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Autore: grenade_    26/06/2013    2 recensioni
Alzai lo sguardo sui suoi occhi scuri, sorrisi amaramente. «Non riesco a capirlo, sai? Sembra quasi mi detesti, critica ogni cosa che faccio o dico e non ne so neppure il motivo. Penso che non me ne importi niente invece ci sto male, e tutto quello che vorrei è essere solo un fratello maggiore degno di quel titolo.» feci una pausa, sospirando. Un ricordo mi attraversò la mente, e sorrisi istintivamente. «Forse ce l'ha ancora con me per via di Teddy.»
Lei assottigliò lo sguardo, confusa. «Teddy?»
«Sì, il suo orsacchiotto di peluche.» ricordai. «E' accidentalmente finito nel tritarifiuti.» mi giustificai, gli occhi fissi su di lei e un sorriso innocente con cui speravo di convincerla che non fossi stato io, a buttarlo lì dentro.
Mantenne lo sguardo indagatore fisso sul mio per qualche istante, poi si sciolse in un sorriso e scosse la testa. «Siete i gemelli più strani che conosca.»
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Quando sentii suonare il campanello e mamma fece capolino nella stanza sorridente, ebbi la conferma che Kyle fosse arrivato. Tirai un sospiro di sollievo, stanca di aspettare seduta sul letto, gettando comunque un’occhiata all’orologio sul comodino: in ritardo di quindici minuti. Ma l’importante era che fosse giunto a destinazione, no?
«Scendo subito.» cercai di liquidare mamma ma, come c’era da aspettarsi, lei rimase sulla soglia ad analizzare bene la mia espressione non proprio entusiasta.
«Problemi?»
Ecco la parola magica. L’unica parola che, pronunciata dalla sua bocca e dai suoi occhi, aveva il potere di riempirmi di tensione e far sciogliere il blocco di ghiaccio che ero. E anche quella volta il suo colpo andò a segno, perché l’ansia abbandonò il mio corpo con un enorme sbuffo, difficile da far passare inosservato.
Piantai il mio sguardo duro nel suo, dolce. «E’ normale che non abbia il minimo di fiducia, nei ragazzi?» sparai, «Mark mi ha piantata per una bambola plastificata, Joe è scappato via terrorizzato, Toby era gay, e il ritardo di Kyle non promette nulla di buono, quindi è ovvio che sia agitata e un po’ scorbutica, vero?» brontolai, cercando negli occhi di mia madre un qualche genere di conforto, che andasse in contrasto col mio pessimismo.
Lei prese posto accanto a me, e non mancò di sorridermi. «Non sei stata molto fortunata, tesoro...» asserì, e non potei fare a meno di annuire vivamente, «ma non è detto che vada a finire sempre nello stesso modo. Mark è stato senza dubbio un idiota, Joe un codardo e Toby... ha avuto dei problemi personali. Ma se Kyle ha fatto ritardo non dev’essere per forza che è un superficiale o cos’altro, magari ha avuto da fare qualcosa di importante.»
Nonostante i suoi tentativi di consolarmi e giustificare l’orrendo fine delle mie relazioni sbuffai più forte, desiderosa di indossare il pigiama e addormentarmi tra tv e pizza.
«E’ che non riesco a fidarmi dopo tutte le delusioni che ho avuto...»
«E non ci riuscirai se non continui a provare. Magari il ragazzo giusto è proprio sotto al tuo naso, e tu non te ne accorgi.» mi accarezzò la guancia spostando una ciocca di capelli dietro l’orecchio, poi sorrise e posò un bacio sulla mia fronte.
«Quindi...» azzardai, cercando di riepilogare «pensi che questa sia la volta buona?»
«Penso che dovresti scendere e salvare quel povero ragazzo che è in ostaggio da tuo fratello da circa cinque minuti, uscirci insieme e solo dopo averci passato una serata decidere se è il caso di continuare o farla finita.»
Aveva ragione. Infondo non potevo essere sicura che anche questa volta sarebbe stato un disastro, senza neppure provarci. Dovevo almeno provare a fidarmi del genere maschile, per quanta poca fiducia vi riponessi, e magari solo dopo una serie di tentativi decidere se continuare ad averci a che fare o troncare definitivamente i rapporti, diventando suora o lesbica. Perlomeno, mi sarebbe rimasto Martin. Come dimenticarlo, era stato lui a convincermi ad accettare quello strambo appuntamento...
«Arrivo subito, comunica a Chris di togliersi dai piedi e non importunare gli ospiti da parte mia.»
Mamma sorrise ed uscì fuori, la voce dolce a scagliarsi contro i capricci di mio fratello, mentre io delineai gli ultimi dettagli per la serata: sistemai le pieghe della gonna, spazzolai i capelli sistemati in una coda alta e presi un lungo sospiro, cercando di tranquillizzarmi.
Solo quando ebbi l’impressione che il mio riflesso avesse perso il colorito pallido afferrai la borsa ed uscii anch’io, scendendo le scale con la speranza che Chris si fosse già rinchiuso in camera sua e non avesse fatto qualche battuta sul mio conto, ma quando mi ritrovai a ricambiare il sorriso di Kyle tutta la tensione sembrò scomparire.
«Scusa il ritardo» si affrettò a giustificarsi, baciandomi entrambe le guance.
Sospirai. «Non importa.» lo rassicurai.
«Ti ho preso dei fiori...ma tua madre li ha già sistemati in un vaso.» si grattò la nuca imbarazzato, seguendo con lo sguardo la figura di mia madre, che posò in quel momento sul tavolo un vaso con tre rose bianche e ci schioccò un sorriso sincero, che riuscì a colorare le sue guance ma non le mie.
«Sono bellissime» gli sorrisi. «Grazie.»
Posai un bacio sulla sua guancia come ringraziamento e lui sorrise felice, «vogliamo andare?» chiese.
Annuii e afferrai il suo braccio, pensando per la prima volta che forse quella volta non sarebbe andata così male...
 
...ma sarebbe stata un disastro totale.
Mi guardai attorno ancora una volta alla ricerca di Kyle, ma tutto quello che continuavo a vedere erano corpi che sbattevano l’uno contro l’altro come si trovassero ad un autoscontro, e delle pareti che presto sarebbero crollate in mille pezzi, se il padrone di casa non si fosse dato una mossa a cacciare tutti quanti.
Nemmeno lo conoscevo. Come non conoscevo nessuna di quelle persone quasi tutte palesemente ubriache, che si muovevano in salotto ad un ritmo molto più guidato dall’alcol nelle vene che dalla musica assordante proveniente dalle casse. Avrei potuto giurare che l’unica persona che conoscessi in quella casa fosse l’unica che avessi perso di vista, e quindi Kyle, e che stessi cercando disperatamente.
I fiori e il suo imbarazzo a casa e durante il tragitto in auto mi avevano fatto pensare che quella sarebbe stata una serata di tutt’altro stampino, che differisse dalle solite feste confusionarie in cui mi ritrovavo quasi secondo una maledizione, ma a quanto pare era stata soltanto una ottima sceneggiata. Kyle aveva scelto il posto meno appropriato per un primo appuntamento, come quasi tutti i ragazzi facevano, e la mia idea di una romantica serata sotto le stelle era andata in fumo come mi aspettavo.
Scacciai con una smorfia disgustata un ragazzo sulla ventina che mi venne addosso, la camicia impregnata dell’orribile odore della birra, e mi appostai contro il muro di un sottoscala, spalancando la finestra alla ricerca di un po’ d’aria: quell’aria era soffocante. Sorrisi quando le mie narici avvertirono dell’ossigeno pulito dopo quell’ora passata tra corpi sudati, e in quell’esatto momento sentii il cellulare vibrare nella borsetta, ma quando lo tirai fuori speranzosa che Kyle si fosse degnato di comunicarmi dove si fosse cacciato, trovai soltanto un messaggio di Martin.
Come va la serata?” recitava.
Sospirai ed esibii un sorriso omicida al display, ma sforzandomi di apparire calma e non dare alla rabbia la soddisfazione di sopraffarmi, risposi nella maniera più tranquilla possibile.
Alla grande :)”
Mentre godevo di un’altra manciata d’aria non putrefatta e osservavo due ragazzi ubriachi cantare e rotolarsi sull’erba con espressione schifata, una piccola vibrazione mi avvertì della risposta del mio migliore amico.
Bugiarda. Se stesse andando alla grande, non mi avresti neanche risposto, perciò... cos’è che non va?”
Sbuffai ed emisi un grugnito in risposta a quell’ennesima sconfitta, che mi vedeva come l’illusa perenne, destinata ad essere delusa di continuo e letta come un libro a caratteri cubitali dal suo migliore amico, seppure a chilometri e una faccina sorridente di distanza. A volte mi ritrovavo a pensare stupidamente che avesse una sfera di cristallo e una grande abilità di mago, oppure un microchip sotto la pelle che gli permettesse di captare ogni mio pensiero, ma poi mi rendevo conto di stare delirando. Era semplicemente Martin, mi conosceva più dei miei genitori, e sarebbe stato capace di confortarmi e irritarmi allo stesso momento molto più di qualsiasi altra persona al mondo, l’unico ragazzo ad avere la mia più totale fiducia.
Il mio accompagnatore è sparito nel nulla, i tacchi mi fanno male e rischio di soffocare e puzzare di alcol e sudore per il resto della mia vita.
Festa di seconda categoria, punto in meno per Thompson. Che intendi per è sparito? Sei da sola?
Da sola non direi, ci sono almeno mille persone qui. Ma di Kyle neppure l’ombra, a meno che non abbia addosso il mantello di Harry Potter o la mia miopia stia peggiorando...Al prossimo appuntamento, mi sotterro di gelato e caramelle.
Mi guardai attorno ancora una volta alla ricerca di capelli biondi e occhi verdi, ma non feci altro che confermare ciò che avevo riferito a Martin poco prima, dunque tornai con lo sguardo fisso al display, come se parlargli potesse distrarmi dalla putrida (in senso letterale) situazione in cui ero andata a finire. Avrei tanto voluto chiudere gli occhi, riaprirli e trovarmi altrove, ma la triste verità era che questo meraviglioso incantesimo funzionava solo nelle favole e, a meno che non rubassi un auto e avessi imparato per magia a guidare, avrei dovuto aspettare di ritrovare Kyle, sputargli addosso il mio odio e farmi riaccompagnare a casa. Intanto, picchiettavo nervosamente il tacco contro le mattonelle di marmo bianco, desiderosa di piantarglielo in faccia.
Mi dispiace...Vuoi che ti venga a prendere? Dammi solo l’indirizzo, sarò da te tra qualche minuto.
Prima che potessi saltellare dalla gioia per poi pentirmi a causa dei tacchi e comunicare al mio eroe il sito della mia prigionia, qualcuno attirò la mia attenzione, così fui costretta ad alzare lo sguardo, ma quando capii chi era stato ad infastidirmi lo stupore nei miei occhi si trasformò in un ghigno sulle mie labbra.
Ma il sorriso strafottente sulle sue non scomparve, e non lo fece neppure la scintilla nei suoi occhi chiari, così simili a quelli di Martin. I capelli erano sistemati impeccabilmente come al solito, e dal suo sguardo e la sua voce ferma avrei potuto dire che fosse forse l’unica persona non ubriaca in quella casa escludendo la sottoscritta, e sola, seppure la camicia sgualcita e il segno rosso sul suo collo fossero la prova inequivocabile di qualche puttanella sanguisuga nascosta chissà dove.
«Perché sei qui?» domandò, «E da sola.» aggiunse con tono ironico, notando nessun altro in mia compagnia.
Riposi nella borsetta il cellulare, mantenendo il solito tono autorevole che non mi sforzavo neppure di avere, in presenza di Zack. «Volevo dare un’occhiata, scoprire come vive l’altro mondo...Sai, quello opposto al mio, che sembra composto da persone insane di mente e capaci soltanto di scolare una bottiglia dopo l’altra e fare sesso non protetto con qualche sconosciuto di cui non ricorderanno nulla il giorno seguente.» spiegai, mantenendo vivo in me l’obbiettivo di prendermi gioco di lui.
Lui sorrise abbassando lo sguardo, quasi si aspettasse una risposta così acida da parte mia.«E cos’hai scoperto?» domandò, stando al mio gioco.
«Che fa schifo. E che non voglio farne parte, per nessuna ragione al mondo.» ribattei, ripulendo la gonna di seta nera dalla calce della parete.
Zack ridacchiò sommessamente e in modo irritante, poi riprese a parlare. «E chi è stato esattamente a spingerla a scoprire questo mondo plebeo, principessa?» replicò, usando un tono derisorio tale da farmi desiderare di picchiarlo con i tacchi a spillo.
«Questo non ti riguarda. Tu invece? Sei da solo, eppure l’antiestetico succhiotto sul tuo collo dimostra il contrario.»
Lui aggrottò la fronte e abbassò lo sguardo, passandosi le dita sul segno rosso ben visibile. Quando lo rialzò, sorrise quasi... fiero. «Ne ho altri, questo è solo uno di una lunga serie.»
«Non ci tengo a vederli.» sbottai, acida.
«Non te li stavo mostrando.» replicò.
«Bene, allora la conversazione è terminata, puoi tornare da dove sei venuto e smettila di infastidirmi.»
«Non posso infastidire qualcuno che è da solo, è troppo innaturale persino per me...»
Ero certa stesse ancora blaterando di cose inutili e senza senso, ma smisi di ascoltarlo quando una piccola luce nel mio cervello si illuminò, e mi portò a salire le scale e al piano superiore della casa, l’unico posto che non avevo controllato. Magari Kyle si trovava lì, ed io sarei potuta tornare finalmente a casa.
Zack mi seguì come un cagnolino confuso quando cominciai ad aprire tutte le porte, trovandomi di fronte a spettacoli raccapriccianti.
«Trovatevi una dannata stanza d’albergo!» gridai contro ad una coppia avvinghiata sul letto, coprendomi gli occhi con la mano e chiudendo repentina la porta.
Zack rise della mia goffaggine e delle mie guance rosse, quasi piegandosi in due dalle risate.
«Non c’è niente da ridere.» lo fulminai, ma lui continuò imperterrito.
«Sai, sei l’incubo delle coppiette.» mi derise.
Sbuffai irritata e superai un ragazzo accasciato a terra, recandomi più avanti, ma tutto quello che vedevo era sempre la stessa scena: corpi avvinghiati come fossero sul set di un film porno. O chini per vomitare anche l’anima e tutto il buon senso, se mai ne avessero.
Zack continuava a starmi dietro, a chiedermi quale fosse il mio obbiettivo, cosa stessi cercando. Io continuavo ad ignorarlo, per mantenere calma e concentrazione.
E finalmente lo trovai. Avvinghiato anche lui ad una ragazza sconosciuta, mezzo nudo su di un divano di sicuro già usato. Quando lui catturò il mio sguardo deluso scostò bruscamente la biondina e cercò di allacciarsi i pantaloni, ma non appena mi raggiunse e tentò di aprire bocca la mia mano partì da sola verso la sua guancia, regalandogli un’impronta di cinque dita che sarebbe andata via solo tra una settimana. Non lo lasciai spiegare e andai via, con le lacrime che cominciavano a pungere contro gli occhi.
Infondo me lo aspettavo. Era quasi destino che andasse a finire così, che nessuno volesse stare al mio fianco e mi sostituisse di continuo, quasi fosse un gioco. Avrei voluto divertirmi anch’io. Avrei voluto almeno non sentirmi così male, non per chi mi aveva inflitto il danno, ma per il danno stesso. Ero stanca di essere rimpiazzata e trattata come un giocattolo, da usare e gettare via quando se ne ha noia, ma nonostante la facciata da dura non avevo il minimo di coraggio, ero debole e crollavo con il minimo colpo, frantumando di volta in volta quella finta corazza che mi ero costruita con tanta fatica.
Scesi le scale rischiando di inciampare nei tacchi ed uscii dalla porta sul retro, scappando da quel male e dalla persona che più di tutte avrebbe riso nel vedermi così debole e insignificante, e solo quando fui fuori e l’aria pungente si infranse contro la mia pelle, diedi sfogo alle lacrime, sentendomi un idiota per l’ennesima volta.
Sentii qualcuno tirarmi per il polso e lo strattonai brusca, ma questo fu più forte e mi sbatté contro la parete della casa, tentando un inutile contatto coi miei occhi. Continuai a dimenarmi e a piangere, seppure le ginocchia molli non mi permettessero una grande dose di forza, non volevo assolutamente vedere o sentire Kyle, ero certa avrebbe alimentato solo la mia rabbia fino a livelli smisurati.
«Stephie, dannazione, smettila!»
Sentii improvvisamente qualcosa scattare dentro di me. Istintivamente il mio corpo smise di ribellarsi a quella stretta, e si immobilizzò.
Quel nome. Conoscevo soltanto una persona che si ostinava a chiamarmi in quel modo.
E quando alzai lo sguardo lui era lì, di fronte a me, a salvarmi ancora una volta. I suoi occhi azzurri erano puntati nei miei, e le sue mani sulle mie guance. Mi scostai dalle sue carezze e allacciai le braccia al suo collo, riprendendo a piangere, ma consapevole adesso di avere un’ancora di salvataggio.
«Non piangere, non piangere...» continuava a ripetere Martin, che mi teneva stretta a sé e mi accarezzava i capelli, nel suo personale metodo di calmarmi. «Ti prego non piangere, qualunque cosa sia successa...»
Continuò a cullarmi per qualche minuto, fin quando sentii le lacrime terminare di sgorgare lungo le guance. Solo allora aprii gli occhi e incontrai lo sguardo di Zack, inverosimilmente preoccupato, che mi fece sentire quasi colpevole di averlo trattato così male. Mi sorrise mesto, con una dolcezza tale che non avrei mai pensato lui possedesse.
Ma insieme a lui, vidi anche qualcos’altro. Qualcosa che mi mozzò il fiato e fece riprendere il percorso di lacrime, stavolta silenziose. Qualcosa che mi immobilizzò, e mi rese incapace persino di sbattere palpebra.
Alla vista del mio sguardo inquietante e la mia aria sicuramente pallida, Martin si voltò a seguire la mia traiettoria, e probabilmente Zack fece lo stesso. Ma quando il mio migliore amico tornò a guardarmi, mi resi tristemente conto che neppure lui possedeva parole capaci di consolarmi, stavolta.
«Portami a casa.» furono le mie uniche.
Volevo dimenticare quella serata, e  in più fretta possibile.

I'm back! E finalmente è arrivato il turno del mio personaggio preferito. #noallepreferenze
Il capitolo è abbastanza... di passaggio. E' un po' astratto e non si capisce bene cosa sia successo, ma verrà chiarito nei prossimi capitoli che, per la cronaca, sono già scritti.
I prossimi non saranno più stipulati per un solo punto di vista, ma per molteplici. Come sempre, il
colore vi aiuterà a distinguere il narratore :)
spero che anche questo capitolo piaccia, anche se sono ancora un po' scettica e curiosa su chi segue questa storia. ahah lettori, fatevi sentire, ne ho bisogno ç_ç
a prestissimo c:
  
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