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Autore: MedusaNoir    28/06/2013    1 recensioni
A Roma Giovanni e Matteo gestiscono un negozio di fumetti, ma sono anche soci di un'associazione ludica dove spesso alcuni ragazzi dell'Eur si ritrovano per giocare di ruolo. Marta, goffa e testarda, cerca di seguire più serie tv possibili, finendo così per pensare per citazioni; Leonardo è timido, ma gli basta parlare di "Game of Thrones" per dimenticare di avere davanti un'altra persona; Stefania, ventun'anni, è la più piccola del gruppo e cerca di mascherare con un atteggiamento scostante l'insicurezza che deriva dall'avere un corpo massiccio e troppo lontano dai canoni della bellezza; Roberto è manipolatore e detesta essere battuto, che si tratti di giochi da tavola o di scommesse.
Tra feste nel negozio di fumetti, giochi e vacanze di ruolo - ma senza dimenticare la vita universitaria o domestica che scorre intorno ai protagonisti, divorzi, esami e amori inaspettati - i sei ragazzi si troveranno ad affrontare le loro paure e, chissà, forse anche a superarle.
Genere: Commedia | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Che piacevoli i vuoti di memoria, il premio che si trova sempre sul fondo di ogni bottiglia di vodka



Quando Amy scese a fare colazione, la mattina seguente, trovò il gruppo immerso in una fitta conversazione con la proprietaria della locanda, Ameiko Kaijitsu. L’ex avventuriera, membro di una delle famiglie più potenti di Sandpoint, aveva offerto agli eroi della città vitto e alloggio per una settimana e ora le persone che avevano aiutato Amy a sconfiggere i goblin erano sedute attorno a un tavolo e pendevano dalle labbra della locandiera.

«Buongiorno» salutò la ladra con un sorriso.

Il primo a risponderle fu Robert, che immediatamente le fece posto sulla panca; il mago Jerle, invece, le rivolse uno sguardo poco interessato, mentre Ygritte si limitò a emettere un grugnito.

«La signorina Kaijitsu ci stava parlando di un fatto increscioso avvenuto questa notte…»

 

«Oh, andiamo!» scattò Stefania, roteando lo sguardo verso l’alto. «“Signorina Kaijitsu”? “Fatto increscioso”? Sei un guerriero o un paladino, tu?!»

Marta affondò la testa nelle braccia: non avevano ancora iniziato e già Stefania aveva trovato un pretesto per sbraitare contro qualcuno.

Per tutta risposta, Roberto sfoderò un ghigno divertito. «Un guerriero non conosce forse le buone maniere?» chiese, allargando le braccia.

Sapendo che sarebbe partita una discussione di almeno dieci minuti – Roberto era in grado di tenere testa a Stefania e lei detestava non avere l’ultima parola – Marta si tappò le orecchie e fissò il poster di Sine Requie che quel pomeriggio qualcuno aveva appeso alla parete. Le faceva ancora male la testa per tutta la vodka che aveva bevuto due sere prima, ma non era stupida: sapeva che il vero motivo dell’emicrania non era il dopo sbornia, bensì la consapevolezza di ciò che aveva fatto in preda all’alcol.

“Ho chiamato Matteo” si ripeté per l’ennesima volta, soffocando un sospiro di disapprovazione. “Gli ho chiesto di uscire con me. Ma come cavolo mi è venuto in mente?!”

Non ricordava con esattezza come si fosse svolta l’umiliazione, però aveva ben impresso il rifiuto di Matteo. D’accordo, era notte fonda – le pareva, almeno – e d’accordo, doveva essere stata insopportabile da ubriaca, ma le parole del ragazzo erano state fin troppo lapidarie. Per quel motivo il pomeriggio seguente si era recata da Roberto, con una maglietta che aveva sgraffignato a Teresa, da cui era rimasta a dormire; aveva scoperto che Roberto non era male, si era anche divertita in sua compagnia, forse voleva solo ripetere l’esperienza.

“O scacciare Matteo dalla mente, ammettiamolo.”

Possibile che dovesse umiliarsi ogni volta che perdeva la testa per qualcuno? Come quando aveva sedici anni… Per fortuna era passato del tempo da allora – parecchio tempo, considerate le differenze tra la se stessa di adesso e quella del liceo – e nessuna delle persone in quella stanza l’aveva conosciuta prima del cambiamento. L’istinto masochista, tuttavia, si ostinava a fare capolino di tanto in tanto, costringendola a comportarsi in modo stupido e affrettato.

Avrebbe preferito che il suo grande amore fosse un Silente, uno di quegli alieni di cui ci si dimentica non appena si distoglie lo sguardo; il problema, però, era che Matteo rimaneva lì, non importava quanti poster di Sine Requie fissasse, e lei non era il Dottore né River Song: non poteva distruggerlo.

 

«Questa notte la tomba del vecchio sacerdote è stata profanata» spiegò Ameiko. «E il corpo… sparito.»

«È orribile» mormorò Amy, avvertendo un brivido percorrerle la schiena.

«Non avete idea di chi possa essere stato?» domandò Jerle, abbassando il cappuccio rosso.

Ameiko scosse la testa. «Lo sceriffo non ha ancora arrestato nessuno. In realtà si chiedeva se voi…»

«Noi uccidiamo» la interruppe Ygritte. «Gli eroi non indagano.»

 

«Mi sembra ovvio: io non posso usare “increscioso”, ma il tuo barbaro conosce il verbo “indagare”!»

«Andiamo avanti» li riprese Matteo, prima che Stefania potesse aprire bocca. Era visibilmente infastidito, ma Marta non sapeva dire se per i continui battibecchi tra i due giocatori o per la telefonata notturna.

“Non mi ha ancora mai guardata” constatò. “Merda.”

 

«Non si preoccupi, Ameiko,» la rassicurò Amy, «possiamo pensarci noi.» Si avvicinò all’orecchio di Ygritte e sussurrò: «Ci sarà sicuramente un compenso, e poi potrai fare a pezzi gli sciacalli che hanno profanato la tomba.»

Il barbaro grugnì ancora, dando il suo assenso.

 

«Vi recate dallo sceriffo,» narrò Matteo, «che vi conferma ciò che Ameiko vi ha raccontato a colazione.»

«Gli chiedo se hanno trovato delle tracce, delle impronte di scarpe» disse Leonardo. «Potrebbero essere umani o goblin.»

«I famosi goblin che rubano cadaveri» sogghignò Roberto, facendo ridere anche Stefania.

Marta stava cercando di seguire il loro ragionamento – dei giocatori, non dei personaggi. Stefania si attaccava con Roberto, tuttavia era dalla sua parte quando la vittima degli scherni era Leonardo. La mente di una donna era contorta, ma quella di Stefania era un labirinto di Dedalo.

Mentre rifletteva, incontrò lo sguardo di Roberto, che gli sorrise complice, come se tra loro ci fosse un segreto che gli altri non avrebbero mai dovuto scoprire. Si riferiva al modo in cui le aveva parlato al Giardino degli Aranci o alle passioni e ai desideri che le aveva rivelato? O – Marta si sentì contorcere lo stomaco – alla relazione che c’era tra loro?

Quale relazione, poi? Erano usciti un paio di volte, niente di più, potevano definirsi “conoscenti che pianificano di diventare amici.”

“Che definizione del cavolo.”

Già, avrebbe potuto scacciare quell’ulteriore preoccupazione in pochi secondi, ma doveva ammettere che era corsa da lui dopo il rifiuto di Matteo, invece di tornare a casa e guardarsi un’intera stagione di Friends.

La situazione si faceva sempre più complicata.

 

Non appena gli eroi di Sandpoint ebbero varcato l’entrata della cripta, l’orrore si manifestò ai loro occhi: due scheletri giacevano accanto alle pareti, ma bastò la loro entrata per farli animare. Li attendevano, era certo.

«Amy, dietro di me!» esclamò Robert, mentre Jerle lanciava una palla di fuoco contro lo scheletro più vicino.

L’avversario fu preso in pieno, ma il guerriero dovette farsi avanti per annientarlo completamente. Amy tese la fionda e tirò il sasso, raggiungendo però solo l’orecchio di Robert. Lo scheletro ancora in piedi utilizzò la spada e graffiò l’armatura del guerriero, fortunatamente senza ferirlo.

Venne il turno di Ygritte, che tranciò in due il nemico, uccidendolo; come se non bastasse diede un calcio ai resti del suo corpo.

«Sei ferita?» chiese Robert a Amy, che scosse la testa.

«No, io… Scusami, non volevo colpirti!»

Il guerriero le rivolse un rapido sorriso. «Non è stato niente, può succedere.»

Jerle strappò il mantello dal primo scheletro, analizzandolo.

«Qualcuno è stato qui» notò Ygritte, dopo aver osservato le impronte che portavano fuori dalla cripta. «Non siamo noi e non possono essere stati gli scheletri… Sono impronte umanoidi.»

«Dobbiamo andare dal Gran Sacerdote.»

 

«Ci andiamo subito o perdiamo tempo ad analizzare il mantello?» chiese Stefania, incrociando le braccia dietro la nuca.

«Ehi, non è una perdita di tempo!» esclamò Leonardo.

«A proposito di perdere tempo, Ygritte,» ghignò Roberto, «ci hai messo un bel po’ prima di entrare in campo.»

«Non è colpa mia: dadi schifosi. E tu, invece? “Sei ferita?” Come devo ripetertelo? Sei un rozzo guerriero di provincia, non un paladino!»

«Siete voi barbari a essere rozzi, piccolina.»

Stefania avvampò. «Non chiamarmi…»

«Ninfadora» concluse automaticamente Marta. E, automaticamente, portò lo sguardo su Matteo per vedere se avesse colto la citazione.

L’aveva fatto, ma nell’attimo in cui i loro occhi si incontrarono il game master tornò a concentrarsi sul manuale, visibilmente irritato.

 

 

“Procede meravigliosamente” constatò Roberto, appoggiando la testa sulla mano in una posa sognante. “Dev’essere successo qualcosa che non so fra quei due… e devo approfittarne il prima possibile.”

L’unico neo del suo piano era l’ignoranza riguardo il motivo che spingeva Marta e Matteo a non incrociare gli sguardi: si erano sentiti, prima che lei comparisse davanti all’officina di Roberto? Sì, doveva essere così, ma cosa potevano essersi detti?

Detestava non saperlo, lo vedeva come un limite alla storia che aveva intenzione di scrivere, ma in fondo uno scrittore non viveva di immaginazione? Stava già cominciando la prima bozza ed era orgoglioso di come si stesse presentando: nemmeno un accenno al sesso e credeva che non ci sarebbe stato per diversi capitoli.

E nella vita reale?

“Beh,” pensò, soffermandosi sulle dita di Marta che si intrecciavano con i corti capelli rossi, “non vedo l’ora.”

«Quanto avete in carisma?» chiese Matteo, riportandolo alla realtà. Ah, ignaro game master, se solo avesse saputo cosa il destino – nome in codice: Roberto Trani – aveva in serbo per lui!

«Quattordici» rispose Marta.

«Nove.»

«Mh, ma dai? Non me lo sarei mai aspettato!» rise Roberto alla risposta di Stefania. «E tu, Leo?»

«Sedici.»

«Come al solito, gli elfi devono splendere sempre…»

«Roberto?»

Si dondolò sulla sedia, fingendo di non avere udito la domanda; poi, dopo qualche momento, rispose: «Diciotto.»

Per poco Stefania non sputò l’acqua che stava bevendo. «Diciotto? Ma sei un guerriero o cosa?!»

«Oh, piccola barbara…» Roberto rimase in silenzio, riflettendo rapidamente sul modo di approfittarne per far colpo su Marta. «Non giudicare in continuazione i guerrieri come se fossi una di noi. Tu non sai niente, Stefania Danesi.»

Notò di avere ottenuto l’effetto desiderato: Marta gli stava sorridendo, mentre Stefania, che doveva aver intuito il suo gioco, non replicò, ma si rivolse a Matteo: «A che ti serve saperlo?»

«Beh, questo è un gioco in cui bisogna interpretare, piuttosto che combattere.»

«Che noia.»

«E se è Robert il personaggio con maggiore carisma…»

 

«Siete… siete voi… gli eroi di Sandpoint?»

Roberto si voltò, sentendosi tirare un braccio: di fronte a lui, affannata e spaventata, c’era una ragazza per la quale l’aggettivo “meravigliosa” non sarebbe bastato. Lo fissava, agitata, senza curarsi dei seni che minacciavano di uscire dal vestito scollato.

«Calmatevi» tentò di tranquillizzarla il guerriero, posandole entrambe le mani sulle spalle. La ragazza parve rilassarsi a quel tocco. «Cos’è successo?»

«Mi chiamo Shayliss, sono la figlia del proprietario dell’emporio» si presentò.

«Il mio nome è Robert, e sono al vostro servizio.»

Shayliss azzardò un sorriso, tornando presto seria. «Robert, vi prego, venite con me! C’è qualcosa nella mia cantina che… oh, divinità…»

 

«Se proprio insiste…» Roberto si strinse nelle spalle. «Ok, la seguo.»

«Se fosse stata uno sgorbio non l’avresti aiutata» sbuffò Stefania.

“Certo che no” avrebbe voluto concordare Roberto, ma decise che non sarebbe stata la scelta più saggia in presenza di Marta.

«Prova a chiedermi aiuto.»

«Ygritte non lo farebbe mai.»

«Allora non lo saprai mai.»

«La donna,» riprese Matteo, «ti conduce alla sua abitazione…»

 

«Là sotto.» Shayliss indicò una porta aperta, dietro la quale si intravedeva una scala.

«L’avete lasciata spalancata?» chiese Robert, aggrottando le sopracciglia. «O la creatura è scappata?»

«No, è stata una mia dimenticanza…»

Sembra piuttosto calma, in quel momento, per una persona con un probabile mostro che girava per casa – forse si era già messo sotto le coperte. Robert cacciò quel pensiero e sguainò la spada, procedendo nel buio.

«Restate indietro.» Con la poca luce che filtrava dalla finestrella in cima alla cantina, il guerriero riuscì a riconoscere dozzine di scaffali su cui erano accatastati libri, erbe e vivande. Qualcosa gli scivolò accanto al piede, ma scoprì presto che si trattava di un innocuo topolino della grandezza di un bicchiere.

Si voltò per risalire e comunicare alla bella Shayliss che le sue paure erano immotivate, ma si ritrovò la ragazza alle spalle. Avrebbe volentieri messo la spada fra di loro, se solo una mano dalle dita affusolate non glielo avesse impedito, stringendoli il polso.

“Dev’essere una trappola” ebbe appena il tempo di pensare, prima che Shayliss posasse le carnose labbra sulle sue. “Oh, beh, al diavolo!”

Lasciò che la ragazza lo baciasse sul volto e sul collo, mentre gli toglieva l’armatura con esperta scioltezza; Robert le sollevò la gonna e indugiò con le dita sulle morbide cosce, finché…

«Che sta succedendo laggiù?!»

 

«Suo padre vi ha scoperti!» esclamò Matteo, facendo sussultare perfino il vero Roberto.

«Ma non è giusto!» protestò lui. Scrutò la pagina del manuale che il game master aveva di fronte. «Fa’ un po’ vedere l’immagine di questa… Oh, cavolo! Beh, è bella forte. Come ho potuto pensare che fosse un’innocente vergine in cerca d’aiuto?»

«Shayliss squittisce: “Cielo, mio padre!”»

Perfino Marta scoppiò a ridere per il tono in cui Matteo lo disse, mentre fingeva di coprirsi con una gonna invisibile.

 

«Oh, cielo, tuo padre!» gli fece eco Robert, sbrigandosi a riallacciare l’armatura e a correre oltre l’uomo che gli intralciava il passaggio.

«Chi sei tu? Che stavi facendo a mia figlia?!»

«Gran bella figlia» si complimentò il guerriero con un sorriso, prima di scappare dalla casa con il negoziante alle calcagna.

 

«Ma è accaduto veramente?» chiese Stefania, visibilmente disgustata. «Non pensavo avessi il gusto per l’osceno, master.»

«Non si tratta di volgarità, è Roberto che ha voluto giocarla così» si difese Matteo, agitando tra le mani una decina di dadi. Roberto non era sicuro se lo stesse facendo per puro sollazzo o se volesse tirarli per far cadere il cadavere di una viverna su Ygritte. «E ho solo seguito il manuale.»

“Sei così bravo a farti dare ‘ordini’, voglio vedere come ti comporterai con il mio piano.”

«D’accordo, d’accordo, credo di essere uscito indenne da lì,» esclamò Roberto, «ora possiamo continuare? Sai, master, temo che i miei compagni si stiano annoiando…»

 

 

Leonardo non si stava annoiando, era semplicemente infastidito dal modo di ruolare dei suoi compagni: chi di loro non stava interpretando se stesso? In fondo non gli interessava neanche più di tanto, ognuno era libero di giocare come preferiva, però trovava snervante alzare gli occhi dalla scheda del suo personaggio e trovarsi catapultato nella realtà tanto rapidamente.

E trovava snervante il reale carattere dei giocatori.

Nulla da dire su Marta, gli era sempre sembrata una brava ragazza, ma Roberto faceva il possibile per attrarla a sé, senza che Leonardo riuscisse a capirne il motivo; era abbastanza evidente che non provasse niente per lei, e allora perché continuare quella farsa? Gli dava fastidio anche il continuo bisticciare con Stefania che, di punto in bianco, si tramutava in alleanza quando l’oggetto delle battute era lui. Erano andati avanti così per tutta la sessione, attaccandosi e poi alleandosi, con uno scambio di sogghigni e sguardi divertiti che Leonardo non trovava affatto divertenti.

Il giorno precedente era stato bene con Stefania, aveva perfino scoperto che era in grado di rilassarsi – seppure per pochi minuti. In quei momenti, quando la sua fronte si stendeva e scomparivano i solchi simili a rughe che la rendevano arcigna e la invecchiavano di cinque anni, Stefania poteva essere una piacevole compagnia; tutto ciò durava poco, ma Leonardo aveva sperato in un cambiamento nel loro rapporto. Forse, stupidamente, si era in anticipo dato il merito di essere la prima persona a mettere Stefania Danesi a proprio agio.

«Jerle, che fai?»

La testa di Leonardo scattò in alto, mentre il ragazzo tentava di capire a che punto fossero della sessione. «Scusa, cos’è successo?»

«E il nostro bell’elfo si era perso nel mondo dei sogni!» lo canzonò Stefania, tirando un dado da venti facce. «Diciotto: a quanto pare avevo ragione, stavi pensando alla rossa che ha tentato di farsi Robert.»

«Avresti voluto essere al mio posto, eh? Ti capisco, ti capisco…» rincarò la dose Roberto. «Ma puoi pensarci una volta a casa, staresti anche più comodo.»

Quelle parole fecero ribollire il sangue nelle vene di Leonardo. Insinuare una cosa del genere su di lui? Si disse di stare calmo: loro non lo conoscevano – non così a fondo – e sbraitargli contro l’avrebbe solo fatto sembrare fuori di testa.

«Stavo riflettendo su chi abbia potuto depredare il corpo del sacerdote» rispose invece.

«Questa nuova conoscenza potrebbe aiutarci, forse» disse Marta, che Leonardo notò intenta a battere ritmicamente la punta della dita sul tavolo, come se fosse nervosa.

«Questa…?»

«Il conte Aldern Foxgrove,» spiegò Matteo, «l’uomo che vi ha invitati a caccia ieri sera.»

«Ah, è vero!»

«Siete appena giunti al Bosco delle Zecche…»

«Che nome entusiasmante!» esclamò Roberto.

 

Il conte si avvicinò al cavallo di Amy e le tese una mano per aiutarla a scendere.

«La ringrazio» sorrise la ladra, mettendo in pratica le doti carismatiche che aveva acquisito con gli anni e che le aveva già fatto guadagnare la fiducia di malcapitati avventori di Sandpoint.

«Non posso lasciare che roviniate il vostro bel vestito.»

Ygritte, alle loro spalle, grugnì e si lanciò giù dal suo cavallo, rischiando però di cadere contro il suolo: la sera prima, alla locanda della Lampreda dove avevano conosciuto il conte Foxgrove, mentre i suoi compagni si godevano la zuppa di astice lei si era cimentata nell’impresa di bere l’acqua della vasca vicino all’ingresso. A giudicare dal peso del sacchetto pieno di monete d’argento che aveva vinto, in molti dovevano averci provato, senza però riuscire a resistere dal fiondarsi in bagno prima di concludere la prova. Diversi clienti della locanda le avevano allora offerto da bere e andare a caccia dopo una sbornia non era la cosa più saggia che una persona potesse fare – ma lei era un barbaro, e i barbari non conoscevano la parola “saggezza”.

«Dov’è questo cinghiale che dobbiamo ammazzare?» chiese, estraendo lo spadone dal fodero che teneva sulla schiena.

«Non credo ci stia aspettando» le rispose Jerle, preparando arco e frecce. Era un mago, ma non amava girare disarmato, era ancora agli inizi e preferiva non rimanere senza incantesimi nel momento cruciale. «E non credo neanche che sia possibile cacciare con quell’arma.»

Ygritte si avvicinò e lo sovrastò. «Ho ucciso una viverna con Jiquireah, posso strapparci le budella a un cinghiale.»

 

Forse fu l’immagine di Stefania che torreggiava minacciosa su di lui a convincere Leonardo a chiudere lì il discorso.

«Ehm… Cacciamo, allora?»

Trascorsero due ore nel bosco alla ricerca di animali da portare ad Ameiko per ringraziarla del soggiorno offerto nella sua locanda e finalmente, quando i loro stomaci stavano iniziando a brontolare, erano riuscita a trovare e a uccidere un cinghiale – grazie a Robert, ma nessuno volle farlo notare a Ygritte. Strano, aveva pensato Leonardo, convinto che Roberto ne avrebbe approfittato per fare a Stefania qualche battuta sulla poca utilità che aveva avuto il suo personaggio; si accorse solo dopo che il ragazzo era troppo impegnato a studiare il modo in cui il game master, nelle vesti di Aldern, tentava suo malgrado di mostrarsi gentile con Amy.

Se n’era accorto anche lui: Matteo sembrava riluttante a rivolgere la parola a Marta e per tutto il tempo in cui il conte aveva cordialmente discorso con Amy i due non si erano mai guardati negli occhi. Stefania aveva poggiato la testa sul palmo della mano, rivolgendo uno sguardo sospettoso a entrambi.

Volevano forse darla a bere a qualcuno?

«Bene, direi che per oggi abbiamo finito qui» annunciò Matteo, chiudendo il manuale.

«Solo un misero combattimento e due – quattro idioti che flirtano?»

«I combattimenti arriveranno, Ste.»

«Uff, lo spero.»

Stavano mettendo tutti via le proprie cose quando Leonardo trovò il coraggio di poggiare una mano sulle spalle di Stefania. «Possiamo dirglielo ora» sussurrò.

«Bene, fallo» disse lei, ritornando a liberare il tavolo dai propri dadi.

“Sembra facile.”

Leonardo detestava parlare in pubblico e detestava ancora di più essere al centro dell’attenzione, per questo aveva contato sull’aiuto di Stefania – che, per la milionesima volta in quella serata, lo aveva deluso. Restò comunque in piedi accanto a lei, sperando così di non essere l’unico a cui i presenti avrebbero rivolto lo sguardo.

«Devo dirvi una cosa» dichiarò, dopo essersi schiarito la voce. Marta e Roberto lo fissarono, Matteo impiegò qualche secondo di più: sembrava che quella sera tutti fossero persi nei propri pensieri. «Io e Stefania stiamo partecipando a un gruppo di cosplay di Game of Thrones e… ecco… alcune persone hanno dovuto rifiutare per impegni dell’ultimo minuto. So che il Romics è alle porte, però ci chiedevamo se voi voleste…»

«Vi va di mascherarvi con noi?» concluse Stefania, probabilmente stanca della lentezza del suo discorso. «Leonardo non è troppo male a cucire.»

«È un’ottima idea!» esclamò Marta, battendo le mani. «Non ho ancora preparato niente, temevo di non poter venire in cosplay quest’anno.

«Ci sto anch’io» disse Roberto.

Matteo tentennò. «Non lo so, Leo… Non ho mai fatto un cosplay, credo che non mi sentirei a mio…»

«Oh, ma tu devi venire» lo interruppe Stefania, scoccando però un fugace sguardo a Roberto. «Sei perfetto per Ned Stark.»

Non fu tanto il tono imperioso della ragazza, pensò Leonardo, quando le sue parole a persuadere Matteo: lo vide spalancare la bocca e aggrottare le sopracciglia, riflettendo.

«D’accordo, proverò a farlo.»

«Ci dai la tua parola?»

«Lo farò.»

Raramente Stefania doveva avere avuto un’espressione tanto raggiante, sembrava essersi presa l’idea del cosplay più a cuore di lui. «Bene, Roberto, tu sarai Ditocorto!»

«Un ruolo perfetto per me.»

Stavano uscendo dal Sotterraneo del Drow quando Marta chiese: «E io?»

Leonardo, che aveva silenziosamente delegato a Stefania il compito di assegnare i ruoli, la sentì rispondere distrattamente: «Oh, giusto. Tu sarai Catelyn, la moglie di Ned.»

Senza capirne il motivo, Leonardo notò allo stesso tempo le espressioni spaventate sui volti di Matteo e Marta e lo scambio d’intesa fra Stefania e un soddisfatto Roberto.


SETTIMO CAPITOLO

 

Il titolo è una citazione da The Big Bang Theory.

 

MARTA:

- Silente e River Song: personaggi di Doctor Who.

- “Non chiamarmi Ninfadora”: citazione di Harry Potter.

 

ROBERTO:

- I punteggi delle caratteristiche (come in questo caso il Carisma) possono, alla creazione del personaggio, arrivare a un massimo di 18/20.

 

LEONARDO:

- Ditocorto (Petyr Baelish), personaggio di ASOIAF, è stato innamorato fin da ragazzo di Catelyn Tully Stark.

 

 


SPAZIO AUTRICE

 

Prima di tutto mi scuso per il ritardo pazzesco. Poi mi scuso ancora, perché il prossimo capitolo non arriverà prima di tre settimane: ho deciso di rivedere tutto dall’inizio, di segnarmi ogni dettaglio e di farmi un breve riassunto dei futuri capitoli, perché altrimenti rischierei di far avvenire certe situazioni prima di altre (oltre a perdermi diversi particolari, ché ho una memoria terribile); da quel momento in poi, aggiornerò ogni due settimane, perché è una “maratona” per me (e per voi che seguite la storia) postare ogni settimana – e non ci riesco mai.

Passando al capitolo, mi dispiace che sia proprio questo a collocarsi nel mezzo della pausa: non sono andata avanti di molto con la narrazione – diciamo per niente – ma ho voluto parlare anche del gioco di ruolo, avendo esso dato il titolo alla storia; si ripeterà, ma probabilmente prenderà lo spazio di un solo POV (e non di tutto il capitolo, come in questo caso).

Spero che vi sia comunque piaciuto, alla prossima! ^^

 

Medusa

   
 
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