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Autore: Roxiy    01/07/2013    3 recensioni
I due si conoscono benissimo,ma sono estranei. Migliori amici un tempo,compagni di classe adesso. 
Dal prologo:
Proprio non posso non pensarci a quello che sarebbe stato se non avessi iniziato ad odiarmi perché il mio ‘ti voglio bene’ si era trasformato in un ‘ti amo’. Non è mica colpa mia se tu sei così maledettamente perfetto. E se il mio cuore non può nemmeno lontanamente pensare di esistere senza il tuo nome marchiato sopra. Ricordi indelebili,incisi a sangue nella mia mente. Notti passate insonnie solo per non essere costretta a sognarti. Sono forse ossessionata,ma quella che tu chiami ossessione io lo chiamo amore.
***
Siamo nella stessa classe – punizione divina per averti amato troppo – e la tua immagine l’ho davanti ogni giorno. Quanto stai bene tu,tanto sto male io. Vedi? Ci completiamo,ma non combaciamo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Capitolo 3



Marco è davanti a me,mi sta guardando e il mio mondo sta letteralmente cadendo a pezzi. Dove trovo le forze per mettere insieme una frase di senso compiuto?

‘Questo è tuo,no?’ mi mostra un quadernetto nero,c’è il mio nome sopra. Oddio è mio! Perché lo aveva lui? Ci stavo disegnando sopra quando lui ha iniziato ha guardarmi,probabilmente nella fretta di lasciare la classe lo avevo dimenticato sul mio banco. Maledetta la mia stupida persona!

‘Si,grazie.’ Afferro il quaderno e lo rimetto velocemente nello zaino pensando a qualcosa da dire. Qualcosa d’effetto che potesse lasciare il segno.

‘State bloccando la porta!’ la voce del professor Rick mi colpisce in pieno mandando a puttane ogni tentativo di conversazione. Un sorriso smorzato e un semplice ‘Ciao,grazie ancora.’ prima di correre via. Certo questo si che è d’effetto.

Certamente non era stato un bel momento,la paura di parlare pesava ancora sul mio stomaco come uno dei più pesanti macigni. Mi tremavano le gambe al solo pensiero di poterlo ancora guardare negli occhi dopo quei 2 minuti in cui la felicità sembrava quasi a portata di mano.

La panchina su cui sono seduta già da un bel po’ –per riprendere la forza di reggermi in piedi –è isolata dal resto del mondo. Da qui riesco a vedere tutti i ragazzi nel cortile. Ognuno di loro ha qualcosa di diverso. C’è chi lo fa vedere e altri che fingono di essere ciò che non sono ,per poi sorridere falsamente a chi li vede finti e superficiali.

Io non ho mai finto di essere diversa. Non mi piace,perché dovrei? Credo che quelli che mi stanno intorno dovrebbero accettarmi per quello che sono altrimenti possono andarsene,io non ho mai fermato nessuno.

Mi assicuro di essere lontana da sguardi indiscreti dopodiché tiro fuori una sigaretta dalla borsa e,dopo averla accesa,la porto alle labbra.

So che fumare è sbagliato,ma mi rilassa,sembra che tutto diventi più leggere e io ho bisogno che lo sia. Continuo a ripetermi che un giorno smetterò. Chissà se è vero.

‘Da quand’è che fumi te?’ una fitta nello stomaco. Non adesso,non ora ,ti prego. Non lui.

Si siede accanto a me,si sistema per bene sulla panchina e poi punta gli occhi al cielo. Le mani in tasca e una smorfia stampata sul volto dannatamente perfetto. Era questo il momento giusto,quello in cui avrei fatto vedere che anch’io sapevo combattere. Non mi sarei arresa.

‘Da quand’è che a te importa quello che faccio?’ fredda come una lastra di ghiaccio mentre dentro stavo bruciando. Meritavo l’oscar per quell’interpretazione. Si volta a guardarmi con uno dei suoi sorrisetti maliziosi che amavano tanto le sue ragazze. Io li trovavo disgustosi,non donavano ai suoi occhi blu.

Non so se quello che gli ho detto l’ha colpito,ma se lo ha fatto lui ha accusato il colpo con parecchia nonchalance. ‘Sei sempre la solita ragazzina che vuole far vedere al mondo quanto può essere grande. Ma ti basta un colpo di vento per finire a terra.’ Mi strappa la sigaretta dalle mani e la mette sotto il suo piede per spegnerla.

Quello che aveva detto era vero,ma non gli avrei fatto assaporare la vittoria. Non questa volta. ‘Tu non sai niente di me!’ sconfitta. Mi alzo,afferrando la borsa con troppa foga,e faccio per andarmene ma lui mi blocca il polso.

‘Quando avevi tre anni stavi camminando per la strada con una palla rossa in mano,una macchina blu è sbucata da un vicolo e ti ha investita. Niente di grave ma hai ancora le cicatrici,una sul ginocchio e una sulla schiena. Credi ancora che io non sappia niente di te?!’

Con quale faccia tosta veniva a dirmi quelle cose dopo che per tre anni non aveva fatto altro che ignorarmi. Era soltanto un bastardo egoista. La rabbia – questa volta – vinse su quello che provavo per lui. La mia mano è partita ,senza che potessi fermarla, per piazzarli uno schiaffo in pieno viso. Rimase di sasso.

‘Io non voglio mai più che tu osi soltanto avvicinarti a me! Hai capito? Stammi lontano. Tu non meriti nulla. Sei solo un egoista.’ Gli occhi lucidi e le mani che tremano.

‘Io sono il tuo migliore amico.’

Una risata isterica risuona nell’aria. Che amarezza sentire quelle parole. Facevano male come lame che si conficcano nella schiena prima tutte insieme,poi una alla volta. Per far soffrire di più chi le riceve.

‘Mi dispiace,il mio migliore amico è morto tre anni fa. Lo stesso giorno in cui ha deciso di strapparmi il cuore dal petto senza nessuna pietà.’

Corro via,non posso più reggere nulla per oggi. Ho soltanto bisogno di piangere. Finché non avrò più lacrime,finché farà così male che non sentirò più nulla.

Certo non è il mio miglior giorno,ma nemmeno il peggiore. Sarei sopravvissuta ancora una volta. Ma non da sola,non c’è l’avrei fatta. Sono seduta su questi gradini da più di 20 minuti ormai,ma arriverà. Lo so che lo farà.

Eccolo. Aveva lo sguardo basso,si stava fissando le scarpe e aveva le cuffie nelle orecchie. Lui adorava la musica,lo faceva stare bene. Io non ero come lui,ma potevo capirlo,tutto pur di scappare dalla realtà.

Alza gli occhi e nell’istante in cui mi vede seduta davanti casa sua sembra cambiare espressione. Passa da quella tranquilla ad una sbalordita e preoccupata.

‘Io non sapevo dove andare. E avevo bisogno che..’ prima che potessi finire la frase le sue braccia stavano già facendo tutto quello di cui avevo bisogno. Le braccia di mio fratello mi stringevano come nessuno faceva da anni.

Quando scappò di casa,4 anni fa,non lo disse a nessuno dove andava tranne a me. Mi disse ‘Io vado via perché è arrivato il momento di crescere,un giorno capirai. Quando avrai bisogno di me sai dove trovarmi.’
Aveva solo 16 anni allora ma sembrava un adulto per il suo modo di ragionare. Non era mai andato d’accordo con mio padre per questo scappò. Non disse nulla papà quando lo seppe,non credo fosse dispiaciuto.

‘Qualsiasi cosa sia successo lo sistemeremo insieme. Non sei sola ci sono io qui con te,adesso.’ Sussurra al mio orecchio stringendo l’abbraccio ancora di più. C’era sempre stato e sempre lo avrebbe fatto. Noi eravamo un po’ come quei fratelli che litigano sempre ma non posso vivere senza l’altro.

Sentivo che finché lui sarebbe stato con me,nulla avrebbe potuto ferirmi. Stava per sciogliere l’abbraccio ma non glielo permisi. ‘Ti prego,ne ho bisogno.’
 
 
 *** Note dell'autrice ***
So che non è lunghissimo,chiedo perdono ma non ho molto tempo oggi. Scusate davvero tanto. Spero soltanto che vi sia piaciuto. Vorrei ringraziare soulofthemusic e cardie9980 per aver  recensito la mia storia. Ah,ringrazio anche tutti quelli che l'hanno solamente letta. Vi amo tutti.

Rox

  
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