I personaggi non mi appartengono.
La scena si colloca nel volume 8, dopo che Rivaille ed Eren sono rientrati
dallo scontro con il gigante femmina.
Avevo voglia di scrivere su Petra, ma non so muovere le donne come lei e ho detto
“ok, facciamo dal punto di vista di Rivaille”.
Ma Petra è un personaggio così bello che ovviamente non mi piacerà mai quello che scrivo su di lei 3
Senza che se ne accorga, un dito tamburella sul tavolo
in legno, in un tic nervoso che non gli è mai appartenuto tanto da essere un’abitudine.
Lo sguardo è fisso sulla superficie consunta da mani e oggetti posati senza attenzione,
a volte troppo di fretta per potersene occupare; pulita, però.
Lo rendono meno desolato tre oggetti: una lampada ad olio al centro, un vassoio
che ospita ancora la teiera, e due tazzine compresa la sua.
Rivaille siede scomposto: le gambe, anziché sotto il tavolo, si allungano lateralmente
e dà il fianco al bordo di legno. Dal viso non trapela nulla – solo un misto di
impazienza e seccatura, niente di diverso dal solito in realtà.
Jaeger, seduto al suo stesso tavolo, è in silenzio da
un po’ e quello è ben strano, visto quanto logorroico sa essere quando vuole;
può indovinare cosa gli si agita dentro, con un po’ di ingegno, non tanto per
una spiccata sensibilità né per empatia. Semplicemente ci sono persone che sono
poco adatte alla guerra.
Non tanto in termini di forza, velocità, capacità di combattimento; nemmeno di
mentalità, quella si plasma, in un soldato – e se non lo fa un superiore lo fa
il tempo, lo fa la morte o peggio ancora la paura.
Lo sa perché l’unica che ora saprebbe rivolgere a Eren la gentilezza dovuta ad uno
come Jager non c’è; di lei non è rimasto niente: non
l’eco della voce che rimproverava Aruo, non la mela
che di nascosto – di ritorno dal procurarsi rifornimenti per tutti – dava ad
Eren con un modo di viziarlo tutto suo, non il modo in cui la sua mano tremava
leggermente nel prepararsi a combattere, non importava quante volte la
impugnasse.
Di lei non è rimasto lo sguardo accondiscendente che rivolgeva in risposta al
suo evidente pessimo carattere. Non c’è, da nessuna parte, un corpo da
piangere.
Non c’è un ultimo guardarsi negli occhi, non c’è il ricordo di parole
pronunciate in punto di morte, non c’è alcun formicolio in memoria di una mano
stretta nella propria; non c’è la sensazione dell’ultimo respiro che scivola
fra le labbra.
Lui ha rivolto gesti del genere a molti dei suoi sottoposti, ma non alla sua
squadra.
Non a Petra, che rispettava come soldato proprio perché in fondo non aveva un
animo abbastanza crudele per essere davvero tale. O per essere simile a lui.
Jaeger guarda il tavolo, e ci scommette Rivaille a
cosa pensa, se solo lui fosse diverso – se molte cose lo fossero – gli direbbe
che sì, per la vita di un fottuto ragazzino la sua squadra è andata
completamente a puttane e che l’avrà lui il peso di quelle vite sulle spalle.
Ma non è quel tipo di uomo, Rivaille.
Non è quello il tipo di superiore che è stato e che è ancora, tanto che persino
Petra era riuscita a scorgere in lui il barlume di umanità che lo aveva reso
meritevole ai suoi occhi.
Gli resta solo quello, di lei: il poco di umano che ancora ha.