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Autore: Lechatvert    22/06/2013    4 recensioni
[ ... ] Si ritrovò ad accarezzare quella figura dipinta, pensando che, forse, non si era mai reso veramente conto di quanto quel viso fosse armonioso, di quanto quel sorriso fosse luminoso ed esattamente ingenuo come lo era stato in gioventù.
Quella smorfia felice che affiorava sulle sue labbra, scatenata anche da una sola parola, aveva passato più guerre di un condottiero.

| In qualche modo, Girolamo Riario x OC |
Genere: Angst, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Girolamo Riario, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Per questo, più o meno, la chiamavano Papavero.'
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Lechatvert
Secondo capitolo, babe! °-°/
Tra l'altro, per chi se lo fosse perso, qui c'è la oneshot da cui tutto questo ha origine.
Preparatevi, stavolta sono stata prolissa (passatemela una volta, d'ora in poi mi riassumo, giuro!)


Un bacio!<3





Capitolo Secondo
Colori d'Artista



Il Conte Levi di Fontenera impugnò l’affilata spada di Toledo, rigirandola tra le mani per osservarla con occhi estasiati. Era un’arma ben calibrata, leggera ed elegante, con lo stemma del giglio rosso di Firenze in rilievo sull’elsa.
« Allora », incalzò il fabbro. « Vi interessa? »
Levi lo guardò con un sorriso gentile.
« Altroché, buonuomo! », esclamò, mettendo mano al borsello che portava legato alla cintura. « Quanto volete per questa meraviglia? »
L’uomo parve pensarci un po’, muovendo gli angoli della bocca a destra e a sinistra con fare indeciso.
« Ventisette fiorini, mio signore ».
Il Conte annuì, poi posò lo sguardo sul figlio del fabbro, seduto in un angolo della bottega, intento a giocherellare con il fodero riuscito male di una daga.
« Prendetene trenta e mandate vostro figlio a portare la spada nelle mie stanze », concluse, allora. « Alloggio alla pensione di Madonna Raffaella, chiedete del Conte di Fontenera ».
L’uomo annuì, allungando la mano per ricevere le monete.
« Come desiderate, mio signore. E grazie! »
Levi chinò il capo in cenno di saluto, lasciando la bottega a piccoli balzi. Firenze era affollata, pervasa dagli acri odori del mercato mattutino. Se, come lui, si era in grado di apprezzare la frenesia del popolino, era sempre un piacere, trovarsi per quelle vie all’ora di punta.
Sospirando, si guardò intorno con curiosità. Vi erano bancarelle di profumatissima frutta, di trucco per signore, di oli pregiati e di carne. Impossibile non trovare ciò che si andava cercando, da quelle parti.
« Conte! »
Spintonata dalla folla, Madonna Ordelaffi lo raggiunse. Aveva in mano un piccolo sacchetto di lino, probabilmente contenente della cipria appena acquistata.
« Madonna, cominciavo a chiedermi se vi avessero rapita », scherzò il Conte, offrendole il braccio per invitarla a passeggiare. « In tal caso avrei sicuramente dovuto trovare una scusa valida per vostro marito! »
La ragazza rise, accettando immediatamente il suo invito, e incamminandosi verso Ponte Vecchio.
« C’è qualche posto in particolare che vorreste visitare, Conte? », gli chiese.
« Vorrei fare visita a Santa Croce, se non vi dispiace ».
Lei parve sorpresa.
« Siete religioso, Conte? », chiese, con tono meravigliato.
Lui annuì.
« Come tutti, Madonna. Ma sono cresciuto in un collegio di Roma, sotto l’ordine dei benedettini. È più un obbligo, che un piacere, per me, recarmi nella basilica della città che visito ».
« Ezio non mi aveva mai detto niente riguardo a ciò! », lo sgomento della ragazza continuava, man mano che passavano Ponte Vecchio. « E, ditemi. Siete rimasto laggiù a lungo? »
« Abbastanza. Fino alla proclamazione di Papa Sisto. Dopo di che, sono stato costretto a fare ritorno a casa ».
« E come mai? »
Levi le fece l’occhiolino.
« State diventando un po’ troppo invadente, Madonna », la riprese, con fare scherzoso. « Cosa direbbe il vostro povero marito, se vi sentisse ora! »
La ragazza arrossì, chinando il capo con fare mortificato.
« Le mi scuse, Conte. Non intendevo impicciarmi nei vostri affari … »
Levi rise di gusto, scrollando il capo. Lo divertiva, vedere come Madonna Ordelaffi si imbarazzava facilmente.
Poi chinò improvvisamente gli angoli della bocca, ricordando il suo ultimo giorno alla corte di Papa Sisto.
« Venite, Madonna. Voglio mostrarvi una cosa », disse, scacciando quei pensieri e sospingendo la ragazza verso un angolo della strada. « È la bottega delle meraviglie! »
Aprì le porte della bottega artigiana alla ragazza, lasciando che fosse lei la prima ad entrare, poi la superò con un balzo, guardandosi intorno con fare soddisfatto.
« Vecchio Verrocchio! », chiamò, alzando la voce. « Verrocchio, siete in casa? »
Facendosi largo tra un piccolo gruppo di scultori all’opera con i loro modelli, un uomo si avvicinò, accogliendoli entrambi con un piccolo sorriso sulle labbra.
« Conte di Fontenera, quanto tempo! », esclamò. Poi guardò Madonna Ordelaffi. « Non mi avevate mai scritto di esservi sposato! »
Levi rise, prendendo la mano della ragazza per porgerla a Verrocchio.
« Vecchio modo, per approcciare le fanciulle. Lasciate che vi presenti Madonna Ordelaffi, la moglie di Messer Ezio Rangoni ».
Verrocchio le baciò la mano.
« Madonna ».
Lei gli sorrise, accennando un lieve inchino.
« Molto piacere ».
« Allora, Verrocchio », incalzò Levi. « Quale gingillo avete da mostrarci, quest’oggi? »
L’uomo alzò le spalle, desolato.
« Temo siate arrivati tardi. Giusto la settimana scorsa, uno dei miei artisti ha dato prova della sua genialità con la nuova colombina di Pasqua. È riuscito a venderla ai Medici. Se foste stati qui domenica scorsa, avreste visto una vera e propria meraviglia! »
Madonna Ordelaffi tirò la manica del Conte.
« Adoro lo spettacolo di Pasqua di Firenze! », gli disse, illuminandosi con un sorriso.
Levi le sorrise di rimando.
« Che peccato », sospirò. « Beh, aspetteremo la prossima opera d’arte per stupirci con le vostre meraviglie. Andiamo, Madonna Ordelaffi. Dovreste riposarvi, prima della festa ».
Lei annuì, offrendo al Maestro Verrocchio una leggera riverenza.
Fecero per andarsene, ma una voce li bloccò.
« Madonna Ordelaffi, ferma! »
Lei sobbalzò, mentre Levi si voltò, allarmato.
Un giovane artista della bottega si avvicinava a passo spedito, mordendo una mela.
« Madonna Ordelaffi », le disse, quando li raggiunse. « Donatemi una ciocca dei vostri capelli! »
« Leonardo! », lo richiamò Verrocchio.
Levi si voltò verso l’artista, tutto intendo ad osservare la folta chioma rossa della ragazza.
« Quindi è lui, il tuo genio, Verrocchio! », constatò.
Il Maestro alzò le spalle con fare rassegnato, confermando.
« I vostri capelli sono di un rosso che non ho mai visto, a Firenze », disse l’artista. « Un rosso singolare, quasi quello di un … »
Madonna Ordelaffi gli concesse un sorriso.
« Papavero? », suggerì. « Me lo dicono in tanti ».
L’artista annuì.
« Vi prego, Madonna. Donatemene una ciocca. Voglio creare una tinta quanto più simile a questa tonalità ».
Senza che Levi avesse il tempo per intromettersi, la ragazza abbassò il capo in direzione di Leonardo.
« Prego, scegliete quella che più vi piace ».
Con delicatezza, l’artista le pettino una piccola treccia, tagliandola infine per poi riporla tra le pagine del suo taccuino.
« Ho finito. Grazie, Madonna ».
La ragazza sorrise, poi si aggrappò di nuovo al braccio del Conte, che per tutto il lavoro era rimasto in silenzio, osservando le minuziose mani di Leonardo intente a intrecciare riccioli e ciuffi.
« Vi prego, Conte, portatemi a riposare, ora », disse, infine. « Non potremo permetterci di addormentarci in piedi, dai Medici! »
« Come desiderate ».
Levi salutò con un cenno del capo i due artisti, girando sui tacchi per immettersi nuovamente sulle strade affollate di Firenze.
Camminò in silenzio per qualche minuto, pensieroso.
« Non credo abbiate sia stato saggio, donare una ciocca dei vostri capelli a quell’artista ».
Madonna Ordelaffi emise un gemito affranto.
« Oh, mi dispiace! Ma, ditemi. Cosa ve lo fa pensare? »
Levi scosse il capo, tirando fuori un sorriso.
« Non ascoltate le mie paranoie, Madonna », le disse. « Il viaggio deve avermi stancato più del previsto ».


* * *


Con la pancia piena dall’abbondante cena che la pensione gli aveva offerto, Girolamo Riario addentò l’unica mela della fruttiera, appoggiando la schiena al muro gelido della sua stanza.
Masticò quel frutto con gusto, assaporando l’aspro sapere del succo, e incrociò le braccia sul petto con fare pensieroso, mentre il suo sguardo assente vagava nel vuoto.
« Sono alquanto dispiaciuto circa gli avvenimenti degli ultimi due giorni », mormorò, con gli occhi che ancora non si staccavano dal pavimento.
Erano due giorni che si trovava a Firenze, erano due giorni che i problemi non facevano altro che spuntare come funghi. Da quando Madonna Donati aveva pronunciato il nome di da Vinci per la prima volta, quell’individuo non più aveva abbandonato la sua mente.
« Voi cosa ne pensate, Capitano Grunwald? »
L’uomo seduto di fronte a lui grugnì, ma non osò proferire parola. Si limitò ad osservare le mani del Conte; una stringeva ancora la mela, l’altra era impegnata a disegnare un cerchio dopo l’altro su un pezzo di cartastraccia.
Riario sospirò.
« Io penso che non solo non abbiamo trovato ciò che stavamo cercando », continuò. « Ma siamo stati anche in grado di mettere in guardia sia i Medici che Firenze con un’esplosione nella bottega più famosa della città, il tutto in una sola giornata ».
Di nuovo, l’unica risposta che il suo capitano fu in grado di dargli fu un soffuso brontolio.
Stavolta, il Conte alzò gli occhi sull’uomo.
« Tuttavia, non possiamo dire che sia stato un vero e proprio buco nell’acqua. I Medici ci hanno aperto le porte invitandoci al loro banchetto, una preziosa occasione per avvicinarci ancora di più a questo famigerato artista ».
Fermò la sua mano, alzando di poco il mento.
« Mi aspetto che, entro domani a mezzogiorno, i vostri uomini siano pronti a fare ritorno a Roma; con da Vinci, naturalmente ».
« Sì, mio Signore ».
Riario alzò gli angoli della bocca in un sorriso contorto.
« Molto bene, potete andare. Vi auguro una buona notte ». E addentò di nuovo la mela, posandola poi sul tavolo.
Attese in silenzio che il suo rumoroso capitano lo lasciasse solo in quella piccola stanza illuminata appena dalla fiamma di qualche candela, poi abbandonò il suo disegno, infilando la mano libera nella tasca interna del cappotto.
Qualcosa, prima dell’esplosione, era riuscito a portarlo via. Qualcosa di insignificante, di cui probabilmente nessuno avrebbe notato la scomparsa.
Dalla tasca estrasse un vecchio quaderno, dal quaderno un fazzoletto.
Aprì il piccolo quadrato di pezza, osservandone crucciato ciò che da Vinci vi aveva riposto.
Con la punta delle dita, accarezzò la piccola treccia color del sangue, percorrendone il taglio disordinato con insolita delicatezza.
Aveva visto soltanto una volta, quella tonalità sulla testa di una donna. L’aveva vista molto, molto tempo prima.
Inevitabilmente, si ritrovò a sussurrare il suo nome.
« Bianca … »


   
 
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