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Autore: violet123    29/06/2013    3 recensioni
Dopo la rottura, Kurt e Blaine non hanno saputo più nulla l'uno dell'altro. Sette anni dopo, Kurt, laureato in Cinema, accetta un lavoro come sceneggiatore a Los Angeles. Questa è la storia di un amore mai dimenticato, di casualità, di coincidenze: per sette anni si sfiorano,senza incontrarsi mai. Ma tutto li conduce ad una sera d'estate, a Los Angeles... Si videro. In quel momento, e solo per quell'istante, furono nudi, entrambi, l'uno di fronte all'altro. Senza difese, inermi. Solo un istante, di perfetta ed assoluta verità. Come se fosse franato tutto quello che in quegli anni avevano detto a loro stessi per farsi meno male, per far andar via il dolore. Tutte le parole, i discorsi, le giustificazioni, tutte scomparse in quello sguardo. E al loro posto, la meraviglia senza tempo di due persone che, semplicemente, si riconobbero. Tutta la loro storia,tutta la loro tenerezza, in quello sguardo. Erano loro. Loro due. Poi il tempo ricominciò a fluire, lasciandoli a ritrovare un contegno, a ricomporsi, dopo quell'istante di verità,nel quale i loro occhi li avevano traditi, lasciandosi scappare un: non ti ho dimenticato mai. Vorace, urlato. Dritto all'anima.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Blaine, aiutami a scaricare quegli amplificatori!” urlò Heat sollevando un ammasso di fili elettrici e riponendoli in un cartone appoggiato accanto al vecchio pick-up.

Blaine ne sollevò uno, contraendo il viso per lo sforzo.

Camminò verso il palazzetto davanti al quale era stazionato il pick-up, entrando attraverso la porta principale del locale, il Backall.

Appoggiò l'amplificatore accanto al palco; un gruppo di macchinisti parlava di luci e disposizioni degli strumenti. Mentre riprendeva fiato, un ragazzo con una maglietta grigia gli si avvicinò.

“Ehi, sei lo strumentista?” disse. Blaine lo guardò. Strumentista.Che parola strana, ridicola. Qualcuno che suona per accompagnare gli altri, che esegue delle note, per tessere la melodia di qualcun altro. Pensò che infondo però era meglio così. Aveva uno spartito, delle note chiare. Niente fraintendimenti. Nessun margine di errore.

“Si, sono io”. Rispose.

“Perfetto” replicò il ragazzo in maglia grigia, annotandosi qualcosa su di un taccuino nero. “Allora, quando finite di scaricare, vieni di qua che ti presento la band”.

Blaine si guardò intorno. Di nuovo, un ingaggio. La band faceva punk-rock, pagavano bene, e poi doveva pur sopravvivere in qualche modo.Suonare era il modo migliore. Lo faceva star bene. Era sempre stato così. Era un appiglio al passato, ad una parte di sé più intima, più vera, un sé al quale ancora voleva bene, dopo tutto. E suonare in quel modo, nelle retrovie, non lasciava spazio alle conseguenze. Un tempo credeva che la vita fosse un copione non scritto, che dovesse essere tale, che si vivesse di imprevisti, di sensazioni, di attimi, senza riflettere troppo, abbandonandosi alle onde, onde bellissime, che l'avrebbero sempre riportato a galla. Poi scoprì che le onde invece si ritirano e tornano a montare così velocemente, che neanche te ne accorgi. E che quella che credevi una distesa di sabbia arida, torna ad essere abisso in un secondo, un abisso nel quale rischi di annegare. E a lui era capitato, di vedere un momentaneo ritiro delle onde e di prenderla per una distesa di sabbia senza speranza. Ma poi le onde erano tornate e lo avevano inghiottito. Lui aveva sbagliato; aveva agito d'impulso, senza riflettere, condannandosi ad una vita da naufrago. Non aveva diritto ad un ruolo da solista. Non più. Era stato egocentrico, testardo, superbo, anche. Ed aveva rovinato tutto. Quel sentimento amaro gli si riproponeva, spesso, sempre uguale a sé stesso, come se non fosse mai passato tutto quel tempo.

°°°°°°°°°°°°°

Autunno 2012. Non posso averlo fatto, non posso - Kurt come ho potuto? - Ero così solo, e tu così lontano, e...ma non posso continuare a trovare scusanti, non posso giustificarmi. Non è giusto, non lo è. E non posso tenermi tutto dentro, devo dirtelo. Quel ricordo scava come lame, mi contorce lo stomaco, sento che sto per vomitare se penso a quel pomeriggio. Devo dirtelo, non sopporto l'innocenza con la quale mi tratti, mi soffoca, Kurt, mi soffoca. L'amore che mi dai mi fa odiare me stesso. Non riesco, non ci riesco. Devo dirtelo, devi saperlo. New York. Verrò da te e tu mi perdonerai, sì, lo farai Kurt, vero che lo farai?

°°°°°°°°°°°°°°

Crescendo poi aveva capito che poteva – che doveva - non lasciarsi più la possibilità di sbagliare in quel modo. Che doveva gestire gli imprevisti e gli errori, combatterli, riconducendoli ad un senso, in qualche modo, pulito. Un senso che li rendesse meno pericolosi, che li neutralizzasse. Doveva sforzarsi di farlo per rimediare a quando si era lasciato travolgere, trafitto dalla sua stessa imprudenza. Era il minimo che potesse fare. Per questo aveva detto a Heat di farsi gli affari suoi, quando l'omone aveva tentato di instaurare un dialogo sul suo stile di vita. E' vero, non si era mai perdonato. Aveva agito per anni come se della sua vita non gliene importasse, come se volesse punirsi. E per certi versi era davvero così: non era ancora riuscito a fare pace con se stesso. Forse non ci sarebbe mai riuscito, sentiva di non meritarlo. Però aveva deciso che, dal momento che nella vita – almeno nella sua- non c'era spazio che per l'errore, tanto valeva fare qualcosa di utile. Era come un meccanismo che si innescava, basato sulla sensazione che la sua vita non valesse niente – non senza lui - e sulla necessità di tentare di rimediare, di redimersi, di riscattarsi, ma senza riuscirsi mai del tutto. E forse era questo il suo destino. Nelle retrovie, tentando di salvarsi dall'errore ogni singolo giorno.
La rissa. Ci ripensò. Era in giro per gli Stati Uniti, subito dopo il diploma, su di una moto rubata a Cooper, e senza un soldo. Progettava di andare in Sud America, forse in Messico. Si era fermato a mettere benzina, ed aveva visto un gruppo di ragazzi, più o meno della sua età. Rincorrevano e deridevano un di loro, il più piccolo, il più indifeso. “Femminuccia!” gli urlavano. Lo spintonavano. Blaine sentì qualcosa dentro spezzarsi. Si avvicinò. E fece a botte con loro. Quando si risvegliò, era disteso a terra con un occhio sanguinante, e con un poliziotto che gli leggeva i suoi diritti. Aveva visto l'onda, aveva visto l'errore del mondo, e aveva tentato di rimediare, a suo modo. Forse con un altro errore. Ma in quel caso, se l'abisso l'avesse inghiottito, ne sarebbe valsa la pena. Aveva capito così che gli errori, fossero suoi o di altri, doveva ricondurli e subordinarli a qualcosa, qualcosa che ristabilisse un residuale senso di giustizia in un mondo che proprio non ne ha più. A perdonarsi, a fare quello non ci era riuscito mai. Non avrebbe potuto. Ma suonare, protetto nel buio dei locali, senza errori irrimediabili a tormentarlo, lo riavvicinava al passato. A quando non si scontrava con l'errore, ogni giorno. Addirittura, nelle serate più disperate, gli faceva credere che forse non era una così brutta persona e che forse nel mondo c'era spazio per altro. Non era un perdono, ma era quanto di più vicino ad esso gli fosse concesso.

 

“Ehm … Blaine?” Un ragazzino tarchiato, con una maglietta degli Iron Maiden, lo distolse dai suoi pensieri.

“Sì...” Blaine lo guardò. Il ragazzino continuò: “ Io sono Bass, il chitarrista. E canto, anche. Volevo darti gli spartiti, magari potremmo…riguardarli insieme qualche volta”.

Attese una risposta di Blaine, che non arrivò.

Così continuò: “Più tardi andiamo a mangiare nel ristorante cinese infondo alla strada. Se ti va di venire con noi...”.

“Sì, certo.” rispose. Si salutarono e si avviò fuori.

Heat stava già dando di matto, senza Blaine ad aiutarlo. “Dov'è quello scansafatiche?” continuava a ripetere.

“Sto qui bello, non vorrai farti venire un infarto”. Disse Blaine, riprendendo a scaricare il piccolo furgoncino.

 

 

La giornata era stata faticosa, stressante. Non aveva voglia di andare a cena con la band. Era fatto così: accettava di buon grado tutti gli inviti che gli venivano rivolti, ma poi a poco a poco sentiva l'energia e la buona predisposizione venire meno, e non desiderava altro che starsene a casa, a guardare un film.

Quella sera però s'era fatto forza, ed era uscito.

Heat era ripartito per sistemare qualche altro gruppo nel nord del Paese, e l'aveva lasciato in uno squallido motel, assieme ad un cartone di tazze verdi con un'insegna gialla da distribuire in giro. L'insegna recitava “Soundsistems” e rappresentava la società di Heat di vendita di strumenti musicali e assistenza.

Blaine pensò che potevano anche trovargli una sistemazione più decente, i tizi del Backall. Il motel era vecchio e lurido e frequentato da gente strana.

Aveva aperto il frigo bar, stappando una mini bottiglia di rum ed una mini-coca. Il sapore era sgradevole; erano riusciti a far scadere il rum. Sputò quel liquido a terra, pulendosi le labbra con il dorso della mano. Se l'alcool era in quello stato, figurarsi il cibo. Così aveva scelto di andare a cena con loro, tanto doveva pur mangiare. Si era infilato una maglietta nera con uno smile giallo, ed era uscito. Entrando nel ristorante per poco non travolse il ragazzo delle consegne. Poi li vide. Li raggiunse, salutandoli.

Bass prese la parola: “Ragazzi, lui è Blaine. E' uno strumentista.” Gli altri ricambiarono svogliatamente il saluto, e ritornarono ai loro discorsi.

Blaine si sedette accanto a Bass, pentendosi d'essere uscito. “Non farci caso, sai, artisti incompresi” disse Bass. Blaine abbozzò un sorriso, versandosi da bere.

“Allora Blaine..dimmi qualcosa di te” disse Bass, interrogativo.

“Suono. Suono e viaggio, viaggio molto”. Blaine teneva il capo basso. Fissava le scritte cinesi intagliate sulle sedie di legno. Chissà che volevano dire.

“Ah davvero?” disse Bass incuriosito. “lo vorrei tanto anch'io. Per la laurea volevano regalarmi un viaggio in Europa, ma poi ho iniziato subito a lavorare..e sai, i treni o li prendi subito..o niente”.

“Già”. Blaine bevve un sorso. “ E dove hai studiato?”.

“A New York. Alla Nyada. Conosci?” rispose Bass.

Ancora lei, ancora New York.

E la Nyada. Chissà, forse quel ragazzo era nella sala mentre Kurt cantava per la sua audizione. Forse l'aveva incontrato nei corridoi mentre andava a prendere Rachel alla fine delle lezioni.

“Più o meno” mentì. “Più o meno”.

Bevve un altro sorso di birra.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

Dicembre 2012. Le lancette scandivano secondi che sembravano massi. Ogni minuto in più aveva il peso di una vita intera senza Kurt. Da quella sera, quella orribile sera, non l'aveva più sentito. Non una parola, un gesto, un segno. Nulla. L'aveva chiamato, milioni di volte. Gli aveva scritto. Era scappato, di notte, in treno, ed aveva bussato alla sua porta per ore fino a che Rachel non l'aveva mandato via, a casa di una sua amica, qualche isolato più in là. Era sparito, almeno per lui. Si sentiva in una strana cassa di risonanza. Ogni cosa che accadeva nel mondo esterno veniva distorta nei significati e nelle apparenze, e ricondotta a lui, a Kurt; il mondo gli sembrava ovattato, quasi impercettibile nella sua completezza. Blaine si sentiva morire. Ma non morire e basta, del tipo che smetti di vivere e non senti più nulla. Lui sentiva sulla sua pelle ogni secondo senza Kurt come una morsa atroce nella quale ogni parte del suo corpo, a poco a poco, veniva lacerata, impedendogli di pensare, di concentrarsi. Ogni secondo era un errore, una replica perfetta ed agghiacciante delle sequenze che l'avevano condotto a quella rottura.

Un giorno sentì Rachel. La chiamò, per sapere lui come stava. Rachel si lasciò sfuggire un particolare: Kurt avrebbe sostenuto il provino alla Nyada in anticipo, a Dicembre.

Blaine ci aveva ragionato per un po'. Poi aveva deciso di partire.

Era entrato, confondendosi tra la folla. Poi lo vide. Come sempre, bellissimo. Solo questo riusciva a pensare: era bellissimo. Ma notò che un impercettibile segno si faceva strada sul volto di Kurt, come un'emozione incontenibile e violenta. Stonò. Scappò via. Blaine lo rincorse. Incontrò Rachel, appena fuori la sala. Lei tentò di fare scudo con il suo corpo, impedendogli di continuare il cammino.

Rachel, devo parlargli” aveva detto, impaziente.

Devi andare via. Devi lasciarlo in pace”. La ragazza era agitata; quelle parole trasudavano rabbia.

Dammi la possibilità di guardarlo negli occhi. Voglio solo questo. Voglio che sappia che sono venuto. E che mi guardi negli occhi.” Era serio, ma non triste. Serio.

Dopo quello che hai fatto…devi solo stargli lontano”. Il tono di Rachel era fermo.

Blaine si guardò intorno agitando le braccia in un ironico segno di rassegnazione.“ Ok! Ho sbagliato, Rachel! Chi non lo fa? Chi non sbaglia, neanche una volta? Guarda che non sono tutti come te e Finn, perfetti ed intoccabili. “

Poi il tono si fece serio. "Chiedo solo di parlargli, solo un istante. Ti prego”.

Rachel lo guardò.

Ma questa volta con comprensione e tenerezza. Poi continuò: “No Blaine, non è questo.” Lo disse con dolcezza, con affetto, quasi. “Il problema non è quello che hai fatto. E' vero: tutti sbagliano. Ma tu gli hai rovinato la vita. Questo era il giorno più importante della sua intera esistenza, sognava questo momento da sempre, e tu l'hai rovinato. Rovinato. Hai distrutto i suoi sogni, Blaine. Io non posso permetterti di continuare a farlo. Se lo ami davvero, vai via. Non peggiorare le cose. Vederti lo distruggerebbe".

La verità. Dicono tutti che faccia male, ma che alla fine serva. Blaine non riusciva a capire come potesse servirgli, come avrebbe mai potuto essere utile tutto quel dolore.

Non pianse.

Indietreggiò solo di qualche passo. Poi si voltò. Andò via.

Camminò sino all'alba, nella nebbia di una New York glaciale, cercando di capire cosa fare. Intessendo dialoghi con Kurt, immaginando le parole che gli avrebbe detto, che avrebbe voluto dirgli. Ma che sarebbero rimaste tacitate dentro di sé. Per anni. Sette.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°

“Blaine, mi ascolti?” disse Bass.

“S-sì, certo”. Rispose, versandosi dell'altra birra.

“Quindi ti stavo dicendo che l'arrangiamento del pezzo è okay, ma bisogna riguardare gli accordi...” continuò Bass, mostrando a Blaine uno spartito.

Blaine si rigirava i fogli tra le mani, guardandoli distrattamente. Ascoltava Bass parlare, annuendo di tanto in tanto, ed intervallando sporadici segni del capo con piccoli sorsi di birra. Chissà se quel ragazzo aveva mai incrociato Kurt, in giro per New York, nei locali frequentati dagli studenti. Chissà se avevano parlato.

Chissà.

 

***********

 

Il telefono squillò. Era davanti la porta di casa. Barcollava, mentre cercava inutilmente di centrare il buco della serratura. Cose così semplici sembrano imprese titaniche se sei al buio e hai bevuto qualche bicchiere di troppo. Riuscì ad estrarre il telefono dalla tasca. Rispose.

“Ehi Bass” disse la voce all'altro capo del filo-e del Paese-. “Come va a Los Angeles?”.

“Ehi, straniera!” disse Bass, reggendo il telefono tra la spalla ed il collo e continuando la sua lotta con la serratura. “Qui tutto bene, mi manca casa, ma che vuoi farci, di New York ce n'è una sola. E dimmi che si dice a Broadway? Ian ha avuto la parte?”.

Finalmente riuscì ad aprire la porta. Entrò indugiando sulla soglia, ascoltando quanto gli diceva la voce al telefono e spostando lentamente una mano dietro di sé per cercare lo stipite della porta e richiuderla alle sue spalle.

“Qui tutto alla grande, al solito. Ian ha dato di matto e il provino non l'ha più fatto... Pensare che erano anni che provava per quella parte. Vallo a capire”.

La persona al telefono ridacchiò. Poi continuò. “Senti un po' ma l'hai sentito Kurt? No, perché è lì, a LA. Te l'avevo detto, no?”.

Bass si tolse la leggera giacca nera agganciandola all'appendiabiti di legno accanto alla porta.

Poi disse “Sì, me l'avevi detto. Ma non ho avuto il tempo di contattarlo. Non sa neanche che sono anch'io qui, pensa te”. Appoggiò distrattamente le chiavi sul mobile di legno dell'ingresso, guardandosi rapidamente allo specchio e dandosi una sistemata ai capelli. Poi continuò: “Grazie di avermelo ricordato, Rachel. Ora gli invio un messaggio”.

 

 

 

 

 

 

 

********L'angolo di Violet********

 

Ciao a tutti e sempre mille grazie a chi segue e legge questa storia! In questo capitolo, un po' di passaggio, ho cercato di caratterizzare meglio anche Blaine, e ho introdotto altri personaggi che saranno parte integrante del racconto...come forse si intuisce... (ah, Bass non è Sebastian. E' solo che mi piaceva il nome Bass). Dal prossimo capitolo entrerò nel vivo, capendo cosa è successo nel passato ai due, sia per quanto riguarda gli eventi veri e propri delle loro vite, sia in relazione ai loro percorsi individuali ed emotivi... Ho grandi progetti! In generale, non mi baserò solo sull'idea di Blaine-odio-me-stesso e Kurt-paura-d'-amare. Ho un'idea più complessa che spero di riuscire a mettere in pratica!

Un grazie speciale al mio beta e mentore Double_S : davvero hai una pazienza invidiabile, so di essere molto criptica, ed i tuoi consigli mi sono utilissimi!

 

Un saluto a tutti, e fatemi sapere che ne pensate!!

 

Violet

  
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