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Autore: Alaire94    26/06/2013    1 recensioni
Avete mai pensato a una vita senza emozioni? A come sarebbe se il cuore non battesse più e non foste più di un involucro freddo e apatico? Lottereste per conservare quel piccolo frammento di umanità rimasto in voi o vi abbandonereste alla sorte?
Cercheranno di farti credere che la loro è una giusta causa, ti prometteranno ignobili punizioni, ma non sempre ciò che luccica è oro e non sempre nel buio c'è il male. Benvenuti a Edentia, nel paradiso che forse paradiso non è.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4

Di nuovo sulla Terra

 

Camminavo di nuovo lungo una stradina, di quelle asfaltate e non l'inutile ghiaino a cui mi ero abituata negli ultimi tempi.

Abitazioni antiche, costruite le une vicine alle altre come vecchie amiche che non volevano separarsi, fiancheggiavano la strada, facendomi sentire proiettata in un altro tempo e in un'altra realtà.

In vita avevo abitato in una grande città, Roma, dove era difficile incontrare vie strette e tranquille come quella in cui stavo camminando. Lì c'erano larghe strade trafficate, l'aria era impregnata dello smog, le orecchie sempre oppresse da rumori. A Roma c'era tutto: vitalità, maestosità, persone importanti. L'unica cosa che mancava era la calma, quella sensazione di benessere interiore che ti fa procedere con le mani nelle tasche, respirando a pieni polmoni, con l'idea di non avere fretta.

Lì dove mi ero ritrovata c'era poco o nulla di quello che possedeva Roma. Ferrara era una piccola città senza pretese: non c'erano persone importanti, non c'era vitalità se non nei periodi di turismo. In compenso c'era pace, una pace davvero ristoratrice. Nell'aria percepivo il sapore dell'antichità, il conforto di una casa, una leggera punta di mistero data da quei vicoli oscuri e umidi in cui mi ero ritrovata.

Era da qualche giorno che girovagavo per la città, alla ricerca di una certa Milena Ricchi, colei che avrebbe dovuto diventare la mia protetta.

Negli ultimi tempi che avevo trascorso a Edentia, prima di ritornare sulla Terra, avevo imparato a usare i miei poteri: invisibilità, scudi protettivi, teletrasporto, telecinesi.

Nel tempo che avevo passato lì, avevo cercato di essere il più ubbidiente possibile, perfino avevo cominciato a controllare le emozioni, sapendo che con più mi sarei impegnata, con prima sarei tornata sulla Terra.

Ero entusiasta, almeno finché non ritornai e misi davvero di nuovo piede fra la gente. Fu allora che mi accorsi davvero di quanto fossi cambiata rispetto alle persone che camminavano per le strade, che facevano azioni normali e quotidiane come guardare l'orologio da polso o parlottare tranquillamente. Loro avevano mille espressioni diverse: una per il compiacimento, per la rabbia, per l'impazienza, per la felicità...

Avevano mille sorrisi. Quei sorrisi che fino alla mia morte non facevo che collezionare, che mi facevano sentire felice e realizzata, che mi davano un motivo per vivere.

Io mi accorsi di non avere più niente di tutto ciò. La mia pelle era fredda, i miei capelli stavano sbiancando, il mio cuore si stava lentamente ricoprendo di una patina dura che prima o poi nemmeno un martello sarebbe riuscito a scalfire. E la cosa peggiore era che non potevo fare più nulla: era la mia natura, la mia orrenda, inespressiva e apatica natura.

Nonostante quella frustrazione che cercava di penetrare nel mio cuore, ma che inconsciamente reprimevo, mi misi subito al lavoro.

Così, proprio in quel momento, mi stavo dirigendo a casa della mia cara protetta, inoltrandomi nelle vie del centro storico con una cartina in mano: in fondo nemmeno un'Harveil poteva sapere tutto.

Ben presto trovai l'abitazione: era un appartamento al secondo piano di uno di quei palazzi alti che si affacciavano sue vie strette che, da quel che avevo letto sul retro della cartina, anticamente facevano parte del ghetto ebraico.

Ero soddisfatta di aver raggiunto il mio primo obiettivo, ma soltanto dopo qualche secondo, mi accorsi di non avere la minima idea di cosa fare. Come l'avrei approcciata? Cosa le avrei detto? Realizzai con disgusto di non essere più capace di interagire con gli umani, esseri ancora così pieni di vita e di emozioni.

Mentre ero ancora lì, paralizzata davanti al portone, esso si aprì e mi trovai faccia a faccia con una ragazza di circa quindici anni. Aveva l'aria di un'adolescente ribelle, con quell'espressione sprezzante e il piercing al sopracciglio. Portava un abito nero e scollato e, come notai con una certa perplessità, aveva colorato di un verde acceso qualche ciocca dei capelli neri lunghi fino al sedere.

Mi guardò come fossi una svitata scappata dal manicomio. Cosa avevo di strano a parte il colorito cadaverico? E' vero, avevo i capelli bianchi, ma li avevo raccolti e nascosti dentro una cappello.

«Chi stai cercando?», domandò. Il tono era piuttosto aggressivo.

«Una certa Milena Ricchi, la conosci?». Cercai di mostrarmi sicura di me, senza farmi intimidire in alcun modo. Forse se fossi stata ancora umana mi sarei sentita in imbarazzo o irritata, ma quel vuoto apatico che avevo nel petto mi permetteva di controllare la situazione, di essere neutrale. Era questo che intendeva Harry quando aveva detto "al di sopra di ogni passione umana", soltanto così potevo mantenere l'equilibrio.

Sollevò le sopracciglia.«Sono io. Che cosa vuoi?».

Tossicchiai leggermente, avendo la sensazione di somigliare a Harry quando l'avevo incontrato per la prima volta a Edentia.«C'è qualcosa che devi sapere prima che sia troppo tardi. Hai tempo di fare quattro chiacchiere?». Cercai di assumere un tono confidenziale, ma mi riuscì alquanto difficile: quelle che uscirono dalla bocca sembravano le parole che pronuncia un insegnante prima di fare la predica a uno studente.

«Veramente no, stavo uscendo», mi rispose e dalla sua espressione era palese che non le importava un tubo di quello che avevo da dirle. Era comprensibile: quando si è vivi, soprattutto a quella giovane età, si pensa di essere invincibili, di vivere in una piccola sfera indistruttibile che nessun pericolo può sfiorare. Anche io ero così soltanto qualche tempo prima dell'incidente.

Milena stava per passare oltre e avviarsi lungo la stretta via, quando io le afferrai un braccio. Mi fulminò con lo sguardo.«Ma che diavolo vuoi?! Mi hai fatto male!», esclamò, liberandosi dalla stretta e massaggiandosi il braccio; c'erano dei segni rossi sulla sua pelle lì dove le mie dita l'avevano afferrata e io non mi ero assolutamente accorta di aver stretto troppo.

Per un breve momento sentii il senso di colpa oltrepassare la patina dura del mio cuore. Mi ci crogiolai, capendo che da quel momento in avanti tali sensazioni si sarebbero fatte sempre più sporadiche.

«Scusa, mi dispiace», dissi in un sussurro da cui traspariva perfettamente ciò che provavo.

Il vuoto sciolse come acido quell'emozione, scavandosi il consueto posto all'interno di me.«Come ti ho detto, ti devo dire una cosa importante e tu mi devi ascoltare».

Milena attese qualche attimo, tormentando la cerniera della borsa che aveva a tracolla.«Se ti ascolto mi libererò di te?».

Sospirai.«Temo di no, ma ne capirai il motivo solo se mi lascerai parlare».

Esitò ancora, poi, con un movimento brusco estrasse il cellulare dalla tracolla.«Posso almeno fare una telefonata?».

Annuii ed incrociai le braccia al petto, per poi accennare qualche passo mentre Milena avvisava qualcuno che non sarebbe più andata dove doveva andare.

«Ecco, va bene, vieni con me», annunciò una volta aver riattaccato.

La seguii lungo una scala dagli stretti gradini, fiancheggiata da muri macchiati di muffa, fino ad arrivare all'appartamento dove abitava.

Era piccolo e alquanto disordinato: cumuli di vestiti appoggiati sulle sedie della cucina, qualche piatto sporco nel lavello e strati di polvere sui pochi mobili. Fu però l'odore di quella casa che un po' mi stupì: era un fresco profumo di lavanda che donava un'atmosfera accogliente all'ambiente.

Mi esortò a raggiungere la sua camera, senza nemmeno darmi il tempo di dare un'occhiata approfondita alle altre stanze.

Si accomodò sul letto che si trovava al centro e mi indicò di sedermi vicino a lei, sulla sottile coperta beige dai motivi d'altri tempi. Al contrario dell'arredamento piuttosto all'antica, la camera era stata personalizzata con poster di cantanti rock, qualche foto qua e là e schizzi appesi alle pareti con delle puntine.

Mi mostrai sicura, statuaria come la mia natura m'imponeva.«Sei in pericolo», affermai senza mezzi termini.

La guardai, cercando di intuire i suoi pensieri, ma siccome non ci riuscivo, continuai.«Dovresti possedere un oggetto, si tratta di un medaglione, non è così?».

Si fece improvvisamente più interessata.«Sì, apparteneva a mia nonna. Me l'ha regalato anni fa».

Aprì un cassetto del comodino di fianco al letto; era stipato di quaderni, fogli e vecchi giocattoli. La sua mano si diresse con sicurezza verso una scatola ricoperta di stoffa rossa.

Teneva a quel medaglione. Lo vidi dalla premura con cui prese in mano la scatola, la lentezza con cui aprì il coperchio ed estrasse l'oggetto, poggiandoselo delicatamente sul palmo della mano.

Aveva l'aria di qualcosa proveniente da un passato lontano, che aveva visto talmente tanti eventi e passato per talmente tante mani da essere ormai stanco.

Una volta, forse, aveva brillato di un intenso bagliore dorato, aveva attirato sguardi ammaliati e complimenti farciti di invidia, ma in quel momento non aveva che l'aspetto di un vecchio monile, di quelli che si trovano sulle bancarelle dell'usato. Pareva incredibilmente esausto e con quella pietra rosso sangue dalle mille sfaccettature, non diceva altro che buttatemi, distruggetemi. Invece, per quanto triste, il mio compito era proteggerlo.

Milena lo osservò, perdendosi con un sorriso nel colore intenso della pietra.«Sai, mia nonna, quando me l'ha donato mi ha detto che avrei dovuto custodirlo con molta cura, che era qualcosa di importante e antico e che avrei dovuto passarlo ai miei figli perché non andasse mai perduto».

Anche io lo osservai mentre parlava, lasciando che lo sguardo accarezzasse delle ormai illeggibili incisioni lungo il disco dorato in cui la pietra era incastonata.

«Tua nonna aveva ragione». Quando alzai lo sguardo, capii improvvisamente quanto sarebbe stato duro dire quello che dovevo dire.«Qualcuno ti sta cercando perché vuole questo medaglione».

Milena, a quelle parole, lo strinse di più nella mano. C'era qualcosa di affettuoso in quel gesto che stonava col suo aspetto ribelle; dovevo aver pigiato un tasto che la rendeva estremamente fragile.«Com'è possibile? Non è che un vecchio cimelio».

«E' magico, Milena. Creature...». Presi un profondo respiro: quanto mi sentivo ridicola a dire certe cose! «Creature sovrannaturali lo cercano per giungere sulla Terra e conquistare i nostri territori».

Per qualche istante la sua espressione restò imperscrutabile: le labbra erano una linea sottile , lo sguardo leggermente spento. Poi gli angoli della bocca si incresparono finché non scoppiò in una risata divertita che mi lasciò del tutto sorpresa.

«Guarda, mi dispiace, ma non ho tempo per queste storielle», affermò alzandosi dal letto.

«Non è una storiella! E' la verità!», sbottai, alzandomi in piedi.

Non considerò affatto la mia obiezione e si limitò a sistemare il medaglione nel cassetto.«Sei davvero fortunata: avrei potuto offendermi per aver scherzato su qualcosa che è appartenuto a mia nonna e ti assicuro che quando mi offendo non sono molto accomodante».

Non avevo dubbi su ciò: quel suo look aggressivo faceva presupporre che non si spaventasse di fronte a una rissa.«Non scherzerei mai su certe cose! Devi credermi!».

Mi lanciò uno sguardo sprezzante.«Come faccio a crederti? Non so chi tu sia e sei... ». Esitò alla ricerca dei termini giusti.«Sei così strana! Guardati...». Mi allungò uno specchietto che aveva appoggiato sul comodino.«Sei truccata da Halloween e per tutto il tempo che abbiamo parlato hai avuto sempre la stessa espressione. Non sapevo se ridere o spaventarmi», disse con l'aria di essersi liberata di un peso. Probabilmente prima di quel momento non aveva fatto alcun commento per non offendermi.

Era da molto che non vedevo il mio riflesso e ne rimasi quasi spaventata: il mio viso aveva un aspetto scarno, malato con quel colorito che mi ricordava terribilmente i cadaveri che vedevo alla tv nei film polizieschi. A completare il quadro mancava solo una bella striscia violacea sul collo da morta impiccata. E pensare che quei programmi li avevo sempre odiati.

Riposi lo specchio sulla scrivania.«Mi dispiace, ma devi credermi perché è la verità».

Milena si mise a braccia conserte, sul viso un'espressione del tutto scettica. Avrei dovuto aspettarmi che una tipa come lei, dall'aspetto ribelle e impaziente di crescere, non avrebbe mai creduto alle mie affermazioni riguardo quel medaglione.«Scusa, ma ora ho altro da fare», concluse con una certa ostilità.

Avrei potuto insistere, tentare ancora di convincerla e rifiutarmi di andarmene, ma non avrebbe portato ad alcun risultato oltre che essere scortese: mi aveva dato l'impressione di essere talmente ostinata e concreta che non avrebbe accettato la verità senza averla davanti agli occhi. Come avevo reagito io stessa, in fondo.

Mi feci condurre alla porta senza opporre resistenza e, dopo averla salutata, mi appostai non lontano: non potevo lasciarla sola. Io ero responsabile della sua incolumità e la riuscita del mio compito dipendeva solo da me; la protetta per un Harveil doveva venire prima di ogni altra cosa.

***

Angolo autrice 

scusate per il solito ritardo nella pubblicazione, sempre colpa della maturità XD comunque, eccomi qui e spero che questo capitolo possa essere di vostro gradimento! Grazie a chi ha lasciato una recensione e a chi lo farà 

   
 
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