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Autore: Birra fredda    28/06/2013    1 recensioni
La vita normale non è per tutti. Con vita normale intendo un qualcosa tipo: genitori rompiscatole, non permissivi, che credono i figli adolescenti dai santerelli del sabato sera, scuola odiata, professori visti come satana, compagni di classe con cui combinare solo guai, tanti trip in testa, escogitare modi per andare alla festa del secolo senza dire nulla ai genitori o mettere da parte dei soldi per il nuovo tour degli U2.
Ma io mi chiamo Nicole Haner mica per nulla, eh. E sono la figlia di Brian Elwin Haner Jr., meglio conosciuto come Synyster Gates, chitarrista degli Avenged Sevenfold, mica per nulla.
La mia vita non è normale, e proprio non so come potrebbe esserlo.
Genere: Generale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'You will always be my heart.'
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“Niiicoooleee!”
Sussulto e scatto a sedere sul letto, mio padre e i suoi modi di svegliarmi non sono mai stati meglio di così. Ci sono abituata, ma a volte la voglia di strozzarlo mi viene.
Mi strofino gli occhi con le mani e mi guardo attorno. Lo specchio sulla parete di fronte a me lascia che lo sguardo mi venga ricambiato dai miei occhi pesti.
A che diavolo di ora sono tornata a casa ieri notte?
“Nic, muoviti, è tardi!”
Questo è Jim, invece. Che, a differenza di papà, il quale gridava dalla cucina, grida proprio fuori dalla mia stanza. Probabilmente non capirà mai che non soffro di sordità.
Scendo dal letto e mi dirigo all’armadio decorato da diverse fotografie, prendo un jeans scuro strappato in più punti dalle mie manine operose durante una qualsiasi ora di matematica, prendo una felpa degli Avenged Sevenfold a caso e vado verso il bagno.
“Buongiorno, sorellina” mi saluta Jimmy, non appena esco in corridoio.
Sono troppo assonnata per formulare una risposta, così gli schiocco un bacio su una guancia affondandogli la mano tra i capelli castani e ribelli. Poi mi chiudo in bagno, mi faccio una doccia veloce dopo essermi fatta una coda per non bagnare i miei lunghi capelli biondi. Mi vesto, mi passo un velo di fondotinta sul viso, mi trucco gli occhi di nero e scendo a fare colazione.
Lungo le scale devo reggermi con forza al corrimano per non stramazzare al suolo. Mi appunto nella testa di non bere mai più al pub di martedì sera. So che non servirà a nulla, ma almeno è un inizio, no?
Jim ha appena messo in tavola la mia tazzina del caffè fumante, papà legge il giornale e Connor mangia del pane con la Nutella tra uno sbadiglio e l’altro.
Mi siedo, ringrazio il mio fratellone, do il buongiorno agli altri due maschi di casa ricevendo dei mugolii non ben definiti come risposta e bevo il mio caffè.
“Oggi avete intenzione di registrare qualcosa, pà?” chiede Connor, dopo un sonoro sbadiglio.
Papà lo guarda e sospira, prima di rispondere.
“Lo spero, ma Zack non sta affatto bene. È preoccupato per questo fatto del fumo ed è poco concentrato, non vogliamo mettergli pressioni addosso ma di questo passo non finiremo mai di registrare questo dannato disco” dice, amareggiato.
“Dovreste aiutarlo a smettere” osserva, un po’ stupidamente, Jim.
“Lo facciamo, o almeno ci proviamo. Ma niente, è cocciuto come un mulo. Abbiamo paura che possa sentirsi male di nuovo, ma non vogliamo arrivare al punto di litigare per qualche sigaretta.”
Nessuno di noi risponde, non sapendo bene che dire. Finiamo di fare colazione e andiamo a lavarci i denti e a prendere gli zaini. Quando scendiamo, papà ci aspetta già in giardino fumando.
Appena esco di casa aspiro profondamente l’aria salmastra di Huntington Beach e lascio che mi riempia la cassa toracica. Amo il sapore del mare che si sente da casa mia, non troppo forte ma intenso abbastanza da darmi la carica giusta ogni mattina per affrontare le ore di scuola.
“Dai, Nicole, muovi il culo” mi prende in giro il mio gemello, dandomi una leggera pacca sulle natiche e guadagnandosi il primo ‘vaffanculo’ della giornata.
Papà ridacchia e getta a terra il mozzicone della sigaretta, per poi calpestarlo con le sue Dr. Martens scure consumate.
Se mamma adesso non fosse ancora cullata dalle braccia di Morfeo e vedesse papà, sicuramente uscirebbe di casa col mestolo tra le mani pronta a sbatterglielo in testa e gridandogli come una pazza furiosa di non gettare le sue fottutissime sigarette nel giardino di casa.
Nostro padre ci ha sempre accompagnati a scuola, e nonostante ora facciamo le superiori non ci dà nessun fastidio. Certo, mica è da tutti essere accompagnati a scuola da Synyster Gates.
Io e Connor ci lasciamo cadere sui sedili posteriori, mentre Jimmy si siede accanto a papà e accende la radio, così Almost Easy riempie l’auto e ci accompagna fino a scuola. Cantiamo tutti e quattro, in macchina, ridendo e divertendoci come idioti.
“Connor, Nicole, cercate di non cacciarvi nei guai oggi. Io sono impegnato, verrebbe vostra madre e non mi va di sentirla” ci dice papà, accostando per farci scendere.
Io e il mio gemello annuiamo, poi tutti e tre scendiamo dall’auto e ci dirigiamo verso l’edificio giallastro dove passeremo la mattinata. Tutti frequentiamo la scuola pubblica, quella dove sono andati anche i nostri genitori, nonostante i soldi per permetterci l’istruzione privata ci siano.
Dopo una lunga discussione quand’eravamo ancora alle medie, infatti, zia e mamma hanno deciso che per tutti noi sarebbe stato meglio frequentare la scuola pubblica. Hanno pensato che ci saremmo montati meno a la testa e che la notorietà sarebbe stata minima. Cherie, poi, ha insistito per venire con noi, ovviamente.
Mamma e zia Valary si sbagliavano, almeno sul fatto della notorietà. Quasi ogni giorno qualcuno viene da noi e ci chiede di procurargli un autografo di un qualsiasi membro degli Avenged Sevenfold. L’unica che, a volte, riporta qualche firma del padre è Alicia e, quando ciò accade, non la vediamo per tutto il giorno dato che gira l’intero complesso scolastico nell’intento di trovare i ragazzi che hanno chiesto gli autografi.
Ci fissano spudoratamente ogni santissimo giorno, dalla mattina non appena scendiamo dall’auto fino a che non varchiamo il portone d’ingresso per andarcene a casa.
La scuola è gigantesca, tanto che per passare dall’aula di Inglese a quella di musica ci impiego cinque minuti anche correndo. L’edificio è di un colorito giallastro, c’è un cortile interno che dà sulla mensa, sulla palestra e su alcuni laboratori di informatica e chimica. Dietro all’edificio c’è anche la piscina, e proprio sulla parete esterna degli spogliatoi c’è un graffito fatto da papà e Jimmy ‘The Rev’ quando venivano a scuola qui.
Il graffito in questione è stato disegnato con bombolette nere e ricalcato così tante volte che comincia a sbiadirsi solo ora. Ritrae un’enorme cassa per la musica, con accanto un ragazzo alto quanto la metà della cassa che tende le mani in avanti e ha la bocca spalancata in un grido. Il ragazzo in questione porta una t-shirt dei Misfits e ha una cresta spropositata per capelli. Accanto al disegno campeggia la scritta ‘scream, scream, scream!’.
Abbiamo un posto per incontrarci con Cherie, Alicia e Nathan: sotto il pino a sinistra del cortile della scuola. Il pino è enorme, maestoso, pare proteggerci e accoglierci sotto i suoi rami. Lo abbiamo sempre adottato come il punto d’incontro mattutino, accanto a lui ci fumiamo un sigaretta nell’attesa che suoni la campana.
Alicia e Nathan sono già lì ad aspettarci, chiacchierano sottovoce.
“Hey, buongiorno ragazzi!” esplode Nathan, vedendoci.
“Buongiorno” rispondiamo io e Jim all’unisono, mentre Ali ci fa un cenno e Connor sorride ai due Sanders.
Sto per aprire bocca e dire che mio padre è piuttosto preoccupato per Zack, ma non faccio in tempo dato che un urlo alle mie spalle m’interrompe.
“È successa una cosa bellissima!”
È Cherie, la dolce, timida, Cherie che quando sta con noi è tutt’altro che chiusa e riservata. Ci corre incontro stretta nei suoi pantaloni bianchi e nella sua maglietta raffinata, coi capelli color castano chiaro raccolti in un morbido chignon e un sorriso enorme dipinto sul volto.
“Cosa?” chiediamo quasi tutti insieme.
Lei si blocca davanti a noi, estasiata, con gli occhi che irradiano pura gioia. “Andiamo al Festival del Rock a New York, ragazzi!” ci dice, quasi gridando.
Okay, Cherie deve aver assunto una qualche sostanza allucinogena, che le ha fatto immaginare di aver sentito simili parole da un qualsiasi informatore.
Il sorriso della ragazza si spegne, notando i nostri visi scettici.
“Cherie, tesoro” esordisce Alicia, poggiando una mano sulla spalla dell’amica. “Tu sai che stanno registrando un disco e sono in ritardo? Lo sai che non possono assolutamente permettersi, ora come ora, di andare ad un festival?”
“E sai che tuo padre non sta affatto bene?” continua Connor, mordendosi il labbro.
“Dovete credermi! Mio padre stamattina era tutto contento e non ha smesso un secondo di parlarmi del festival! Ha detto che Larry ieri sera lo ha chiamato e gli ha detto che sarebbero andati, ma agli altri lo avrebbero comunicato solo stamattina! Sabato prossimo saremo a New York” continua lei, imperterrita con la sua teoria e riacquistando il sorriso.
 
***
 
Dopo due infinite ore di matematica, passate a giocare a tris contro Connor e a mandare messaggi a Nathan per suggerirgli qualcosa di storia, di cui stava facendo il test; dopo un’ora di scienze passata a fissare il nulla e un’ora di religione noiosissima, siamo a pranzo.
Nella nostra scuola il pranzo consiste in poche porcherie che la cuoca ti mette nel vassoio con un’aria schifata. Il più delle volte c’è una fettina con delle patatine fritte, a volte un po’ di pasta. Il tutto accompagnato da una fetta di pane, un bicchiere d’acqua e, a volte, una fetta di qualche torta non troppo buona dal sapore ispido.
Ovviamente noi adolescenti non siamo così idioti, altrimenti il numero dei ragazzi presenti ad Huntington Beach sarebbe ben minore di quello attuale a causa di una forte epidemia di intossicazione alimentare. Bé, tutti si portano il pranzo da casa. Panini, pasta fredda, crostate di mele, frutta. Qualsiasi cosa è meglio delle porcate che ci offre gentilmente la scuola.
Al momento siamo seduti al nostro solito tavolo addossato all’angolo più in ombra della sala e parlottiamo animatamente.
“Cherie, ne sei proprio certa?” chiede Ali, per la centesima volta.
“Certo! Non ci sono dubbi, andremo lì” risponde Cherie, rubando una patatina dal piatto di Jim.
“Ma, Cherie, perché mai Larry avrebbe deciso di fare questa cosa se sa benissimo che devono concentrarsi al massimo se vogliono finire questo disco almeno tra qualche decennio?” ribatte, giustamente, Connor.
“Giusto! E poi Zack non si trova proprio in condizione di suonare” mi schiero, parlando con la bocca piena di pizza.
“Non so cosa sia passato per la testa di Larry” fa Cherie, piuttosto innervosita dai nostri dubbi. “Comunque, se davvero non mi credete, chiamate allo studio e chiedete.”
Giusto. Così ci leviamo il dubbio una volta per tutte e siamo tutti più contenti. Poi, magari, leggo anche qualche riga sulla vita di Shakespeare, che la prof alla prossima ora mi interrogherà sicuramente.
Jim compone il numero di papà e mette il vivavoce, così tutti ci raduniamo attorno a lui per sentire la conversazione.
Papà risponde dopo un paio di squilli, e non sembra proprio felice.
“Jimmy, non dirmi che i tuoi fratelli si sono cacciati nei guai! Io li avevo avvisati, oggi. Non posso venire, che se la sbrighino con Michelle!” dice, in fretta e piuttosto agitato.
“No, papà, calmati. Non ti ho chiamato per Connor e Nic, volevo solo chiederti una cosa” gli dice Jim, trattenendo una risata.
“Ah, menomale. Dimmi.”
“Cherie ci ha detto che suonerete al Festival del Rock a New York, è vero?”
Papà, dall’altro capo del telefono, prende un bel respiro profondo prima di rispondere. Si sente in sottofondo il vocione di zio Matt che chiama papà per dirgli di andare ad aggiustare un qualcosa di rotto, poi Johnny che grida ancora più forte per dirgli di stare zitto dato che è al telefono. Nathan scoppia a ridere, ricevendo una pacca sulla testa dalla sorella.
“Sì, Jim. È vero. Ma ne stiamo discutendo, non pensiamo sia il caso. Siamo molto indietro col lavoro, e Zack non sta davvero bene. Larry avrebbe già fermamente deciso, ma quasi tutti noi preferiremmo starcene qui a lavorare. E a Zack farebbe di certo meglio.”
La sua voce lascia trapelare tutta la tristezza, tanto che nessuno di noi sa più che dire.
“Va bene, pà. Ci vediamo dopo, ciao.”
Cherie è sbiancata, così le vado vicino e le circondo le spalle col mio braccio. Anche gli altri si stringono accanto a lei, le dicono qualche frase per rassicurarla ma sappiamo bene che le parole valgono ben poco. In simili situazioni solo i fatti valgono.






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Eccomi tornata col primo effettivo capitolo :) lo so che fa un po' schifo, ma è solo l'inizio e ho in mente diversi colpi di scena xD

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