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Autore: clif    30/06/2013    1 recensioni
è un parallelo con la storia "Leon" scritta dall'autore Leonhard. in questa fanfiction assisteremo agli eventi accaduti nella storia precedentemente menzionata, ma dal punto di vista del coprotagonista maschile (Leon).è una storia estratta dal film di Silent hill e ambientata 30 anni prima dei suoi macabri eventi: assisterete alla vita, quasi, normale di un bambino appena trasferitosi nella macabra città.
ne approfitto per salutare tutti e per ringraziare Leonhard che mi ha dato il permesso di scriverla
buona lettura...
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alessa Gillespie, Nuovo Personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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9.
 
Il padre aveva fatto accomodare Leon sul divano, mentre lui si era seduto su una delle sedie poste davanti al tavolo. Poche volte, Leon, aveva visto suo padre con un espressione del genere ed era più che sicuro che la notizia che gli stava per dare non era delle più piacevoli. “Leon… sai che tra una settimana finirò quel lavoro urgente che sto svolgendo a Brahams e che torneremo a Silent Hill…” fino a quelle parole, tutto sembrava filare liscio, ma Leon sapeva che la vera questione era un’altra e che il padre stava cercando di girarci intorno per guadagnare tempo e permettergli di attutire il colpo.

“…però anche a Silent Hill non rimarremo per molto: sono stato trasferito all’improvviso in una clinica a Portland…” Leon non rispose: rimase con lo sguardo perso nel vuoto. “… l’ho appena saputo anchio, mi dispiace, so che è una notizia piuttosto improvvisa; ti assicuro che se avessi potuto te lo avrei detto prima”.

Leon rimase con un espressione neutra, ma dentro di se era distrutto. Aveva faticato per dire ad Alessa che sarebbe stato via per una settimana, figurarsi dirgli addio; non ne avrebbe mai avuto il coraggio, senza contare Alessa: si era finta indifferente ma Leon aveva notato che stava per mettersi a piangere quando aveva saputo la precedente notizia se gli avesse detto che non si sarebbero più visti, non riusciva ad immaginarsi la sua reazione.
Passò i giorni seguenti chiuso in camera: usciva solo per mangiare e andare in bagno; gli amici lo venivano a trovare ma il padre gli aveva mentito dicendo che stava male ed era meglio non avvicinarsi perché li avrebbe contagiati. Nei primi giorni il dottor Kauffman aveva provato a parlare con il figlio spiegandogli che era meglio così per tutti, ma neanche lui credeva a quelle parole: aveva saputo, dal discorso con Dahlia Gillespie, la situazione in cui si trovava Alessa; inizialmente credeva che fosse solo un esagerazione di una madre troppo preoccupata, ma sentendo i discorsi degli altri abitanti della città e del figlio aveva appurato che non sbagliava affatto. Quindi sapeva cosa avrebbe passato quella povera bambina appena Leon avrebbe cambiato scuola.

Neanche lui sapeva come affrontare la situazione: non poteva rinunciare al trasferimento, ma in questo modo Leon non glielo avrebbe mai perdonato. Il figlio non si era mai opposto alle sue decisioni ne aveva fatto storie perché sapeva che erano decisioni che andavano contro il suo volere: anche in questo caso Leon non si opponeva, almeno verbalmente, ma Michael preferiva vederlo arrabbiato piuttosto che depresso. Arrivati al quinto giorno a Brahams, Leon aveva passato metà delle giornate a deprimersi pensando a quando avrebbe dato ad Alessa la brutta notizia e l’altra metà a cercare una soluzione per il loro problema.

“Leon posso parlarti?” Chiese il padre: appena entrato nella stanza. Leon lo guardò, senza particolare interesse, si alzò dal letto e gli fece spazio. “Vedi Leon: non riesco più a vederti in questo stato” il ragazzo continuava a guardarlo con uno sguardo assente; “cercherò di trovare una soluzione, ma fino ad allora, per favore, sii allegro…” Leon annuì ma non disse altro. Appena il padre uscì, chiudendo la porta, una foto sul comodino cadde.
Molto lentamente il ragazzo si alzò per andare a riporla al suo posto, ma quando la alzò rivide il viso sorridente della madre (papà ha ragione: non posso continuare a comportarmi così, verrei meno sia alla promessa che ho fatto con la mamma che con quella che ho fatto con Alessa. Alla mamma ho promesso che sarei sempre stato ottimista con tutti e ho promesso ad Alessa che l’avrei sempre protetta, dovevo essere positivo e farmi forza anche per Alessa).

Nei giorni seguenti Leon tornò il bambino sorridente di sempre, conscio del fatto che rimanere depresso non avrebbe risolto il problema. Il dottor Kauffman era felice di rivedere il figlio così allegro e si ripromise di trovare una soluzione per il suo problema.

Il suo ultimo giorno a Brahams, Leon, lo passò con i compagni: lo erano andati a trovare a casa e si erano messi a giocare in camera sua. “mi dispiace veramente che dovrai andare via: spero che tornerai presto” disse dispiaciuto Edward; “già dovresti venirci a trovare più spesso, dovresti portare anche la tua amica: come hai detto che si chiama?” disse Jake; “Alessa… Alessa Gillespie!” rispose Leon; sapeva che l’amico fingeva di non ricordarsi il nome per provocarlo: non lo faceva per cattiveria, ma ogni tanto diventava insopportabile.

Poco dopo l’ora del pranzo, il dottore tornò a casa per prendere il figlio e ritornare a Silent Hill. “Ciao Leon torna presto… e salutaci Alessa!” fecero in coro i cinque ragazzi mentre la macchina del padre di Leon sfrecciava via.
Leon non riusciva a contenere la sua gioia: dopo una settimana, che sembrava un secolo, finalmente avrebbe rincontrato Alessa; rimaneva il problema del trasferimento a Portland ma avrebbe sicuramente trovato una soluzione in tempo.

Appena arrivato in città il dottor Kauffman portò Leon a casa: avevano portato via solo lo stretto indispensabile perciò i vari mobili vi erano ancora. Appena entrato Leon andò in camera sua a riporre gli oggetti presi apposta per il tesoro nel cassetto della scrivania e a posare sul comodino il fermagli a forma di farfalla: lo avrebbe regalato alla bambina il giorno dopo, durante l’intervallo.

Tornato in salotto vide il padre intento a rispondere al telefono: aveva la voce agitata e potè chiaramente sentirgli pronunciare il nome di Alessa; Kauffman riattaccò e si diresse verso la porta, ma venne bloccato dal figlio. “Leon devo andare!” disse il dottore con una mal celata agitazione “riguarda Alessa vero? Voglio venire anchio!”. Provare a dissuaderlo sarebbe stato inutile, decise così di accontentarlo e di portarlo con se, aspettò un attimo, che il figlio andasse a prendere il souvenir in camera sua e si diressero verso l’ospedale.

Appena arrivati trovò all’ingresso la madre di Alessa, Dahlia Gillespie, seduta su una sedia; Leon pensò bene di chiedere a lei cosa era successo ad Alessa, dato che il padre gli aveva risposto solo che  qualcuno gli aveva fatto una brutta cosa. “Signora!” gridò Leon appena fu davanti la donna: il padre si era intanto allontanato insieme a Coleman; Dahlia lo guardò sorpresa, era talmente presa dai suoi pensieri che non si era minimamente accorta del bambino. “Leon!” disse dopo averlo riconosciuto “signora! Cosa è successo ad Alessa?!” la donna lo guardò con una sguardo seria e gli rispose: Alessa era stata violentata nel bagno della scuola dal bidello. Anche se era piccolo, Leon sapeva benissimo cosa significava, aveva capito che quel bidello era un poco di buono dal primo momento in cui l’aveva visto.

Salutò Dahlia e si affrettò a raggiungere l’amica, non riusciva neanche a immaginare cosa stava provando in quel momento Alessa, l’aveva lasciata sola e si sentiva in parte responsabile per quello che le era successo. Corse verso la stanza che gli aveva indicato Dahlia ed entrò.

“Alessa!” esclamò Leon. Ansimava, aveva corso a perdifiato per venire da lei. Alessa lo guardò con occhi spenti. “Che diavolo è successo?”. Lei non rispose. Abbassò la testa e lasciò che i capelli le nascondessero la faccia. Non riusciva a guardarlo per la vergogna. Lui riprese fiato, poi si avvicinò a lei. Le sfiorò i suoi lisci e lunghi capelli neri. Provava verso il bidello qualcosa che non aveva mai provato per nessun altro: dell’odio profondo. Pensò a un modo per distrarla: a quel punto si ricordò del regalo. 

“Souvenir” disse il bambino, con un tiratissimo sorriso. “Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere. Se non ti piace, dillo pure apertamente, non mi offendo mica!”.
 
“…è bello…” mormorò lei, onesta. “Grazie…”. Lui si sedette sul letto, attento a non toccarla. Normalmente, le avrebbe chiesto come stava, ma sua madre gli aveva detto tutto. Poteva intuire come si sentisse.
 
“Leon…” chiamò lei. “Questa sera…mia zia mi purificherà. Mia madre ha deciso di darle retta: così tutto finirà ed io potrò vivere tranquilla”. Lui sorrise.
 
“Beh, meglio no?” commentò. “Potrai farti altri amici”; in questo modo avrebbe potuto evitare di dirgli la verità, dopo questa purificazione anche gli altri bambini avrebbero potuto fare amicizia con lei e se lui fosse partito avrebbe avuto qualcuno accanto: eppure Leon non si sentiva felice. Preso dai suoi pensieri non si accorse neanche che Alessa non aveva risposto.
  
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