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Autore: becca25    24/06/2013    5 recensioni
“Ma che diamine significa?”ansimò John, accasciandosi al suolo “perché…cosa…che facevamo lì?”
“Oh, solo per passare il tempo” tossì Sherlock, rivolgendo uno sguardo veloce all'amico “e per dimostrare una cosa”
“Che cosa?”
“Tu”
[Hogwarts!/Jonhlock!]
Genere: Avventura, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buon giorno a tutti!
Finalmente riesco ad aggiornare ad un orario più che decente e ho addirittura avuto tempo di riguardare il capitolo! u.u
Come sempre voglio ringraziare coloro che stanno seguendo la storia, e un ringraziamento molto particolare a coloro che hanno recensito; Maya98, 86221_2097 e Starkie!
Spero davvero che il capitolo possa piacervi! E ricordatevi che le recensioni sono sempre ben accette!
Un bacio a tutti,
buona lettura,
Becki
 
Capitolo 3.1 Il grande gioco
 
John si servì un secondo bicchiere di succo di zucca, lanciando uno sguardo preoccupato al cielo incantato della Sala Grande, che non faceva altro che tuonare e illuminarsi di lampi improvvisi che squarciavano le nubi nere, rispecchiando alla perfezione il temporale che imperversava fuori dalla scuola da quella mattina.
Dopo un’intera giornata trascorsa a studiare in biblioteca, il Grifondoro aveva deciso di meritarsi una pausa, così aveva proposto a Sherlock di accompagnarlo a prendere un tè; tuttavia il Serpeverde non aveva fatto altro che restarsene in silenzio a leggere un polveroso volume intitolatoStoria della musica, violini magici nei secoli, costringendolo a consumare la propria merenda in un silenzio quasi religioso. John sospirò per la centesima volta in pochi minuti, portandosi il calice di cristallo alle labbra, osservando di sottecchi Sherlock. Era da diversi giorni che il ragazzo gli sembrava strano… O meglio, più strano del solito.
Si era fatto molto distante nei suoi confronti e più John aveva cercato di farsi dire ciò che lo turbava, più lui si era chiuso a riccio, escludendolo a priori; inoltre Sherlock sembrava essere sempre imbronciato e di cattivo umore e si era fatto più taciturno che mai.
Con un sospiro rassegnato John si disse per la millesima volta di lasciar perdere, tornando a dedicarsi al proprio spuntino; aveva appena bevuto un sorso di succo, quando Sherlock si decise, finalmente, a rompere quel silenzio opprimente.
“Vorrei che smettessi di vederti con Sebastian Moran” esclamò freddamente, mantenendo lo sguardo puntato sul  proprio libro.
John si strozzò con il succo andatogli di traverso “Come, prego?” domandò colto alla sprovvista, asciugandosi la bocca con un tovagliolo, mentre Sherlock sospirava e si degnava, alla fine, di guardarlo.
Gli rivolse uno sguardo di sufficienza, che John sostenne con decisione, domandandosi perché mai avesse tanto sperato che Sherlock aprisse bocca.
“Non mi fido di lui, Jawn” ammise il Serpeverde “non mi piace che vi frequentiate”
Il Grifondoro sbuffò, comprendendo all’improvviso quale fosse il problema che aveva assillato il migliore amico per tutto quel tempo e dandosi mentalmente dell’idiota per non essere riuscito a capirlo prima; non era un segreto l’inimicizia che scorreva tra Sherlock e Sebastian, nessuno dei due si dava la pena di nasconderla, anzi sembravano quasi desiderosi di sbandierarla nelle più svariate occasioni e anche se John  riusciva a sopportare i loro continui battibecchi e litigi, tenendosene saggiamente alla larga, non riusciva proprio a tollerare quando uno dei due decideva di metterlo in mezzo a quello sciocco e insensato antagonismo.
“Sherlock, ci vediamo per una burro birra una volta a settimana” constatò pacatamente “inoltre, sono certo che se voi vi sforzaste per…”
“Non mi piace” lo interruppe Sherlock velocemente, scandendo bene le parole, come a volersi assicurare che il migliore amico recepisse il messaggio “ti ho già detto quello che penso e francamente non capisco perché non puoi semplicemente troncare questo rapporto una volta per tutte” sbottò irritato, facendo innervosire anche John.
“Perché, che ti piaccia o no, lui è un mio amico! E non ho alcuna intenzione di allontanarmene solo perché me lo chiedi tu, Sherlock!”
“È un comportamento stupido! Insomma John, quando mai ho sbagliato?” tuonò, sbattendo il libro sul tavolo con tanta forza da far tintinnare le stoviglie.
John si immobilizzò, all’improvviso senza parole; sapeva che era quello il vero problema per Sherlock e sapeva che prima o poi avrebbero dovuto parlarne se si volevano chiarire una volta per tutte, ma onestamente John non sapeva davvero come comportarsi.
Sherlock era ferito e arrabbiato, non per l’amicizia in sé, ma per quello che ai suoi occhi rappresentava; il fatto che John avesse deciso di frequentare Sebastian nonostante i suoi continui avvertimenti, per lui non era altro che la prova della mancata fiducia di John nei confronti, un vero e proprio attacco al suo ego e alla sua persona e questo non sembrava proprio tollerarlo.
Ma si sbagliava; John si fidava ciecamente di Sherlock e del suo intuito, ma Sebastian si era sempre dimostrato degno di fiducia, arrivando persino a perdonarlo dopo quello che gli aveva fatto, dimostrandogli così quanto realmente tenesse alla loro amicizia ed ora John non se la sentiva e non voleva rinunciare ad un compagno tanto prezioso solo per far felice Sherlock Holmes e il suo smisurato ego.
Infondo, quando erano stati loro a fare amicizia, praticamente tutta la scuola lo aveva avvertito di stare alla larga da Sherlock Holmes, ma lui non aveva detto loro retta, preferendo seguire il proprio istinto piuttosto che delle male voci ed ora non riusciva più nemmeno ad immaginarsi la propria vita senza quel ragazzo.
Sherlock sbuffò sonoramente, distraendolo dai propri pensieri “John, vorrei farti notare che il mio punto di vista non è nemmeno paragonabile a quello del resto della scuola” esclamò offeso, facendo ridacchiare John.
“Hai preso lezioni di legimanzia?” domandò divertito.
“Con te non è necessario, hai tutto scritto in faccia”
“Allora puoi anche leggere la profonda fiducia e l’affetto che provo nei tuoi confronti, Sherlock” ribattè John, cogliendo la palla al balzo; vide Sherlock ammutolirsi per un istante, colto di sorpresa da quella constatazione così schietta e sincera.
 “Fai come ti pare” sbuffò annoiato, tornando a prestare attenzione al proprio libro “ma almeno vedi di fare attenzione quando ci esci insieme” sbottò, affondando il viso tra le pagine ingiallite del tomo e John potè constatare con gioia che il suo tono si era fatto meno duro.
“Va bene, prometto che porterò con me il mio asciugamano, durante le nostre uscite” scherzò John per alleggerire la tensione, ma davanti allo sguardo vacuo di Sherlock si limitò a scuotere il capo, rassegnato.*
 “Spiegami una cosa” esclamò qualche istante dopo, desideroso di continuare a parlare con il Serpeverde “perché Mycroft si è comportato in quel modo, con me?” chiese, più per cambiare discorso che per vera curiosità.
Sherlock lo osservò perplesso “A cosa ti riferisci?” domandò dubbioso.
“Sherlock, tuo fratello mi ha praticamente rapito, offrendomi denaro per fargli sapere come stavi!” gli ricordò John “che razza di geni avete voi Holmes?” lo canzonò, ottenendo uno sguardo di distaccata superiorità.
“Francamente John, non capisco dove sia il problema” ammise Sherlock con sufficienza “come altro avrebbe dovuto comportarsi? Ammetto che Mycroft ha da sempre la tendenza ad esagerare, quell’esibizionista pieno di sé”  aggiunse sorridendo, visibilmente soddisfatto dall’aver appena insultato il fratello “ma non capisco perché il suo comportamento ti abbia sorpreso tanto”
John scosse il capo, tra l’esasperato e il divertito “Lascia perdere, Sherlock” ridacchiò, riuscendo a strappare un sorrisetto anche all’amico.
“Tra l’altro, John…” Sherlock si bloccò, interrotto da una voce gelida che lo fece sobbalzare.
“Tu sei Sherlock Holmes”                                     
I due ragazzi trasalirono contemporaneamente, spostando lo sguardo verso la fonte del suono ed accorgendosi solo in quel momento di una ragazzina di Tassorosso che si era avvicinata a loro, osservandoli con serietà.
“Scusa, co…?”
“Tu sei Sherlock Holmes” ripetè la ragazzina, ignorando John, gli occhi fissi su Sherlock, che scannerizzò la ragazza da capo a piedi, visibilmente interessato.
“Sì” rispose semplicemente, sistemandosi sulla schiena “e tu chi sei?”
“Questo non posso ancora dirtelo” rispose la ragazzina, mantenendo un tono apatico che a John mise i brividi; gli sembrava di aver davanti una bambola parlante.
“Vuoi giocare con me, Sherlock Holmes?”
Sherlock scattò sulla sedia, sporgendosi in avanti con il busto per osservare meglio la ragazzina “Non se prima non mi dici che sei” ribattè tranquillamente.
“Non se prima accetti di giocare con me” replicò allora lei.
John la osservò confuso “Cos…?” iniziò, ma Sherlock lo zittì velocemente, rivolgendogli un veloce sguardo eloquente; John riportò la propria attenzione sulla bambina e solo allora si rese conto che qualcosa non quadrava.
Nonostante la Tassorosso parlasse con voce pacate e priva di ogni emozione, il corpo era innaturalmente rigido e le mani le tremavano furiosamente, inoltre i suoi occhi, che per nemmeno un istante si erano slacciati di quelli di Sherlock, erano sgranati dalla paura e dall’ansia.
“Va bene” esclamò allora Sherlock “dimmi a cosa vuoi giocare” acconsentì e John vide la ragazzina trattenere a stento un sospiro di sollievo.
“Ho un semplice enigma per te” esclamò e poi aggiunse, invitata da un cenno di Sherlock “dove i tre troll ballano, è lì che ti devi recare, ma ricorda che se sai devi solo chiedere, ma se chiedi non lo saprai mai”
Sherlock rimase in silenzio, le mani giunte davanti alle labbra e lo sguardo puntato in quello terrorizzato della ragazza “Quando possiamo incontrarci?” domandò infine.
“Prima devi vincere il gioco” replicò lei, prima di voltarsi e allontanarsi a passi tremanti verso l’uscita.
John rimase ad osservarla esterrefatto e incredulo e solo quando Sherlock si alzò in piedi, sbattendo nervosamente le mani sul tavolo, si riprese.
“Cos’è appena successo?” domandò confuso, seguendo Sherlock verso l’ingresso.
“Un enigma, John” rispose seriamente il Serpeverde, dirigendosi a passo di marcia verso le scale.
“Questo l’avevo capito” ribattè il Grifondoro, con il fiato già corto per la fatica di star dietro a Sherlock e alle sue gambe chilometriche “ma chi era quella bambina?”
“Nessuno di rilevante”
“Nessuno di rilevante? Cosa dovrebbe significare?”
“Perché fai domande tanto stupide, John?!” sbottò Sherlock infastidito, arrestandosi di colpo per osservare l’amico negli occhi “lo hai sentito anche tu, la persona che mi ha invitata a giocare vuole mantenere segreta la propria identità finchè io non vincerò la sfida, quindi, per avanzarmi la sua proposta, si è servita di una ragazza a caso, probabilmente una facilmente ricattabile, considerando quanto era spaventata” aggiunse, prima di ricominciare a marciare.
“Ma perché fare una cosa del genere?”
“Per noia”
“Noia?” soffiò incredulo John “ed ora dove stiamo andando?”chiese ancora, rendendosi conto che non avrebbe ottenuto ulteriori chiarificazioni riguardo al misterioso interlocutore.
“Dove sono raffigurati degli troll che danzano?”
“Parli dell’arazzo di Barnaba il babbeo, al terzo piano?” tentò John, ricevendo in risposta un sorriso soddisfatto da Sherlock.
 
Raggiunsero il terzo piano a tempo da record, trovandolo fortunatamente deserto; Sherlock si bloccò al centro del corridoio, lo sguardo puntato sul muro vuoto davanti a sé.
“È qui!” esclamò soddisfatto, indicando a John un punto imprecisato sulla parete; John si avvicinò di un passo, socchiudendo gli occhi per osservare meglio.
“Cosa di preciso? Io non vedo niente” ammise, facendo vagare lo sguardo “cosa stiamo cercando?”
“Non ne ho idea” rispose Sherlock, con tono assorto.
“Ma allora come possiamo trovarlo?” chiese ancora John, venendo tuttavia ignorato dall’amico, che restò immobile a riflettere.
Sherlock rimase a contemplare il muro bianco che gli stava di fronte per un tempo esageratamente lungo, mentre John, alle sue spalle, si era lasciato scivolare a terra; lo osservò riflettere e parlottare tra sé, farsi avanti per tastare con mano la parete nuda, sussurrare alcuni incantesimi a fior di labbra e poi risistemarsi al punto di partenza, ricominciando tutto da capo.
Fu in quel momento che John si rese conto che finchè Sherlock non avesse trovato ciò che stava cercando, sarebbero rimasti in quel corridoio vuoto.
“Sherlock, qui non c’è niente” esclamò insofferente, stanco di sprecare il suo tempo libero fissando una parete chiaramente liscia “probabilmente era solo uno stupido scherzo” aggiunse, cercando di far ragionare l’amico, che tuttavia si limitò a zittirlo con un cenno infastidito della mano.
“Ne dubito” sibilò leggermente, continuando il suo studio.
“E va bene, ma allora come puoi essere certo che sia questo il posto? Io vedo solo una parete vuota…”
“John, è questo il posto” ribadì “quale altra opera conosci che ritrae troll che imparano a ballare?” chiese con sufficienza.
John sbuffò irritato, voltandosi verso il vasto arazzo, osservandolo con attenzione “Comunque gli orchi sono cinque, non tre” bisbigliò tra sé, indispettito.
Per la prima volta da quando erano lì, Sherlock distolse lo sguardo dal muro, per puntarlo su John
“Cosa hai detto?” domandò con urgenza, una nota eccitata nella voce.
“Emh, la ragazzina aveva detto che tre orchi stavano ballando, ma sull’arazzo ce ne sono cinque” balbettò con incertezza, restando allibito davanti allo sguardo di pura gioia ed orgoglio di Sherlock, che velocemente si voltò verso l’arazzo.
“Ma certo, Jawn!” esclamò “come ho potuto non capirlo?!”
“Emh, capire cosa?” s’informò John, spostando lo sguardo tra i troll e Sherlock.
“Se sai devi solo chiedere, ma se chiedi non lo saprai mai” ripetè Sherlock “devo solo chiederlo e devo chiederlo per tre volte”
“Chiedere cosa?”
“Ciò che mi serve per risolvere l’enigma” esclamò Sherlock, ma John percepì una nota di incertezza nella voce.
“E cosa ti serve?” domandò ancora John, cautamente.
“Solo un indizio” rispose il Serpeverde senza nemmeno riflettere “un indizio” ripetè poi tra sé.
“Voglio un indizio per vincere il gioco!” tuonò all’improvviso, con voce squillante, facendo sobbalzare il Grifondoro “Voglio un indizio per vincere il gioco! Voglio un indizio per vincere il gioco!”
ripetè, per poi zittirsi, attendendo che l’eco della propria voce si spegnesse, restando immobile a fissare la superficie ancora candida e vuota del muro.
“Dannazione!” si lamentò Sherlock, passandosi nervosamente una mano sopra gli occhi “evidentemente non è questo il modo”
“Forse hai chiesto la cosa sbagliata” suggerì John incerto, facendo scattare Sherlock, che iniziò a camminare nervosamente lungo il corridoio, su di una retta immaginaria, le mani ancora giunte sotto il mento e gli occhi persi nel vuoto.
Fu quando Sherlock passò per la terza volta davanti alla parete, che John si accorse della porta di legno scuro che si era appena materializzata sul muro prima spoglio.
“Sherlock!” esclamò eccitato, puntando l’indice davanti a sé “guarda!”
Sherlock arrestò la marcia, rivolgendo uno sguardo veloce a John, che esaltato e incredulo indicava la porta appena apparsa; si avvicinarono velocemente, studiandola per qualche secondo con attenzione, prima che Sherlock si decidesse a toccarla; fece scorrere sul legno lucido il dorso della mano, quasi a volersi accertare della sua concreta presenza. Attese ancora qualche secondo, prima di spostare la mano sulla maniglia d’orata, rivolgendo poi uno sguardo eloquente a John, che si trovò ad annuire.
Sherlock abbassò la maniglia e aprì lentamente la porta.
 
 La stanza che i due ragazzi si trovarono davanti era ampia quanto la Sala Grande, le pareti, il pavimento e il soffitto erano completamente bianchi e la camera era totalmente vuota, fatta eccezione per un mantello, gettato al centro.
John e Sherlock gli si avvicinarono con cautela, mentre la porta si richiudeva con un tonfo alle loro spalle, gettando diversi sguardi anche al resto della stanza, per accertarsi non essersi lasciati sfuggire nulla.
Sherlock si chinò davanti al mantello, osservandolo con attenzione da più angolazioni, mentre John rimase ad alcuni passi da lui, in attesa.
Vide Sherlock affondare una mano nella stoffa nera, per poi rimettersi in piedi, sollevando davanti a sé il mantello.
“Considerando l’altezza appartiene ad uno studente del primo o del secondo anno” esclamò, rigirandoselo tra le mani “lo stemma è di Serpeverde e probabilmente apparteneva ad una ragazza”
“Come lo sai?” domandò John con filo di voce.
“Ha applicato dentro il colletto alcune spille a forma di cuore, forse il regalo di un ragazzo” spiegò Sherlock “è in ottime condizioni, presumibilmente appena acquistato, di certo non è di seconda mano, la stoffa è di prima qualità e all’interno sono state ricamate le iniziali, L.T., le tasche sono vuote, ma nelle tasche interne ci sono alcuni residui di quelle che sembrerebbero foglie secche” continuò, osservando concentrato la polvere verdastra che teneva in mano, prima di portarsele accanto al viso per sentirne l’odore.
“Riesci a capire a che pianta appartengono?” chiese John, avvicinandosi al ragazzo di qualche passo, per osservare a sua volta i resti.
“A prima vista è impossibile affermarlo con certezza” sussurrò Sherlock, mostrandole all’amico “ma l’odore mi è familiare” aggiunse, invitando John ad annusarle.
“Sembrerebbe erba fondente” osservò John, allontanandosi di un passo, mentre Sherlock tornava a sentirne l’odore “vengono usate per la preparazione della pozione polisucco” aggiunse.
Sherlock sgranò gli occhi all’improvviso, rivolgendo a John uno sguardo eccitato “Ma certo!” esclamò allegramente, stringendo con maggior forza il mantello tra le mani “ricordi cosa stava dicendo la professoressa Price alcune settimane fa, a lezione?”
“Io…” iniziò John titubante, venendo tuttavia interrotto nuovamente da Sherlock, che si affrettò a darsi una risposta.
“Si lamentava perché le lumache avevano divorato le foglie di alcune piante di erba fondente, lasciandole letteralmente spoglie!”
“Credi che invece sia stata la proprietaria di questo mantello a rubarle?” domandò John, mentre Sherlock annuiva soddisfatto “ma come possiamo trovarla? Ci saranno decine di studentesse con le iniziale L.T. a Serpeverde”
“Solamente nove che frequentano i primi due anni, di cui solo quattro con capelli lunghi e bruni” aggiunse, mostrando a John un capello che si era incastrato tra la stoffa del colletto “e solo una abbastanza intelligente da potersi applicare nella preparazione una pozione tanto complessa come la pozione polisucco”
“Sei certo che debba preparare proprio quella pozione? L’erba fondente è usata anche per altri composti”
“Nessuno dei quali illegali” ribattè prontamente Sherlock “se avesse deciso di preparare qualcosa d’altro non sarebbe stata costretta a rubare le foglie, avrebbe potuto semplicemente chiederle alla professoressa Price, evitando rischi inutili”
“Chi stiamo cercando?” chiese allora John, lo sguardo meravigliato.
“Layla Turner”
“Fantastico” bisbigliò questo, come sempre troppo sorpreso dalle doti dell’amico per nascondere l’ammirazione che provava e Sherlock e il suo ego, ne parvero visibilmente soddisfatti.
“Forza John” esclamò Sherlock, avviandosi verso la porta “dobbiamo andare immediatamente a parlare con il preside, per avvisarlo delle attività illegali con cui una sua allieva trascorre il tempo libero”
“La vuoi denunciare?” balbettò allibito John, tornando velocemente alla realtà “non hai prove per farlo, Sherlock! Le tue deduzioni non basteranno per far espellere una studentessa!”
“Non mi limiterò ad esporre ciò che ho scoperto, John, ma coglieremo la ragazza con le mani nel sacco!”
“Come pensi di farlo?”
“Ci vogliono circa due mesi per preparare la pozione polisucco e le foglie sono state rubate solo sette settimane fa, quindi la ragazza deve essere ancora impegnata nella sua preparazione”
“Ma come faremo a trovarla?”
“Sta utilizzando un’aula vuota dei sotterranei” spiegò Sherlock “ho percepito più volte uno strano odore dolciastro provenire da quella classe, ma quando ho cercato di entrare l’ho trovata sigillata con potenti incantesimi di protezione. È il posto migliore dove sistemarsi, si trova vicino ai nostri dormitori, così da consentirle di sgattaiolare al suo interno quando preferisce e può restarci anche la sera fino a tardi, riuscendo poi così a tornare a letto senza il pericolo di farsi scoprire in giro per la scuola” spiegò velocemente, continuando a camminare a passo di marcia verso lo studio del preside “sicuramente ci andrà anche questa sera, dopo cena; è la nostra occasione per mettere fine a questo gioco!”
Ovviamente Sherlock aveva ragione su ogni cosa. Dopo cena lui, John e il preside si recarono nella classe che aveva indicato e vi trovarono Layla Turner, brillante studentessa del secondo anno, intenta a controllare la pozione polisucco che stava preparando illegalmente e che le costò l’espulsione dalla scuola.
 
Per il resto della serata Sherlock non venne avvicinato da nessun altro studente, così si limitò a trascinarsi per i corridoi in uno stato di nervosa eccitazione, seguito da John che cercava di farlo calmare e di convincerlo ad andare a dormire almeno per qualche ora.
“Ma come posso dormire, Jawn?” esclamò Sherlock incredulo, osservando John con la stessa espressione con cui si guarderebbe un pazzo “come posso perdere tempo con cose futili come il sonno, quando finalmente c’è qualcosa di divertente da fare?”
“Sherlock, quello che sta succedendo è tutto fuorché divertente” intervenne John seccato “qui qualcuno se la sta spassando a danno di altri studenti”
“Per questo io non posso far nulla” ribattè Sherlock “l’unica cosa che mi è concessa è continuare a risolvere gli enigmi che mi vengono presentati, così da poter finalmente scoprire chi c’è dietro”
“Potresti almeno fingere che tutto questo non ti renda tanto entusiasta” ribattè John con durezza, ricevendo uno sguardo annoiato da Sherlock.
“John avanti, mi conosci! Non posso fare finta che la cosa non mi diverta, quando si tratta senza ombra di dubbio dell’evento più intrigante che sia successo quest’anno!”
“Intrigante” soffiò John incredulo “Sherlock, non è intrigante!” urlò, infuocandosi con le parole dell’amico “una studentessa è stata espulsa per far divertire il tuo amichetto, come puoi non esserne…” John s’interruppe, lasciando la frase in sospeso.
“Cosa dovrei fare, John? Lasciar perdere tutto perché non è morale?” domandò sarcastico, ricevendo in risposta lo sbuffo spazientito di John.
“Non ho detto questo, solo… solo fingi almeno di non essere felice per un avvenimento così disgustoso
“La vita è piena di fatti disgustosi, John, non ci è possibile piangere per ognuno di essi” minimizzò Sherlock, facendo sospirare l’amico per l’ennesima volta.
**“Ci sono delle vite in gioco, Sherlock! Vite di gente reale! Tanto per sapere, ti importa vagamente?”
“Preoccuparmene mi aiuterà a salvarle?”
“No”
“E allora continuerò a non commettere quell’errore”**
“Non ti tocca minimamente, non è vero?” domandò John con voce rattristata, osservando Sherlock con aria tanto delusa da far quasi male “non ti importa sul serio delle sorti delle altre persone, non ti disturba che alcune di loro stanno per vedere la propria vita venir distrutta da un pazzo solo per permettergli di combattere la noia”
Sherlock lo trafisse con lo sguardo, severo “Ti ho deluso” constatò pacatamente “il che è strano, dal momento che sai benissimo come sono fatto” aggiunse risentito, osservando John stropicciarsi gli occhi con aria esausta “Non ti illudere, John, gli eroi non esistono e se esisterebbero io non sarei uno di loro”**
“Hai ragione, però…”
“Però cosa, John? Speravi che sarei cambiato, che sarei diventato una persona dolce e sensibile, pronta a sacrificarsi per gli altri e per il mondo, decisa a farsi guidare dall’amore e dalle emozioni, magari grazie alla tua influenza?” lo canzonò sarcastico, imprimendo nella voce più asprezza di quanto avrebbe voluto.
John scosse leggermente il capo, stringendosi nelle spalle “Speravo solo, credevo che tu in fondo fossi in grado di provare emozioni, nonostante la tua evidente incapacità di esternarle, perché, la verità è che…”
“Tutto questo è ridicolo!” sbuffò Sherlock, interrompendolo.
“La verità è” proseguì John a voce alta, sovrastando il borbottio di Sherlock “che mi sarebbe piaciuto pensare che dopo tutto io per te contassi davvero qualcosa” ammise con voce triste, evitando di guardare Sherlock, che sospirò stizzito, spostando lo sguardo verso il muro del corridoio “io invece sono solo uno  fra tanti, solo il primo stupido che hai trovato che ha accettato di seguirti, non abbastanza intelligente per essere considerato davvero importante da te, non sufficientemente interessante per risultare insostituibile. Se fossi io a venir espulso o  a dover essere sacrificato per uno di questi stupidi enigmi a te non importerebbe nulla, ti limiteresti a portare a termine le indagini, rimpiazzandomi subito dopo come si farebbe con un giocattolo usato” la voce di John si era spezzata, lo sguardo era triste come lo era stato poche volte “e lo so che è un pensiero egoista, ma fa davvero male, Sherlock” John sospirò, voltandosi finalmente ad osservare il Serpeverde, che fissava ostinatamente il muro davanti a sé, in silenzio, la mascella contratta e lo sguardo assorto.
“Ma è un problema mio e me ne rendo conto” proseguì John, cercando di mostrarsi fermo e sicuro, nonostante la consapevolezza di avere gli occhi innaturalmente lucidi e la voce incredibilmente incrinata “tu non hai mai cercato di farmi credere il contrario, è stato solo un mio errore quello di…”  una nuova pausa; possibile che quella sera terminare un discorso gli risultasse tanto difficile? “quello di credere in te, di credere che anche tu potessi riuscire ad amare, ad essere… umano” concluse.
Immediatamente un silenzio soffocante calò sui due ragazzi, danneggiando ulteriormente quella situazione già di per sé delicata.
John attese pazientemente una qualsiasi risposta da parte di Sherlock, anche solo un cenno del capo che gli confermasse che in effetti lo aveva sentito,  lo aveva ascoltato, ma quando si rese conto che il ragazzo non avrebbe fatto altro che restarsene in silenzio a fissare il muro davanti a sé, decise di tornarsene al proprio dormitorio.
Si allontanò con passi pesanti lungo il corridoio, senza aggiungere una sola parola e senza voltarsi indietro; aveva bisogno di restarsene un po’ per conto suo a riflettere.
Sherlock staccò lo sguardo dalla crepa che aveva analizzato con tanta cura fino a quel momento, non appena percepì John allontanarsi e velocemente si rivolse verso di lui; osservò la schiena rigida piegata in avanti, la testa bassa, le mani affondate dentro le tasche della divisa e il passo strascicato, rendendosi conto di aver appena deluso e ferito l’unica persona che per lui era davvero importante, l’unica che aveva creduto di poter trovare un cuore in una creatura fredda e malsana come lui, regalandogli affetto gratuito, deciso a far sentire amato anche un essere selvatico e solitario come Sherlock Holmes, senza mai pretendere ed ottenere nulla in cambio, se non sofferenze e dolore.
E osservando John sparire dietro l’angolo, Sherlock si disse che probabilmente l’amico si era davvero sbagliato, perché per riuscire a ferire così in profondità una persona tanto buona e amorevole come John Watson, quando sarebbe bastata una sola parola o un solo gesto per impedirlo, era davvero necessario essere privi di cuore.
Ma allora, come era possibile riuscire a provare un dolore così forte, solo vedendo la sofferenza in John? Come poteva sentire un tale senso di abbandono e di solitudine? Perché ne soffriva tanto?
Possibile che l’amicizia di John lo avesse coinvolto così nel profondo, in modo così naturale?
Tuttavia era consapevole che presto o tardi tutte quelle crepe che continuava ad infliggere nel loro rapporto si sarebbero allargate, sgretolandolo definitivamente. L’unica domanda da porsi era tra quanto tempo sarebbe accaduto.
 
Note finali:
*Omaggio a “Guida galattica per gli autostoppisti”; sarebbe troppo lunga da spiegare, il succo del discorso è che non c’è altro oggetto che possa esservi utile come un asciugamano! Potrebbe salvarvi la vita in ogni momento!u.u
**Citazioni da “Il grande gioco”
 
Eccoci alla fine! Come sempre, se tutto va bene giovedì pubblicherò il seguito! Un altro bacio, Becki.
  
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