il loro tesoro segreto. “Leon… Leon! Sveglia!” la voce del padre lo destò dal mondo dei sogni. Quando uscì dalla macchina vide davanti a se la sua vecchia casa: credeva che non l’avrebbe più vista e averla davanti a se lo rese veramente contento. L’interno non era cambiato, polvere a parte; “non farci troppo l’abitudine: rimarremo qui solo una settimana” disse allegro il padre, mentre posava le valigie all’ingresso: aiutato da Leon.

Appena il padre si diresse al lavoro, Leon si mise subito a pensare cosa mettere nel tesoro suo e di Alessa; aveva lasciato alla bambina il compito di scegliere il posto; trovandosi, lei, a Silent Hill. Voleva usare qualcosa che per lui era molto importante, in modo da poterlo condividere con Alessa e rafforzare il loro legame ancora di più.

Ma non gli venne in mente nulla: decise così di uscire un po’. Era ormai pomeriggio inoltrato e a quell’ora molti negozi erano chiusi, tra cui il negozio di dolci o quello di giocattoli. (ma certo! Posso passare dai ragazzi!) pensò dopo aver notato che a quell’ora la scuola di Brahams chiudeva: avrebbe avuto l’occasione di rivedere i suoi vecchi amici.

Aspettò qualche minuto davanti al cancello della scuola, finchè non sentì il suono della campanella e vide riversarsi davanti a se un nugolo di ragazzi correre verso la sua direzione. Rimase in disparte a guardare finchè non passarono cinque bambini (tre maschi e due femmine); “hei ragazzi!” urlò correndo nella loro direzione; i ragazzi si fermarono, ma non capirono subito da dove proveniva e di chi era quella voce

“Leon!” fece quello più alto, vedendo l’amico. I ragazzi si abbracciarono, come se non si vedessero da anni e accompagnarono l’amico al loro rifugio. Era un parco grande ma pieno di erbaccia, dove non veniva più nessuno: a parte loro sei. I cinque amici di Leon erano tutti di media statura. Una delle due bambine aveva i capelli biondi e gli occhi color smeraldo: si chiamava Dorothy Halen; l’altra aveva i capelli castani, gli occhi azzurri e aveva una lieve tintarella: lei si chiamava Annette Nelson; il primo dei tre ragazzi era pallido di carnagione con gli occhi e i capelli castani: si chiamava Jack Evans; il secondo dei ragazzi era il più alto di tutti (non di tanto), con gli occhi azzurri e i capelli neri: si chiamava Edward Brown; l’ultimo era un ragazzo di statura normale con i capelli neri e gli occhi azzurri, si era trasferito a Brahams solo da un anno, dopo che il padre era stato spostato dalla prefettura di Portland alla loro: si chiamava Tom Gucci.

“Allora, Leon! Parlaci di come hai passato gli ultimi mesi!” fece Edward, tutto allegro per aver incontrato nuovamente l’amico. “beh! La città è un po’ più cupa di Brahams, ma è piuttosto tranquilla…” i cinque risero all’unisono, lasciando Leon perplesso. “non ti abbiamo chiesto un parere sulla geografia…” disse, ridendo, Dorothy “…volevamo sapere della tua nuova scuola e dei compagni!”. A quelle parole, il bambino, non seppe cosa rispondere: non aveva un grande rapporto con i compagni, tutt’altro; a parte Alessa, ovviamente. Gli altri bambini notarono questo suo indugiare “beh… con gli altri compagni non vado particolarmente d’accordo, ma sono diventato amico di una bambina di nome Alessa” mentre pronunciava l’ultima parola, a Leon scappò un leggero sorriso.

Passarono il resto del pomeriggio a giocare e a chiedere di Alessa: Leon rispondeva sempre, ma più evasivo che poteva; aveva sempre avuto una certa confidenza con i suoi amici, tranne quella volta. Parlare di Alessa con qualcuno, lo imbarazzava terribilmente: non che si vergognasse di lei, assolutamente no! Però ogni volta che parlava di lei (o che solo la pensava) diventava tutto rosso e non riusciva più a dire una sola parola, neanche lui riusciva a capire il motivo di questo suo stupido comportamento. “Ti piace! Vero?” gli chiese Dorothy, senza preavviso, mentre gli altri erano impegnati in una partita di calcio. Il ragazzo non capì a chi si riferiva, o semplicemente, faceva finta di non capire.

“chi?” chiese Leon all’amica: Dorothy sorridendo rispose con una finta aria di superiorità “mi riferisco a questa ragazza di nome Alessa! Prima, quando ti abbiamo chiesto di lei, balbettavi e non riuscivi a guardarci negli occhi…” Leon stava per smentire, ma fu interrotto da Tom, il quale stava andando in panchina per darsi il cambio con Dorothy “è inutile che cerchi giustificazioni: ti conosco da troppo tempo per potermi far ingannare” si sedette accanto a Leon, mentre la ragazza si alzava per lasciarli soli

Leon sapeva di non poter tenere nascosto qualcosa a Tom: era il suo migliore amico quando viveva a Brahams; il padre di Tom era un agente di polizia e, proprio come il dottor Kauffman, non riusciva a dedicare molto tempo al figlio, fu proprio per questo motivo che i due  entrarono subito in confidenza. “Allora? Ho ragione?” chiese Tom, nonostante sapesse già la risposta “credo proprio di si…” rispose imbarazzato Leon; “potremmo andare al negozio della madre di Annette e comprare qualcosa per la tua amica Alessa” disse Tom. La madre di Annette possedeva un negozietto vicino al parco dove vendeva piccoli oggetti di vario genere; mancava ancora un quarto d’ora prima del prossimo cambiò, così Leon accettò la proposta dell’amico.

“Salve signora Nelson!”salutarono i due all’unisono, appena entrati nel negozio; la donna li accolse cordialmente, conoscendoli entrambi da molti anni. I due iniziarono a cercare tra gli scaffali qualcosa di carino che potesse piacere alla bambina; vi erano vari oggetti molto costosi, ma dato i pochi dollari che il bambino possedeva, decise di cercare qualcosa di carino ma economico. Alla fine trovò un fermaglio a forma di farfalla: era piccolo e all’apparenza banale, ma guardandolo da vicino si poteva notare che invece era molto grazioso (non so perché ma mi fa ricordare Alessa), il bambino andò alla cassa e comprò il piccolo oggetto, sicuro che l’amica lo avrebbe apprezzato.

Dopo aver comprato il fermaglio, i due tornarono al parco per terminare la partita. I ragazzi tornarono a casa solo dopo il tramonto del sole: fortunatamente il dottor Kauffman non era ancora tornato, perciò non si era accorto dell’assenza prolungata del figlio. Dopo aver salutato gli amici, Leon, si chiuse in camera sua e cominciò a prendere varie cose dai suoi cassetti: voleva terminare il lavoro che aveva cominciato quella mattina cioè scegliere cosa mettere nel tesoro; prese alcuni dei suoi vecchi fumetti, la foto di sua madre e poi avrebbe messo le cartoline del mare che aveva prestato ad Alessa. Dopo aver deciso, Leon si fermò un momento a pensare: quelle erano tutte cose che riguardavano lui, decise così di dedicare qualcosa per entrambi, prese un foglio, una penna e si mise a scrivere una lettera per la bambina. Dopo aver finito di scriverla posò la penna e si mise a guardarla (sarebbe troppo imbarazzante se Alessa la leggesse),pensò che sarebbe stato meglio metterla nella custodia del tesoro senza dirle niente: così, forse, se l’avesse letta tra qualche anno sarebbe stato meno imbarazzante.

Ripose la lettera nel suo cassetto appena prima di sentire la porta d’entrata aprirsi. (papà è tornato finalmente!) Leon si affrettò per andare a salutare il padre, ma lo vide con uno sguardo serio: aveva sempre uno sguardo serio, ma questa volta sembrava anche triste
“Leon: devo dirti una cosa…”
  
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