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Autore: Aprilia    26/06/2013    2 recensioni
Se grazie a uno 'stupido corso scolastico sulla comunicazione' una ragazza potesse aprirsi e perdere la sua timidiezza? Se il ragazzo più espansivo e aperto della scuola, che deve recuperare crediti scolastici, si iscrivesse a queste corso? Si formerà un disastro?
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 8

Aprilia Pov

Mercoledì 20 febbraio 2013

Ore 16.30

I miei occhi erano fissi su quelli di Matt. No aspetta, dovevo mantenere quel sottile legame che c’è un professore e la sua alunna: I miei occhi erano fissi in quelli del mio professore… anche se a questo punto sembrava che chiamarlo ‘professore’ equivaleva a far finta che tutto ciò non sia mai successo.
Mi aveva baciata era ancora un dannato professore di uno stupido corso sull‘autostima. I brividi mi correvano lungo la schiena. Tutto questo, a quasi 17 anni suonati, mi era sconosciuto. Forse come verità era scomoda ma non potevo negarlo.
Accindenti! Era tutto così complicato.
Aspettava che parlassi, e lo aspettavo anch’io. La mia mente era in stand-by, non capivo se fosse un altro sogno oppure uno scherzo. Io sono sempre stata innamorata di Josh. Anche se ora, confesso a me stessa di non sapere niente di quello che provo: mi fa paura, ora.
Non sapevo cosa volevo da me, dagli altri o persino da qualche assurda forza soprannaturale o divina.
Le sue parole continuavano a girarmi nella testa, percorrendone ogni millimetro quadrato.

‘Prima, parlavo da solo, perché volevo dirti che le cose belle non si tengono nascoste nella testa o nel cuore. Tu sei una cosa bella, vorrei che fosse la mia cosa bella.’

Perché lui voleva fossi sua?
Perché a me questa idea trasmetteva sicurezza?
Perché mi sarebbe piaciuto essere sua?

D’istinto, ripensando a quelle parole, abbassai la testa e strinsi gli occhi. Un caldo piacevole si divulgava nello stomaco e io invece cercavo di trovare una risposta a quella… dichiarazione? Oppure cercavo solo di scordare. Scordare era la cosa migliore. E lui lo sapeva.

Sentì uno spostamento d’aria leggero, ma palpabile in quel silenzio da film dell’orrore. Alzai lo sguardo e Matt era sparito, in seguito il rumore di una sedia che si chiude, di una porta che si apre e si chiude.
Era sola.
Una cucina. Due bagni. Un salotto. Due stanza da letto e una per gli ospiti, immerse nel silenzio totale. Cercai un qualche genere d’appiglio, dimenticando persino che avevo lasciato la porta del bagno aperta. Mi appoggiai sul muro, mi sentivo svenire. Non smettevo di sentirmi quel calore addosso: come se mi investisse. Rimasi ferma immobile, per quelle che mi sembravano ore e ore. Ero rimasta ferma e immobile per qualche minuto.
Decisi di fare quello che andava fatto, mi incappottai alla meno peggio per sbrigarmi, presi le chiavi e aprii la porta e mentre cercavo di attaccare i primi bottoni del cappotto, per non prendere troppo freddo, mi ritrovai sul pianerottolo ad attendere l’ascensore.
Stavo agendo d’impulso e dovevo farlo, solo questa volta.

Il mio piede picchiettava nervoso sul pavimento del pianerottolo dalle piastrelle giallastre, colore che continua a darmi sui nervi dal giorno nel quale ci siamo trasferiti e che ora mi da fastidio come non mai.
Troppo spento, troppo morto.
L’ascensore suona, segnale che è arrivato al mio piano e che posso aprirlo.
Devo raggiungere Matt.
Non posso lasciarlo.

Apro la porta di quel claustrofobico ascensore, ritrovandomi, con la fronte appoggiata allo specchio dell’ascensore, il motivo di tutta quella fretta. Entro in quel cubicolo e, accorgendosi di me, mi guarda quasi sbalordito. Non so perché ma istintivamente lo abbraccio. Con la faccia premuta sulla sua giacca comincio a parlare, titubante, con l’ascensore fermo.
‘Non volevo… non voglio c..che tu pensi che ora ti odi, che abbia paura di te o… che non mi sia piaciuto.’
Lo ammetto a me stessa. Mi è piaciuto. Per la prima penso a qualcosa di simile e anche se mi vergogno un po’, so che mi è piaciuto da morire.
Sento il corpo caldo, il respiro che cerca di mantenere costante e i battiti corti e forti. Sorrido perché anch’io mi sento così e anche se non dice una parola, le sue braccia lunghe che ricambiano il mio abbraccio dicono tutto. Mi stacco dal suo petto e continuo a parlare anche se comincio ad avere caldo anch’io e non lo fisso negli occhi.

‘Matt, io…- mi fermo e prendo fiato - cr…credo che tu… tu mi piaccia…’
Ecco l’ho detto, ho svuotato il sacco.
‘Aprilia…’ non voglio farlo finire, ho bisogno di dire le cose per bene.
Basta: lo guardo negli occhi. ‘Matt… voglio essere la tua cosa bella.’
Arrossisco. Piango. Lo abbraccio. Lui mi bacia la fronte, accarezzandomi i capelli che il cappello non copriva. Succede tutto in una frazione di secondo. Tutto si rischiara e continua a fare sempre più caldo, l’abbraccio continua e Matt si stacca da me, avvicinandosi alle mia labbra. Se potessi misurarmi la pressione sarebbe alle stelle, ma piuttosto che andare all’ospedale resterei qui. Mentre penso a questa piccola assurdità sento delle labbra che sfiorano le mie e un rumore assordante che ci prende di sorpresa, facendoci allontanare l’un l’altro. L’ascensore sta iniziando a scendere, qualcuno deve averla chiamata.
Un po’ imbarazzata mi scosto leggermente indietro. Non vorrei ma ho ancora ‘paura’, credo.
Per lui sono un libro aperto: mi capisce e mi sorride come un amico, un fratello e nulla più.

L’ascensore arriva a piano terra e la porta si apre. Tra tanti volti, avrei voluto vedere tutte le persone del mondo, ma lui. Oh, lui no: Josh.

Mi sorrise come solo lui sa fare, con quell’accenno di malvagità e forse perversità. Che anche per un liceale è troppa.
‘Oh, ciao nuova vicina. Come va? Fai ripetizioni?’
A quelle parole, avrei voluto fare qualsiasi cosa che implicasse la mia scomparsa dalla faccia della terra.
Nuova vicina.

  
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