Serie TV > Dr. House - Medical Division
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Autore: Kimmy_90    14/01/2008    2 recensioni
[SOSPESA] [ma l'autrice è carica di buoni propositi, e quindi promette che entro il 21 12 2012 la finirà.]
Daisuke e House: legati da un certificato di nascita che fa del primo il figlio dell'altro. Poi una porta sfondata, perchè House è sempre House, non si piegherà di certo al primo che esibisce un foglio e gli chiede ospitalità. Soh, bimbetto che l'inglese non lo capisce ma si diletta ben in altro modo, e Hector, che rimane pur sempre un cane ultracentenario. Cameron, l'eterna crocerossina, e Cuddy, che si lascia investire dal suo istinto materno. Infine Wilson, l'unico che tenta di far funzionare la baracca, che prova a far ragionare la gente e, al solito, ci rimette.
E poi il Vicodin.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Greg House, James Wilson, Lisa Cuddy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
Capitoli:
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[After Edit]
Ringrazio nuovamente Nike87 che ormai temo vada per farmi da betatester XD Temo, perchè, insomma, povera Nike XD
Attenzione che dal prossimo cado sicuramente in MarySue + trama banale.

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Due, Se proprio non ci arrivi:
Scordatelo, Stupido Testimone di Geova



“Come ci è arrivato Hector nell'ufficio della Cuddy?”
“Sono i misteri irrisolti della scienza”
Wilson scosse la testa, capendo che a quella domanda House non avrebbe mai risposto.
“Non ci credo che hai preferito lasciare lì Hector piuttosto che risparmiarti un'ora di ambulatorio”
House sorrise vagamente: una smorfietta divertita, accompagnata da una piccola espirazione rumorosa.“Non puoi odiare così tanto la Cuddy” continuò l'oncologo
“Non lo so, potrebbe essere. Ma forse no.”
Continuarono a camminare: ormai lo studio di diagnostica era prossimo.
“E allora perchè l'hai fatto?”
“Perchè tu sei una persona superficiale.”
“..Eh?”
House si appoggiò alla porta trasparente, il bastone puntato sulla moquette.
“La domanda è: odio di più Hector o odio di più la Cuddy?”
Wilson si fece perplesso, domandandosi in quale strana sega mentale si stesse avviluppando la mente di House.
“Nel dubbio, lascerò che quei due si odino a vicenda... per vedere quale sopravvive per essere degno del Mio Odio.”
L'oncologo taceva.
“E' una selezione, non posso mica sprecare il fastidio così, a gratis.”
House pareva fin troppo convinto.
“Tu sei andato, House.”
E lo zoppo entrò nella stanza, i tre paperotti svaccati sulle sedie ad aspettarlo.


Avere un cugino assistente sociale si era rivelato una cosa molto comoda, fatta eccezione per il fatto che, troppo occupato nel lavoro che conduceva da soli tre mesi, non aveva potuto accompagnarli fino a luogo d'arrivo, per quanto sarebbe stata una cosa dovuta, specialmente in una situazione del genere.
Poco male, aveva pensato Daisuke, colmo della sua innocenza di adolescente: figurarsi se non riesco a cavarmela da solo.
Eppure ora la schiena iniziava a fargli male, fra viaggio in aereo di non poca durata ed ora nel pullman, stretto, scomodo, fastidioso. Si era poi accorto di non essere proprio una cima nel leggere le cartine, anche se la cosa era fortunatamente andata a suo pro: sarebbero bastate un paio d'ore, e, magia, sarebbero arrivati.
Robe da non crederci.
“|Nii-chaan, ho fame|”
“|Non puoi avere già fame.|”
“|Ma ho fame|”
“|Socchan... manca veramente poco, adesso arriviamo.|”
“|Ma ho famee~|”
Il ragazzo sbuffò, infastidito dal cantilenare tedioso del piccolino. Si guardò, semi riflesso nell'amplio finestrino, preoccupato per il suo aspetto. Il gel andava perdendo forza, le piccole crestine che aveva sulla nuca che si ammosciavano.


“Novità?” Esordì lui.
I paperotti si guadarono, riuscendo ad apparire quasi svogliati. Così House non ebbe risposta, il che equivaleva ad un no.
“Dovremmo essere in ambulatorio” Sottolineò Foreman, senza mancare d'inserire un po' di acidità nel suo dire. “Perchè ci hai chiamati, se continua a non esserci nulla da fare?”
“Per sapere se avevate trovato qualcosa di interessante. Chessò, un uomo con la pelle blu, ad esempio. Adoro gli uomini blu, fanno molto jazz.”
Rimasero in silenzio, atterriti dalla battuta priva di un vero senso del diagnosta. In pratica, significava che si stava annoiando.E che non voleva saperne di andare in ambulatorio, ovviamente.
“Se capiterà ti chiamerò, allora” Chase si levò frettolosamente “non so come la vedi tu, ma io, se non lavoro, non prendo il mio stipendio”
“Siete un branco di materialisti”
Gli altri due si alzarono a loro volta, pronti ad andarsene. House li lasciò fare, arricciando le labbra, facendo ondeggiare il bastone sul pavimento.
“Hu-hu-hu, Cameron...”
Cameron si fermò, guardando in alto, a domandarsi cosa diamine volesse quello: Foreman e Chase si dettero ad una fuga silenziosa, intenzionati a non avere nulla a che fare con il diagnosta finchè non fosse capitato qualche caso che necessitasse di tutta l'equipe.
“Cosa vuoi?”
“Vai ad aiutare la Cuddy, va'.”
“Devo stare in ambulatorio, se non hai ancora afferrato il concetto.”
“Non starai mica tutta la giornata lì, no?”
“Ho anche una vita privata, sai?”
“Ne dubito”
“Ha. Ha. Ha.”
Curioso come Cameron gli avesse risposto. Si domandò se avesse effettivamente davanti a se' la ragazzina che lavorava con lui, o un qualche suo surrogato.
“Non intendo usare il mio tempo libero per aiutarti nell'architettare qualche strano piano per il tuo puro divertimento personale”
“Non stiamo parlando di me, ma della Cuddy. Onestamente la cosa non mi riguarda nemmeno.”
E allora?, avrebbe voluto replicare Cameron. Ma preferì rinunciare, voltandogli le spalle e tornando al suo lavoro a grandi passi, a marcare la sua decisione di non volerci avere nulla a che fare.
House rimase lì, seduto, domandandosi se l'esca fosse stata abbastanza interessante da far smuovere il medico e farle fare ciò che voleva che facesse, cioè andare a formare il definitivo gruppetto delle Tre Grazie.
Beh, anche se Hector si sarebbe dovuto definire Grazio, ma quella era una cosa irrilevante.


Si imbucò nel bagno di un piccolo bar, approfittandone per comprare un po' di cioccolata a Soh, e diede finalmente mano allo zaino. Tornò con la dritta sulla tasca dei Jeans per controllare che il mascara fosse al suo posto, e, una volta rassicuratosi, iniziò ad estrarre i gel vari che stipava nella borsa come reliquie.
Fu una cosa alquanto lunga, ma il sedicenne ci teneva ad apparire sempre come voleva essere. Un po' complessato, come lo avevano definito i maestri alle elementari: ma non riusciva a nascondere la goduria che provava nel vedere le ciocche dei capelli modellarsi sotto le sue mani.
Soh lo guardava con il medio serrato fra i denti, ammirando l'abilità con cui il fratello si sistemava, sebbene non ne capisse esattamente la motivazione.
Passò al viso, dandogli una pulita generale e rispalmando tutto l'ombretto, una striscia nera, una rossa, sfumando.
Già che c'era, si diede anche una passata di deodorante, dato che era riuscito a cambiarsi solamente una volta da quando era partito.
“|Cos'è?|”
Domandò Soh, vedendo l'aggeggio che nebulizzava il liquido profumato.
Daisuke gli rispose spruzzandogliene un po' addosso.
“|Ecco. Mai che mi fai brutta figura|”
Cioè non gli aveva risposto. Prese finalmente mano al mascara, concludendo, fiero, l'opera d'arte. Si osservò, contemplandosi a lungo, finchè decise che andava bene.
Ora si sentiva più in pace con se' stesso. Completamente noncurante di quello che avrebbero potuto pensare gli altri: al contrario di quello che pensava per Soh, per se' stesso il concetto di 'mai che faccio brutta figura' non esisteva. Lui era lui, fine. Ed era sereno solamente se conciato a quel modo.
Nulla al mondo lo avrebbe fatto tornare sulle sue scelte.



Non sapeva di preciso perchè si fosse impiantato a suonare quel valzer. Era fin troppo allegro, per i suoi gusti: uno scoppiettante, felice e contento valzer francese.
Non si ricordava nemmeno dove avesse trovato lo spartito: avrebbe giurato che quella cosa non sarebbe mai e poi mai potuta essere sua. Anche se lo avesse trovato nella confezione di una qualche pianola utilizzata in passato, lo avrebbe di certo bruciato.
Il problema era che non gli riusciva. Si trattava solo di qualche accordo cosparso da qualche nota per la melodia fondamentale, eppure non gli riusciva. A prima vista era stato certo che sarebbe stato veramente stupido, e invece, s'incartava dopo nemmeno tre righe di pentagramma.
Ora stava diventando una questione di principio: non poteva non saper suonare quello stupido valzer francese. Errore di valutazione o meno che fosse, ora, lui, Gregory House, avrebbe suonato quel valzer, a costo di rimanere sveglio tuta la notte.
Si mise a contemplare lo spartito, domandandosi cosa ci potesse essere di così complicato da bloccarlo. Il salto era grande, va bene: ma non era nulla che non avesse già affrontato.
E allora?
Le sue contemplazioni furono interrotte dal trillo del campanello. Mise giù i fogli, a metà fra il soddisfatto e l'infastidito, sicuro di quello che lo aspettava: Cameron aveva ceduto. E Hector era tornato, perchè era certo che la dottoressa si sarebbe lanciata a compiere la sua buona azione giornaliera. Già se la vedeva, con la sua tipica smorfia da 'lavoro per un idiota', lo sguardo torvo, e quel cane pluricentenario in braccio.
Aprì la porta, pronto a montare la sua faccia soddisfatta.
Ma non ne ebbe l'occasione.


“Cameron, ferma!”
Cameron si lanciò a correre, senza badare alla Cuddy che la invitava ad evitare il gesto. La Primaria si voltò per non guardare, una mano a coprirla; quando sentì un piccolo urletto da parte della ragazza, ritornò su di lei: era in ginocchio, i capelli arruffati, di sicuro scivolata sul pavimento, caduta e slittata in avanti... ma cingeva Hector per il collo, e nonostante questo si dimenasse, la presa dell'immunologa era ormai ben salda.


Davanti a lui si ritrovò un ragazzo che teneva un bambino per mano.
Tutti e due asiatici, il più piccolo normale, l'adolescente un po' meno: era conciato in una maniera decisamente assurda. Sembrava uscito da un cartone animato, o, peggio, da una di quelle demenziali Visual Band che andavano tanto in voga in Giappone. I vari strati di gel mantenevano i capelli in una posizione antigravitazionale.
House tacque, perplesso.
L'altro lo guardava senza un'espressione precisa. Sull'uomo si incollarono le due iridi color ghiaccio, del tutto stonate rispetto al resto del corpo, che pretendeva due occhi neri, come qualsiasi orientale che si rispetti.
Il medico inclinò leggermente il capo, e poi chiuse la porta.

Daisuke rimase alquanto sorpreso dalla reazione di quello, domandandosi se avesse sbagliato indirizzo. Ma scartò rapidamente quest'ipotesi, dato che quella, ora, era la sua unica certezza. Rimaneva il problema del perchè di quello strano comportamento: senza trovare una debita risposta logica, suonò di nuovo il campanello.

House era a metà strada fra il pianoforte e la porta quando sentì nuovamente il trillo. Si fermò, senza prendere nemmeno in considerazione l'idea di fare dietrofront.
“Non sperare nella mia carità, ragazzino” fece a voce alta, il capo verso l'alto ”Coi soldi che hai sui capelli potresti andare avanti per mesi senza mai soffrire la fame!”
Il campanello suonò di nuovo.
Decise di tornare indietro per chiarire le sue posizioni una volta per tutte: riaprì la porta, trovandosi nuovamente davanti il ragazzo.
“Capisci l'inglese o devo sillabare?”
Daisuke corrugò la fronte.
“Certo che capisco l'inglese”
“Ah. Bene.”
Chiuse nuovamente la porta.
E quello suonò di nuovo.
Questa volta il medico fece capolino dalla fenditura, scrutando attentamente il ragazzo.
“Niente testimoni di Geova, grazie”
Chiuse.
Suonò.
Riaprì, senza lasciare opportunità all'asiatico di dire qualsiasi cosa.
“Mi fate schifo, se proprio ci tieni.”
Richiuse.
Suonò, riaprì.
“Non sono un testimone di Geova” replicò il più rapidamente possibile Daisuke, indignato.
“Ah, allora... vale lo stesso per Scientology, Mormoni o qualsiasi altra setta di drogati tu possa rappresentare”
Disse il fattone di vicodin.
“Ora, starei suonando il pianoforte, quindi, una casa più in là c'è una bellissima coppietta da tormentare, te la consiglio vivamente: è la migliore, del quartiere.”
Chiuse la porta.
Daisuke arretrò, sconvolto dal comportamento dell'uomo. Completamente disarmato, guardò Soh, che aveva assistito al susseguirsi di battute dell'americano senza capire nulla.

   
 
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