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Autore: Sad Angel    10/01/2008    3 recensioni
Bill ha litigato con Tom. Preoccupato scappa alla statua di Otto Von Bismarck dove incontra una strana ragazza che da quel momento entrerà non solo nella sua vita, ma anche in quella degli altri Tokio Hotel
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Tokio Hotel
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Hilf Mir fliegen

Hilf Mir fliegen…. Fünf

 

Die Dank dann…

Due minuti. Lo vidi tornare. Era ancora rosso in viso. Ma anche io, molto probabilmente, non ero da meno. Varcò la porta per la seconda volta, si fermò, spiazzato ad osservarci, poi sorrise.

Tom, seduto alla mia sinistra parlava animatamente. Georg, di fronte a me, ascoltava con vivo interesse quello che diceva il suo amico. Gustav, appoggiato alle nostre spalle contro l’armadietto della cucina, era perso nei suoi pensieri. Io invece, mangiavo pane e marmellata, lottando contro quella famosa legge secondo la quale, chiamalo caso o sfiga, non appena cerchi di sembrare calmo e rilassato, non riesci a tenere nulla in mano. Il mio tentativo di limitare il danno, afferrando il pane al volo, ovviamente non fece che peggiorare la situazione.

Splash!

Georg e Tom risero. Io arrossii ancora di più. Gettai un occhiata a Bill, ancora sulla porta. I nostri occhi si incontrarono. Pochi secondi. Entrambi scoppiammo a ridere. Gustav girò il viso verso di noi, un lieve sorriso sulle labbra, ma non disse nulla.

Gli occhi pieni di lacrime per il troppo ridere, osservai Bill tenersi lo stomaco. Sembrava un altro. Come se il ragazzo del giorno prima fosse a miglia di distanza. Solo un brutto ricordo.

Impiegammo cinque minuti per calmarci. Alla fine Bill si avvicinò a Gustav e si versò il caffè in una grossa tazza. Si voltò verso di noi e si sedette al tavolo.

“Dove pensi di andare oggi?” chiese all’improvviso Tom a Georg, mentre guardava intensamente Bill.

“Io? Ho promesso di vedere degli amici…” rispose l’altro, ridendo senza alcun motivo apparente.

Sul volto di Tom apparve un sorriso accattivante. Continuava a fissare suo fratello. “E’ davvero un peccato…perché io ho un appuntamento e Gustav deve assolutamente tornare a casa…Bill, tu sei libero giusto?”

Bill abbassò la tazza di caffè. “Si, perché?” rispose ingenuamente, gli occhi sgranati.

“Perfekt!” concluse Tom, strizzando l’occhio a Georg. “Allora noi possiamo andare…”

Si alzò e, dopo aver lasciato le tazze nel lavandino, si avvicinò alla porta.

“Aber…Tom!” lo chiamò Bill, attirando la sua attenzione “ich verstand nicht!”

Tom si girò. Scrutò Bill a lungo, poi spostò il suo sguardo su di me. Intuì che suo fratello non era l’unico che non avesse capito.

“Die Dank dann!” disse soltanto. I ringraziamenti poi… Un sorriso malizioso comparve sulle sue labbra. Uscì.

Io e Bill ci scambiammo un occhiata, sempre più perplessi. Poi, all’unisono, ci voltammo verso Georg che si era appena alzato. Lui se ne accorse, rise e rispose, anticipando la domanda “Ich weiß nichts!” e si affrettò a scaricare le stoviglie nel lavandino e a fuggire mentre io e Bill urlavamo contemporaneamente “Georg!!!

Di nuovo tornammo a guardarci in volto, più confusi di prima. Un attimo dopo, cercai con lo sguardo Gustav, vedendo in lui l’ultima possibilità di comprensione. Si stava allacciando un grembiule intorno alla vita, una scritta sul davanti. “Die Hausfrau küßt”. Non si accorse nemmeno che lo stavo osservando mentre, spugna in mano, fregava la tazza dove Tom aveva bevuto il caffè. Capii che era inutile chiedere…

 

Ist ein Abschied?

Solo. Uscii dalla mia stanza. La casa era completamente immersa nel silenzio. Anche Gustav, finito in cucina, deve essersene andato, pensai. Passando, notai qualcosa alla mia sinistra, mi voltai ad osservare meglio.

Lei. Seduta in terra su una coperta, la schiena appoggiata contro il muretto del balcone. Fumava. La musica nelle orecchie. Il viso sollevato verso l’azzurro cielo d’Amburgo. Gli occhi chiusi.

Sentii qualcosa all’altezza dello sterno, e poi più sotto, alla bocca dello stomaco. Un qualcosa che non aveva spiegazione razionale, ma era reale.

Inspirai e, rosso in volto, i battiti accelerati, mi avvicinai alla portafinestra. La aprii, lei non si mosse. Per un momento, finché non portò la sigaretta alle labbra, gli occhi perennemente serrati, temetti che fosse caduta di nuovo nel “torpore” del giorno precedente. Se ieri non fosse accaduto nulla, probabilmente non avrei nemmeno badato alla sua esistenza… mi dissi. Anch’io sollevai il volto verso il cielo e, senza sapere perché, provai il desiderio di ringraziare, un qualcuno della cui esistenza sono profondamente scettico.  

Mi piegai davanti a lei, appoggiando la mano sul suo ginocchio. Immediatamente spalancò gli occhi, mi vide, sorrise.

“Ha! Hallo, Bill! Ich hörte dir nicht ankommen...”

Risposi al suo sorriso. “Tranquilla. Anche a  me è successo di non sentirti ieri, alla statua di Bismarck…” iniziai.

La vidi arrossire ma non ne capii il motivo. Poi cambiò argomento. “Sei qui per riportarmi alla statua…” chiese, gli occhi scuri fissi nei miei “…o c’è un altro motivo?”

La guardai sbigottito, poi mi diedi dell’idiota. Com’era possibile che non mi fosse nemmeno passato per la mente che lei dovesse andarsene?!? Che potesse esserci un luogo dove dovesse tornare? Magari anche un qualcuno… Sentii il mio cuore rallentare.

Lei sgranò gli occhi preoccupata “Stai male? Improvvisamente sei diventato pallidissimo!

“Nein…” risposi, cercando di suonare convincente “Es geht mir gut…” la rassicurai. Poi mi alzai e, mentre cercavo di calmare l’ansia che ora mai aveva preso il controllo di me, le porsi la mano sinistra.

“Gehen wir?”

Lei l’afferrò, sorridendo.

 

 

 

Per la “gentile” signorina che ha commentato il capitolo precedente: Non mi pare di aver obbligato nessuno a leggere la mia storia. Se piace alle persone mi fa piacere. Se a te però non piace…smetti di leggerla. Io andrò avanti comunque.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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