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Autore: TheStoryteller    25/06/2013    4 recensioni
Dieci anni dopo il suo arrivo a Volterra con l'intento di salvare Edward, Bella ha perso ogni memoria del proprio passato e, vampira, è divenuta parte della Guardia dei Volturi. Offuscata da una coltre di menzogne si appresta ad usare i suoi talenti per regalare ai suoi Signori la vittoria di una guerra della quale non conosce davvero le trame, che la condurrà verso i propri ricordi e alla scoperta di una verità antica che sconvolgerà l'intera Corte di Volterra.
"Fuoco ardente che divampa e divora le membra duttili.
Si ciba di sospiri spenti.
Porta con sé ricordi di dolori e gioie, di risa e pianti.
Due occhi amorevoli mi osservano e poi scompaiono nei meandri del sonno eterno.
Chi sei?
La domanda si dissolve nel buio tormentato di una notte senza ritorno"
Genere: Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alice Cullen, Demetri, Edward Cullen, Isabella Swan, Volturi | Coppie: Bella/Edward
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
Capitoli:
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Eccoci al terzo capitolo...
Siamo ancora all'inizio, dunque non vi allarmate per quanto leggerete.
Date tempo al tempo.
A presto,
Thestoryteller
 
Volterra, 16 maggio 2016
Bella
 
 
Fuoco ardente che divampa e divora le membra duttili.
Si ciba di sospiri spenti.
Porta con sé ricordi di dolori e gioie, di risa e pianti.
Due occhi amorevoli mi osservano e poi scompaiono nei meandri del sonno eterno.
Chi sei?
La domanda si dissolve nel buio tormentato di una notte senza ritorno.
Quando aprii gli occhi la luna era ancora alta nel cielo. La sua luce candida e pura penetrava dalla finestra spalancata e illuminava la stanza, riflessa nella seta candida delle lenzuola. I tendaggi preziosi del letto a baldacchino ondeggiavano silenziosi, proiettando ombre velate sul mobilio antico e ricercato che arredava la camera.  
Confusa, tentai di alzarmi, ma un dolore lancinante e improvviso mi avvolse la testa, serrandomi il respiro e facendomi ricadere all’indietro. Portai istantaneamente entrambe le mani sulle tempie. Era una gestualità puramente umana che non mi avrebbe portato alcun beneficio, ma era così impressa nel mio modo di agire da divenire un qualcosa di automatico.
Avrei desiderato gridare, ma mi trattenni.
Immobile, fui preda di quel tormento per diversi minuti; poi, improvvisamente scomparve, lasciandosi alle spalle soltanto un lieve formicolio su tutta l’area della fronte.
Proruppi in un sospiro.
Era già la terza volta che succedeva quella settimana ed il dolore sembrava aumentare ad ogni ripetizione.
La faccenda mi stava sfuggendo di mano…
Mi alzai da letto, coperta soltanto di un vestito da notte leggero, e raggiunsi il bagno. Riempii le mani di acqua gelida e mi sciacquai il viso, provando immediatamente una sensazione di sollievo. Cosa mi stava succedendo?
Stavo per tornare in camera, ma senza un vero motivo mi soffermai ad osservare la mia immagine riflessa nello specchio.
Pallido e privo di difetti, il mio volto era grazioso e sofisticato come l’opera di un grande artista, immoto e innaturale come soltanto le cose perfette sanno esserlo; soltanto gli occhi grandi e scuri sembravano ispirare un vago senso di vitalità alla mia espressione, niente comunque di paragonabile a qualcosa di umano.
“Tutto bene, ma petite chère?”
Incrociai lo sguardo di Demetri attraverso la superficie riflettente.
“Non proprio” ammisi, dedicandogli un sorriso.
“Ancora quei mal di testa?”
Teneva le braccia incrociate, in una posa che metteva in risalto la muscolatura del collo, lievemente tesa.
Era preoccupato.
“È stato solo un momento. Adesso va meglio”
Gli andai incontro, sforzandomi di assumere un’espressione serena.
L’abito di lino leggero poneva un velo sottile sulla sua corporatura asciutta ma prestante. I capelli dorati appena lavati, ancora bagnati e pettinati indietro, gli conferivano un aspetto raffinato. “Perché non torniamo a letto?” gli sussurrai, con malizia, a fiori di labbra.
I suoi occhi scuri, dalla posa perennemente concentrata, mi osservarono attenti, mostrando una certa reticenza a far cadere l’argomento. “Devi parlarne con Aro”
“Non ancora”
“Bella…”
La condiscendenza nella sua voce, mi spronò a prendere l’iniziativa. Quello sapeva diventare un discorso spinoso... Frenai ogni sua contestazione con un bacio lungo e appassionato. “Dobbiamo proprio discuterne adesso?”
Demetri parve convincersi dell’obiezione e si lasciò condurre in camera da letto, chiudendosi la porta alle spalle.
 
Gli entusiasmi della notte precedente non valsero a dissipare le questioni lasciate irrisolte. La mattina, insieme alle notizie della giornata, portò con sé il riproporsi della discussione sul mio precario stato di salute.
Demetri si era appena alzato e stava velocemente preparandosi per uscire. La divisa scura, dal taglio militare, gli conferiva un’aria affascinante. Il lungo mantello grigio fumo quel giorno sarebbe rimasto nell’armadio: troppo fuori moda per non destare perplessità negli ignari abitanti di Volterra!  
“Tra mezz’ora devo incontrare Marcus” mi informò rapidamente mentre infilava la giacca. “Più tardi, però, ho intenzione di fermarmi a palazzo”
E quindi di chiedere udienza ad Aro, avrebbe dovuto aggiungere. 
Semidistesa, poggiata alla testata del letto, gli riservai uno sguardo deluso. “Vuoi parlargli, non è vero?”
”Dovrei farlo, Bella, dannazione!” rispose, fin troppo bruscamente. “Sono mesi che rimandiamo. E per che cosa? Se esiste un modo per capire cosa ti sta succedendo, lui è sicuramente l’unico ad avere i mezzi per trovarlo! Perché ti ostini a volerglielo tenere nascosto?”
Soltanto in quel momento mi resi conto di quanto era preoccupato e… sconvolto. Fui tentata di corrergli incontro e stringerlo forte tra le braccia, ma mi trattenni, troppo orgogliosa per dargli ragione. “Aro ha ben altri problemi per perdere il suo tempo con simili sciocchezze!” ribattei. “L’offensiva che sta organizzando contro i Clan del Nord…”
Non mi diede neanche modo di finire la frase. “Chi te ne ha parlato?”
“Jane, credo” mi sforzai di ricordare. “Mi ha raccontato che Aro sta valutando di inviare le squadre speciali. È la verità?”
“Non siamo ancora a questo punto. Stiamo valutando altre soluzioni”
“Quali?”
“Non sono questioni che posso discutere con te”
Il tono definitivo con cui rispose valse a fargli guadagnare il mio astio. Era raro che discutessimo, ma ultimamente sembrava non riuscissimo a farne a meno. Da qualche mese Demetri viveva in uno stato di perenne tensione. Vedeva Aro quasi quotidianamente e impegnava la maggior parte del suo tempo in interminabili adunanze delle quali, una volta rientrato, si rifiutava di parlare, trincerandosi dietro lunghi e angustiati silenzi. Stargli vicino era diventato improvvisamente difficile: perdeva la pazienza facilmente e si rifiutava di mettermi a parte delle sue ansie.
Vederlo andar via adirato, però, mi fece quasi pentire del mio comportamento. Forse avrei dovuto essere più comprensiva. In fondo si stava soltanto preoccupando per me…
Stavo quasi per richiamarlo quando, ad un passo dall’uscire dalla porta, si voltò spontaneamente. La linea delle spalle era più rilassata, sebbene lo sguardo rimanesse serio. “Puoi stare tranquilla, non dirò niente…” promise. “Ci vediamo stasera”
Gli sorrisi, senza proferire verbo e attesi che fosse uscito per alzarmi da letto.
Non avevo impegni per quella mattina.
Da quando avevo imparato a padroneggiare il mio dono, gli allenamenti si erano ridotti ad un paio di volte a settimana. Improvvisamente mi ero trovata con una grande quantità di tempo libero. Avevo scoperto qualche nuova passione da aggiungere a quella per la letteratura, che, almeno mi avevano raccontato, mi caratterizzava anche da umana: l’ultima era la musica.
Feci una doccia e, senza curarmi di asciugare capelli, indossai un abito nero corto fino al ginocchio.
Mi spostai nell’anticamera della stanza da letto. Ultimamente era diventata la mia stanza preferita. Al suo centro, un pianoforte a coda nero troneggiava nel candido sfondo di pareti imbiancate. Una grande vetrata consentiva una vista spettacolare sulle campagne senesi.
Mi accomodai sullo sgabello e chiusi gli occhi.
Le note di Claire de lune si diffusero sofisticate nella casa vuota, conferendomi un immediato senso di pace. Padrona nell’esecuzione, lasciai le mani libere di muoversi veloce sui tasti d’avorio, godendo della sensazione di dolcezza e appagamento che quell’arte era solita lasciarmi impressa nella membra. Lasciai la mente vagare, scortata dal suono gentile lasciatoci in eredità da Debussy, quando mi resi conto, improvvisamente, che le mie dita stavano eseguendo una melodia diversa, sconosciuta alle mie orecchie, eppure tanto familiare.
Quelle note, così romantiche e tristi...
Per un momento ebbi l’impressione di poter afferrare un ricordo, l’immagine di un volto che la mia mente non si rassegnava a dimenticare.
Fui colta da una fitta alla testa, ancora più terribile di quella di questa notte. Caddi a terra, incapace di sorreggermi. Agonizzante, distesa sul lucido pavimento di parquet, mi domandai se non avessi commesso un errore nel pregare Demetri di non informare Aro. 
 
Seattle, 16 maggio 2016
Edward
 
“Il comandante informa i signori passeggeri che ha appena avuto inizio la procedura di atterraggio. Raccomandiamo di tornare ai propri posti e allacciare la cintura di sicurezza”.
La lieve accelerazione praticata dai motori decretò il rapido sfumare dell’atmosfera rilassante che aveva caratterizzato l’intera traversata transoceanica. Un fastidioso fruscio metallico andò a sostituirsi al sottofondo ovattato che, complice la durata del viaggio, aveva indotto molti passeggeri al riposo e alla completa assenza di pensieri. L’eco di un centinaio di riflessioni, generalmente affannate dal controllato calare di quota del velivolo, mi affollò la mente, ponendo fine anche al mio riposo.
Confondendomi alla massa, mi agganciai le cinture di sicurezza, guadagnandomi il sorriso interessato dell’operatrice di volo. Chiusi gli occhi, muovendomi un po’, giusto per mimare la giusta dose di agitazione.
Nel giro di pochi secondi ognuno sarebbe stato al proprio posto, troppo concentrato ad augurarsi il buon esito dell’atterraggio per far caso alla mia immobilità.
Nel sottofondo di una moltitudine di affanni, mi trovai a chiedermi cosa avrei dovuto aspettarmi, una volta a terra.
Erano più di sette anni che non tornavo a Forks.
Sette anni da quando avevo scoperto la verità su quanto era avvenuto a Volterra.
Sette anni da quando avevo semplicemente cessato di avere una famiglia.
Le grida disperate di Alice, le sue insulse giustificazioni mi riempivano ancora le orecchie come un suono stridulo e fastidioso. Tutti avevano assunto le sue difese, considerando ragionevole il movente sconsiderato delle sue azioni. Lo stesso Carlisle mi aveva esortato a valutare più razionalmente la situazione.
Traditori.
Quel giorno avevo ripromesso a me stesso che non sarei tornato mai più a casa e avrei tenuto fede alla mia parola se le contingenze non avesse richiesto inesorabilmente il mio rientro in patria.  
Fin in Europa si vociferava che Carlisle aveva compiuto una mirabile opera di sensibilizzazione riguardo le forme alternative di alimentazione, dando luogo ad una corposa serie di legami influenti, potenzialmente utili alla mia causa. Potenziali soldati, immortali dalle grandiose abilità, avrebbero potuto trovare profittevole combattere il dominio assoluto dei loro tiranni sanguinari, sostenitori della superiorità della razza vampira su quella umana e protettori dei benefici che da questa conseguono. Dovevo soltanto convincerli all’insurrezione…
Si, ma come?
Non sarebbe stato semplice…
Carlisle non avrebbe capito, ne ero certo.
Eppure era mio compito tentare.
Non appena il carrello dell’aereo si poggiò sulla pista in un tonfo, un familiare flusso di pensieri mi penetrò agile le membra.
Mi stavano aspettando. 
   
 
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