Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
Segui la storia  |       
Autore: deepblueyes    23/06/2013    1 recensioni
Cosa faresti se un Demone, per scommessa, ti offrisse in un Contratto l'amore della tua vita, chiedendo in cambio soltanto la tua anima?
Accetteresti?
E se poi ti trovassi invischiato in un mondo di cui non immaginavi neppure l'esistenza, rischiando la vita, e scoprissi che la tua esistenza era sempre stata soltanto un'apparenza di normalità?
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
CAPITOLO 11
Iblis.


Il nonno parlava al telefono da quasi un'ora ormai, nella stanza accanto. 
Seduta rigidamente sul divano, avevo cercato di percepire almeno qualche parola, ma senza riuscirci, e non solo perché parlava a voce davvero bassa: in quel momento mi sentivo troppo a disagio per concentrarmi a dovere.
Dieci paia di occhi erano fissi su di me da quando avevo messo piede nel mio salotto, rendendomi più rossa di un pomodoro maturo e spingendomi a studiare con grande attenzione i decori geometrici del mio tappeto. 
Non avevo mai notato davvero quanto fossero ingarbugliati. Eppure, abitavo lì da quando ero nata.
Sospirai. Una piccola parte di me era davvero curiosa di capire chi fossero quegli individui che accompagnavano il nonno, ma non avevo nessunissima intenzione di alzare gli occhi. Perché avrei incontrato i suoi. 
I bellissimi occhi verdi di quel maledettissimo demone. 
Che sapevo, sentivo, fissi su di me.
Cominciai a mordicchiarmi l'interno della guancia, spostando l'attenzione verso la finestra, dalla quale filtrava la luce rosata del sole pomeridiano. 
La sensazione di malessere era svanita e adesso, al contrario di poco più di mezz'ora fa, non volevo altro che poter stare fuori casa, lontano da quella strana e imbarazzante situazione.
Il nonno non aveva risposto nemmeno alla metà delle domande che gli avevo subito rivolto e, fissandomi con aria austera e vagamente accusatoria, si era limitato a dirmi di sedermi, anzi, quasi a ordinarmi di farlo. 
Avevo obbedito solo perché non avevo voglia di mettermi a discutere troppo: insomma, c'era un demone legato in salotto. Non mi pareva il momento.
Dopo aver chiesto distrattamente ai suoi compagni che io e Gabriel venissimo tenuti d'occhio, il nonno si era dileguato nell'altra stanza.
Non avevo mai sopportato quell'uomo, sin da bambina. Non era mai stato amorevole né comprensivo, non aveva mai giocato con me e non si era fatto vedere quasi mai ai miei compleanni. 
Crescendo, avevo cominciato a pensare che, semplicemente, ci stavamo reciprocamente sulle scatole. Per fortuna, abitava a chilometri e chilometri di distanza, perciò non era stato tanto difficile riuscire a evitare di incontrarlo: non lo vedevo da quando avevo tredici anni. 
E pensavo che la cosa andasse benissimo a entrambi. 
Per questo era stato praticamente uno shock trovarmelo in casa, senza alcun preavviso, e, soprattutto, con quella combriccola. 
Subito mi venne in mente un sospetto. E se anche il nonno...
Mi girai di nuovo, e guardai Gabriel. Per la prima volta da quando avevo messo piede in casa, lo fissai apertamente, incontrando i suoi occhi, ironici e conturbanti. 
Stava seduto in maniera scomposta, le scapole poggiate allo schienale della sedia di legno, le gambe allungate, ancora con un vago sorriso sulle labbra. 
Aveva i capelli umidi e spettinati, la maglietta lacera e le scarpe a pezzi. 
Mi chiesi dove se ne fosse andato in quelle ore per ridursi in quello stato. 
Eppure, non sembrava ferito: la sua pelle scura era assolutamente perfetta e bellissima, sempre liscia e fredda come vetro, al tatto. 
Avvampai subito a quel ricordo. Cavolo, dovevo piantarla di rimuginarci su. 
Gabriel ridacchiò, facendomi arrossire ancora di più. Sperai intensamente che non stesse leggendo i miei pensieri.
“Cos'hai da ridere, Iblis?”
Sussultai, girandomi verso la porta: il nonno fissava Gabriel in maniera davvero inquietante. Come lo aveva appena chiamato..?
Ma Gabriel lo ignorò e rimase in silenzio, come se il nonno fosse ancora al telefono nell'altra stanza, e continuò a guardarmi, tanto intensamente da non battere nemmeno le palpebre. Che cosa impressionante.
“Ti ho fatto una domanda, Iblis.” insistette il nonno, con la sua solita voce piatta che mi lasciava sulla pelle la stessa sensazione del grattare di unghie sulla lavagna. 
Da brividi. 
Di nuovo, Gabriel rimase in silenzio, e sbadigliò leggermente. Chinò la testa di lato, sempre stranamente preso a fissarmi. Non sembrava affatto preoccupato dal fatto di trovarsi legato in mezzo a tipi dall'aria poco cordiale, anzi avrei detto che si stesse annoiando a morte piuttosto che inquietarsi. 
Il nonno si spostò e venne a sedersi vicino a me, ma senza sfiorarmi neppure di striscio.
Mi voltai a studiare quei tratti duri, quel naso un po' storto e le guance incavate, le piccole e poche rughe che segnavano il suo viso, incorniciato da capelli grigi come il mare in tempesta, e quegli occhi... quei freddi e spenti occhi neri, che cercavo di evitare da quando ero bambina. 
La tentazione di alzarmi e allontanarmi quanto più possibile da lui fu difficile da ignorare. Per assurdo, avrei preferito che ci fosse il demone seduto al suo posto.
“Sai che non sopporto i convenevoli, vecchio. Chiedi quello che ti interessa davvero, invece che perdere tempo.” disse Gabriel, sempre senza voltarsi a guardarlo. 
Stavolta fu il nonno a rimanere in silenzio per qualche istante, prima di parlare: “Cosa vuoi da mia nipote, Iblis?” 
Gabriel scoppiò a ridere sonoramente, gettando indietro la testa: “Oh, andiamo. Vuoi farmi credere che non riesci a percepirlo, pennuto?”
“Questo è troppo, bastardo!” si intromise uno dei quattro sconosciuti attorno al demone, una donna dai lunghi capelli castani e una voce dura, incredibilmente alta e muscolosa. Muovendosi con una velocità incredibile, colpì Gabriel con tale forza da fargli scattare la testa di lato e spaccargli un labbro, mentre la sedia capitolava a terra. 
D'istinto, scattai verso il demone, ma una mano mi fermò, stringendosi dolorosamente attorno al mio polso: il nonno mi guardava furioso, e mi spinse di nuovo a sedere.
Tolsi la sua mano dal mio braccio e, mentre altri due rimettevano in piedi la sedia, chiesi, arrabbiata: “Si può sapere che succede? Dove sono mamma e papà? Cos'è Iblis? Che cavolo ci fai tu qui? Gabriel non ha fatto niente, lasciatelo stare!”
Lo schiaffo che ricevetti mi tolse il fiato e quasi mi fece cadere dal divano.

Cassandra era molto, ma molto più forte di quanto ricordassi. 
Mi aveva rintronato il cervello, accidenti. 
E tutto per un paio di innocenti epiteti... che poi, era davvero un vecchio pennuto: era avanti con l'età, e aveva una caterva di piume. Mica avevo detto niente di così terribile. 
Eppure, la cara Cassy non aveva gradito, e mi aveva spedito a un tête-à-tête con il pavimento, alquanto duro, freddo e sgradevole. 
Era la seconda volta in un giorno che davo una testata tremenda, e la cosa cominciava a rompermi alquanto i coglioni.
Non furono neanche tanto delicati a tirarmi su e mi sballottarono a sinistra e a destra, con il rischio di farmi vomitare qualcosa: e che diamine, dovevo insegnargliele io le buone maniere?!
Neppure Alice sembrava tanto contenta del trattamento riservatole: “ Si può sapere che succede? Dove sono mamma e papà? Cos'è Iblis? Che cavolo ci fai tu qui? Gabriel non ha fatto niente, lasciatelo stare!”
Ci fu un momento di black-out nel mio cervello quando sentii quelle parole. 
Alice si preoccupava per me, cercava di proteggermi... ma allora... allora forse non mi odiava, non voleva davvero che me ne andassi, lei...
“Sta zitta, stupida ragazzina! Hai venduto la tua anima, quanto c'è di più prezioso, a questo demone fedifrago!” tuonò il vecchio, colpendola forte sul viso, tanto da stordirla e farla cadere a terra. 
Alice. La mia Alice.
Non riuscii a trattenermi, spezzai le catene e mi scagliai contro quel vecchio bastardo, lasciandomi guidare da quel perverso desiderio di sangue che mi animava da quando ero nato. Rabbrividii di piacere: lo avrei fatto a pezzi, una volta per tutte. 
Cassandra si scagliò di nuovo contro di me, cercando di bloccarmi, ma evitai la sua stretta e la colpii in pieno viso, scagliandola contro il tavolo, che finì in pezzi. 
Penetrai nella mente di un'altro di quei bastardi, il più debole, un idiota che non riuscì a respingermi nemmeno per un secondo, e lo feci piegare in due dal dolore. 
A un passo da quel vecchio bastardo tirai indietro il braccio, per strappargli la faccia ad artigliate, godendo della sua espressione sgomenta al vedermi libero e pronto a cambiargli i connotati.
Percepii un'improvvisa stretta alla gola, poi mi sentii bruciare. 
Mi inarcai indietro, finendo in ginocchio, mentre le catene benedette si stringevano con forza attorno al mio collo, facendomi rantolare. 
Non avrei mai immaginato che fossero così dolorose. Mai. 
Mi contorsi, maledicendo il fottuto bastardo che mi aveva messo i bastoni tra le ruote. Il secondo che avrei fatto a pezzi. Lentamente, un arto alla volta.
“Gabriel! No! Lascialo, lascialo stare!” Alice urlava contro qualcuno alle mie spalle, sfiorandomi il viso e il collo. 
Era buffo come la sua presenza mi calmasse, nonostante stessi soffocando e la mia pelle si stesse lentamente consumando.
“Fermo Cameron” ordinò il vecchio, con un tono strano. Sembrava quasi... meravigliato, sorpreso da qualcosa. 
Ripresi a respirare, a fatica, quando le catene si ritirarono, e rilassai i muscoli. 
Guardai l'unica persona che avessi mai veramente odiato in tutta la mia esistenza, che mi fissava a sua volta con gli occhi sbarrati, incapace di mantenere la sua consueta espressione glaciale. Ci misi poco a capire il perché: nell'impeto di rabbia avevo abbassato le difese, e lui si era insinuato nella mia testa. 
Ora scandagliava i miei ricordi più recenti, le mie emozioni. Lo cacciai brutalmente fuori, ma sapevo che era tardi. Aveva capito qualcosa di cui avrebbe dovuto rimanere all'oscuro, e questo era un bel problema.
“È per questo che hai siglato il contratto. La vuoi per te.” 
Chiusi gli occhi, percependo tratti delle emozioni di Alice. 
Una volta, avrei detto di si, avrei mentito e finto per divertimento, per confondergli le idee. Ma in quel momento, non ci riuscii. 
Mi specchiai nei grandi occhi verde chiaro di Alice, mi persi nelle onde di quei capelli color sangue, nella curva delle sue labbra: “No. Era per gioco. Una scommessa”
“Scommessa?”
Passai veloce la lingua sulle labbra, sdraiato immobile sul pavimento, inchiodato dallo sguardo offeso di Alice. Fu quasi un dolore fisico vedere la sua espressione, ma mi costrinsi ad andare avanti: “Io... mi annoiavo. Volevo divertirmi e ho accettato di catturare cento anime per poi lasciare il mondo umano. Mi dispiace.”
Alice mi guardò per un altro istante, poi distolse lo sguardo per rivolgersi al vecchio: “Come fai a sapere che Gabriel non è umano? Perché lo chiami Iblis?”
Il pennuto rispose con molta più calma che in precedenza: “Iblis è il suo nome. Il suo vero nome, quello con cui lo conosce chi abita l'Inferno. Io so molto più di quanto immagini, su di lui. Cerco di ucciderlo da quasi mille anni.”
Alice corrugò la fronte: “Mille anni? Ma come è possibile, dovresti..”
“Essere morto? No. Io sono un angelo, Alice. Un angelo caduto.” 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni / Vai alla pagina dell'autore: deepblueyes