Hermione
si mise le mani nei capelli prima di gettare con malagrazia l’ennesima maglia
nella valigia aperta davanti a lei.
Prese
dall’armadio un paio di jeans, constatò che non ci sarebbe entrata neppure piangendo
arabo e li cacciò da una parte.
Guardò
la sua camera che se la giocava con Harry per quella più somigliante a
Waterloo, sbuffò spazientita, buttò un paio di calzini all’interno e inveì
contro Canon: avrebbe pagato anche per quello, e
contro Malfoy, tanto era sempre colpa sua, una in più o una in meno non
cambiava le cose.
Odiava
fare le valigie, non sapeva mai che cosa portarsi e che cosa lasciare e quella
scelta, in quel preciso momento, sembrava insostenibile, soprattutto se
supportata dalle seguenti domande:
1) Quanto tempo stava via?
2) Dove avrebbe alloggiato? La dicitura “attico
di Raymond” era piuttosto striminzita
3) Che cosa avrebbe dovuto fare?
Ma
l’obiettivo fondamentale era: “evitare di farsi prendere in giro da Malferret”, ne aveva fin sopra i capelli dei suoi
mezzosangue di qua e mezzosangue di là, soprattutto perché era piuttosto
disillusa sul fatto di sopravvivere, senz’altro il biondastro non sapeva
neppure cuocere un uovo al tegamino, come avrebbero fatto? Non ci teneva a fare
la sua serva e cucinargli caviale e aragosta…
Scaraventò
l’ennesimo maglione e guardò con aria truce una gonna invernale, poi,
sbuffando, gettò dentro anche quella, avrebbe provveduto a Londra ad allargarsi
tutti gli abiti…
Mentre
sistemava, tirò fuori anche il baule che teneva sotto il letto, sul quale
sarebbe stata benissimo la scritta “da usarsi solo in casi particolari”, beh,
se non era particolare questo… lì avrebbe infilato tutto quello che non erano
abiti, ovvero libri. Perché si portava libri a Londra? Beh, innanzi tutto non
aveva i soldi che le uscivano dalle tasche permettendole di andare a comparsi
tre nuovi volumi tutti i giorni, eppoi se leggeva si rilassava e non doveva
stare a sentire le inutili chiacchiere del biondastro e pensare anche a quello
che stava dicendo: se non si davano fastidio la convivenza poteva essere
pacifica.
Va
bene, era una vana speranza, però era bene tentare. Dimenticò per un istante
maglie e calzini e, prendendo la bacchetta, si affrettò a rimpicciolire tutti i
libri che aveva con se e che non fossero strettamente scolastici per farli poi
entrare nel baule; da una parte, poi, sistemò quelli di scuola, il suo set di
scrittura e qualcuno dei suoi film.
Chiuse
il grosso baule che la roba ci stava a malapena e si dedicò nuovamente
all’abbigliamento: aprì violentemente i cassetti e ne prese il loro contenuto a
caso tra mutandine, maglie della pelle, canottiere e calzini e scaraventò tutto
dentro la valigia che, se fosse stata viva, si sarebbe lamentata come una
dannata dell’Inferno.
Una
lacrima le rotolò furtiva lungo la guancia, si affrettò ad asciugarla malamente
con un fazzoletto pescato nella tasca di una felpa, peccato che le lacrime
traditrici non accennassero a smettere di sgorgare dagli occhi. Rinunciando a
smettere di piangere come una bambina, si sedette sul letto rifatto tra il baule
e la valigia, piegò le gambe sotto di sé e si coprì gli occhi con le mani
mentre dava libero sfogo alla sua ansia.
Una
gocciolina, poi due, tre, cinque, dieci… macchioline scure che andavano a
formarsi sulla lana cardata con cura del vestito a quadri che la prof le aveva
prestato. Era un tartan scozzese molto antico, lo sapeva.
Quando
era arrivata a scuola, la sua professoressa di Trasfigurazione l’aveva subito
colpita e così, curiosa, era andata a fare qualche ricerca nella sezione
“araldica” della biblioteca.
Il
clan dei McGranitt era antico e prospero, conosciuto
fin dal Duecento nel mondo magico. Era numeroso e composto da maghi leali e
intelligenti.
Quando
Harry aveva ricevuto in dono il mantello dell’invisibilità, il primo Natale,
una volta se l’era fatto prestare e aveva fatto un salto alla sezione proibita
dove vi erano le storie dei maghi moderni.
Undici
erano i fratelli di Minerva McGranitt e portavano
quasi tutti nomi delle divinità, e poi c’era lei, ultima e unica femmina:
Minerva.
Tutti
e undici i figli maschi erano stati grandi e valorosi, decorati dal Ministero,
insigniti di alte onorificenze. Suo padre e i suoi quindici fratelli avevano
combattuto nella Rivolta dei Goblin Oscuri del 1901 e
i suoi fratelli nella guerra contro Voldemort, peccato
che fossero rimasti tutti uccisi.
Era
rimasta solo lei.
Studiò
il ricamo a righini della tela, sapeva che era vietato indossare il tartan per
chi non apparteneva al clan, era una colpa punibile con la morte perché
significava che si era tradita la fiducia del capo e dei suoi fedeli. Chissà
cosa avrebbe detto il vecchio papà McGranitt vedendo
sua figlia donarle un abito con il motivo della loro famiglia e permetterle di
portarlo.
Sorrise
tra se, ma questo non servì a placare l’inquietudine che la tormentava, la
paura, il senso di frustrazione: perché a lei?
Adesso
doveva lasciare i suoi amici, abbandonare la scuola in fretta e furia poco
prima di Natale e scappare a Londra nell’”attico di Raymond”.
Doveva
lasciare Harry e Ron, ma anche Ginny,
Luna, Susan e perfino quei due pasticcioni giornalisti dei fratelli Canon che erano i maggiori responsabili di quel disastro,
anche se non erano stati loro a mettere la bomba.
Per
questo piangeva, come avrebbe fatto?
Senza
amici, sola e con Malfoy…
-
Smettila
di piagnucolare – le disse una voce quasi con cattiveria
Si
voltò e nel vano della porta la figuretta infantile di Draco la guardava con
malcelato disprezzo, le braccia incrociate sul petto, le spalle appoggiate allo
stipite della porta
-
Vattene
da camera mia, stupida serpe, lasciami in pace, lasciami sola!
-
Sapevo
che avresti fatto così – disse rude – come tutte le altre, ti saresti messa a
frignare, inconsolabile, povera me, povera me…
-
Che
diamine vuoi da me?! – strillò malamente – perché devi farmi questo?
-
Non sono
io che faccio qualcosa a te, prenditela con quei maledetti che hanno preparato
la pozione, io non ti ho costretta a fare niente
-
E che
dannazione vuoi ancora qui, allora?
Senza
dire una parola, Draco voltò le spalle e lasciò il dormitorio mentre Piton lo aspettava fuori della porta della Sala Comune Gryffindor, forse troppo schifato per metterci piede.
Perché
era venuto? Che accidenti voleva ancora? Che voleva da lei?
Asciugò
una lacrima e la disperazione si trasformò in rabbia.
Scagliò
un vaso per terra e questo andò in mille pezzi seminando i cocci sul tappeto
davanti al comò, bagnando con l’acqua che conteneva il parquet antico e
riversando le tre rose che aveva ricevuto per il compleanno, ormai un po’
appassite, dai colori macchiati di marrone, di marcio, come il sangue dei
purosangue, come i mezzosangue… diversi eppure simili.
Prese
la bacchetta che aveva appoggiato sul comodino e lo ricompose subito, poi tornò
ai bagagli.
Non
poteva farci niente e se avesse continuato a piangere non avrebbe smesso fino a
sera.
Non
poteva rivedere Harry e gli altri mentre era in quello stato, le dispiaceva
infinitamente non poterli salutare, abbracciarsi prima di perdersi di vista per
un po’ era qualcosa a cui teneva moltissimo…
Le
sarebbero mancati, tantissimo.
* * *
Draco
versione bambino ed Hermione erano sulla soglia di Hogwarts
in attesa che le carrozze senza cavalli arrivassero per portarli alla stazione
di Londra.
Dalla
finestra del suo studio che dava proprio sullo spiazzo, Silente stava guardando
preoccupato i due studenti che si allontanavano, preoccupato uno e… preoccupato
anche l’altro.
Se
avesse potuto, Draco avrebbe preso una sigaretta dalla tasca dei pantaloni e se
la sarebbe accesa mentre aspettava. Ma aveva promesso alla McGranitt
che non avrebbe fumato finchè era in quello stato
perché gli faceva particolarmente male. E al diavolo anche la prof! Non aveva
mai sentito una voglia così di mettersi a fumare.
Dal
giorno prima, ovvero da quando aveva fatto quell’incursione senza senso in
camera sua, la Granger non gli rivolgeva più la parola, guardava dritto davanti
a se e, se per caso girava la testa, faceva finta di osservare oltre, beh,
visto che era alto un metro e mezzo scarso non era poi così difficile… e dire
che, se avesse avuto ancora diciotto anni l’avrebbe squadrata dall’alto in
basso, le dava almeno dieci centimetri buoni, adesso, invece, era in quella
dannatissima, maledettissima e imbarazzante situazione.
Era
evidente che voleva fumare, fumare come un camino! Non aveva neppure potuto
vedere Blaise e farsi dare qualcosa perché c’era
sempre Piton a piantonare la stanza e da lì non era
uscito.
Passare
un periodo con la mezzosangue non gli girava per niente e, soprattutto, non gli
sarebbe piaciuto trascorrere del tempo nel mondo babbano.
Ovviamente
Silente aveva detto loro di limitare l’utilizzo delle magie al minimo
indispensabile, giusto riordinare e roba simile, niente patronus e niente maledizioni, possibilmente senza perdono.
L’unica
maledizione che aveva voglia di lanciare in quel momento era equamente divisa
tra i creatori di quella pozione cretina e il vecchio rimbecillito.
E
comunque era già qualcosa se riusciva a fare un incantesimo, non era certo che
la sua bacchetta lo riconoscesse ancora come il suo padrone, le bacchette sono
infide quanto i loro proprietari e se la sua gli somigliava tanto come niente,
probabilmente avrebbe voltato le spalle e fatto finta di non funzionare finchè non fosse tornato alla sua età anagrafica corretta.
In
lontananza vide arrivare la loro carrozza, anche l’idea di stare insieme a
quella babbanofila non gli piaceva per niente,
soprattutto vista la sua reazione del giorno prima; non che la condannasse per
quella, probabilmente ogni ragazza avrebbe fatto così, ma dopotutto lei era
Hermione Granger, il braccio destro di San Potter, disposta alla morte per la
salvezza del mondo magico… dov’era finito il suo coraggio? Quello che aveva
ostentato in tutti quegli anni di combattimenti tra auror
e mangiamorte, tra bene e male… dov’era finito, tutt’a un tratto?
Hagrid, il guardaboschi della scuola, si fece accanto al landò scuro
come pece, frenò i cavalli un po’ imbizzarriti e poi aprì la portiera.
Si
fermò e studiò il muso demoniaco del tiro a sei che li avrebbe condotti fino al
mondo babbano: li vedeva. Non era una novità,
semplicemente non ci aveva mai fatto caso, non ci aveva mai dato peso.
La
mezzosangue era concentrata sul muso scuro delle stesse bestie e le guardava
negli occhi rossi come sangue, rapita, probabilmente li vedeva anche lei.
Chi
aveva perso per poter vedere quelle creature?
Sapeva
che solo le persone che avevano provato un grande dolore o una perdita
lacerante potevano distinguere le paurose forme dei Threstal…
chissà chi. Chissà chi era per lei. Chissà chi dei tanti era per lui.
Senza
aspettare molto, salì sulla carrozza prima di lei e si accomodò sul sedile nel
senso di marcia, sistemò il paltò nero sul divanetto rosso borgogna
e allentò il fiocco bianco che la Chips gli
continuava a fare per tutto il tempo che era rimasto a scuola, vecchia
bisbetica.
La
grifondoro, ancora su un altro pianeta, salì i tre
gradini, rischiò d’inciampare, chiuse gli occhi e si accomodò di fronte a lui
lanciandogli solo uno sguardo superficiale, dopodiché le iridi grandi e ambrate
volarono fuori del finestrino dove il panorama era ancora fermo e consueto e si
disinteressò completamente di lui.
Non
se ne preoccupò più di tanto, fare conversazione con una come lei era qualcosa
di fondamentalmente inutile, prevalentemente per il fatto che finivano per
litigare anche parlando di succo di zucca e non ci teneva a farsi le tre ore
con il blaterio della Caposcuola nelle orecchie.
Ripensò
a Blaise, poveraccio anche lui, suo padre era stato
accusato di favoreggiamento e corruzione dal Ministero, ma gli Zabini erano forse gli unici serpeverde
a non essere coinvolti in quella faccenda di Voldemort
e della Causa.
Rivide
Malfoy Manor, grande, maestosa, imponente nella sua
costruzione gotica fatta di torri longilinee che volavano verso il cielo, scure
come carbone, nere come l’inferno.
E
la vide avvolta dalle fiamme, mentre bruciava, bruciava in eterno.
Si
costrinse a spostare lo sguardo.
Studiò
fuori mentre i cavalli si muovevano e facevano ondeggiare il veicolo, un occhio
fu colpito da un boccolo color cioccolato che ricadeva dolcemente sulla tempia
della sua compagna con ingenua naturalezza, lei non se ne preoccupava, la mano
sinistra appoggiata al finestrino che reggeva il mento, la destra abbandonata
in grembo a toccare i finimenti della sua Giratempo.
Sorrise
e per una volta non era un sorriso di scherno. Poi si concentrò fuori, o
meglio, dentro di se.
C’erano
troppe cose a cui doveva pensare, non poteva permettersi di ammirare tranquillo
il paesaggio fatto di prati e muretti a secco, erica e cavalli, brughiera e
campagna, troppe cose richiedevano urgentemente la sua attenzione, troppe cose
erano ormai un problema suo.
* * *
Per
tutta la durata del viaggio non aveva fatto altro che scrutare le nuvole oltre
il finestrino e sbirciare di sottecchi l’altro passeggero: stava immobile, le mani
che reggevano il mento, gli occhi azzurri lontani mille miglia, anche se,
guardandolo in maniera affrettata, si sarebbe detto che stesse semplicemente
ammirando il paesaggio. Ma non era così. Lo conosceva da sette anni e, anche se
non si erano mai avvicinati come amici, sapeva riconoscere certe cose, forse
perché anche lei, ogni tanto, si comportava in quel modo.
Si
sentiva un po’ in colpa per come l’aveva trattato il giorno innanzi, dopotutto
lui non si era comportato male, non più di tanto, non più del solito, almeno.
Chissà poi perché era andato in camera sua… non lo sapeva perché, nella furia
di proteggere il suo orgoglio dalle acide parole che lui poteva pronunciare, si
era trincerata anche lei dietro un muro, una muraglia di insulti per non fargli
vedere quanto era triste, per nascondergli le lacrime che, comunque, lui le
aveva visto.
Chissà
che cosa aveva pensato…
Sospirò
mentre il senso di colpa cresceva un minuto dopo l’altro, perché? Beh, lo
sapeva perché.
Si
era comportata male con una persona che, forse, non era venuta per colpirla.
Impossibile,
non c’era stata occasione nella quale Malferret si
era risparmiato una parolina al vetriolo per lei.
Perché
si sentiva così agitata?
Era
per quel silenzio innaturale, artefatto, dove in genere tra loro volavano
parole dure, terribili, ma sincere.
Quel
silenzio non era sincero: c’era rimasto male?
Difficile
che uno come lui, Draco Malfoy, potesse aver sentito un sentimento simile.
-
Senti,
- disse rompendo la quiete e vide il muro che lui aveva eretto intorno a sé
abbassarsi gradualmente con circospezione – mi dispiace
-
Mm… -
fu tutto quello che rispose dopo averla fissata qualche istante ed essere poi
tornato ai suoi pensieri, lei si accigliò un poco, si era addirittura presa la
briga di scusarsi con un tipo simile e tutto quello che aveva da dire era
“Mm…”?
Stava
per replicare che era buona educazione rispondere con cortesia a delle scuse
quando la carrozza ebbe uno scossone attraversando i vecchi muri di pietra
della Stazione di Londra, con il loro stile vagamente liberty, le vetrate e i
rosone di ferro e acciaio che avevano rappresentato l’epoca della rivoluzione
industriale.
I
Threstal atterrarono non proprio di buona grazia
sulle mattonelle che, il primo di settembre, erano calpestate da centinaia di maghi
e streghe, ma che, al momento, era pulite e lucide.
Il
binario 9 e ¾ era fuori servizio tutto l’anno e faceva da pensilina solo per
l’inizio e la fine dell’anno accademico a Hogwarts,
per il resto era impossibile accedervi visto che l’unico treno magico era
l’Espresso che, al momento, se ne stava in letargo a Scuola.
-
Eccoci
arrivati, ragazzi! – cinguettò allegro il guardaboschi che aveva fatto da
vetturino – siamo arrivati a Londra!
Senza
dire più di una parola, Malfoy si alzò in piedi, riannodò il fiocco
spiegazzato, distese le pieghe dei pantaloni e si affrettò a scendere senza
rivolgere uno sguardo o una parola alla sua compagna di viaggio.
Hermione
lo guardò male e scese a sua volta mentre Hagrid
slacciava le cinghie che fissavano i bagagli sul tetto e posava le quattro
valigie sulle mattonelle.
-
Sapete
come si esce dalla stazione – disse ai due – mi raccomando…
E
poi, rivoltò a Hermione, ma appena sussurrando aggiunse un
-
Se
prova a farti del male o a farti piangere di nuovo dimmelo che ci penso io… - e
le diede una gomitata significativa che quasi la stese per terra. Lei si
affrettò ad annuire.
Sorrise
e si affrettò a mettere il baule e le valigie sul carrello che stava
aspettando.
-
Ehi
mezzosangue, come si fa ad arrivare alla topaia di Raymond?
– chiese il biondastro guardandosi attorno
-
Bisogna
uscire dalla stazione e prendere un taxi – specificò
-
Taxi? E
che cos’è? – lei parve rifletterci
-
Un’invenzione
babbana simile ad una carrozza senza cavalli, tu la
paghi e lui ti porta dove vuoi, la guida un autista
-
Un
vetturino?
-
Pressappoco
Lui
annuì.
-
Stammi
vicino e vediamo di non perderci – puntualizzò lei
-
Posso
starti solo tre metri distante, non credo che riuscirei a sbarazzarmi di te… -
disse lui e la Caposcuola fu grata che la loro conversazione fosse tornata ai
consueti battibecchi
-
Per una
volta fingerò di non aver sentito – disse serena e gli rivolse un sorriso
solare che lo stupì non poco.
* * *
Hermione
stava camminando per le gallerie a vetri di King’s
Cross, la più grande e bella stazione della capitale. I passeggeri dei treni,
nonostante gli aerei avessero soppiantato i vecchi trasferimenti via rotaia,
erano ancora numerosissimi e la folla si accalcava per la strada e negli
angoli, gruppetti chiacchieravano raccontandosi esperienze ed avventure, molti
partivano per le vacanze di Natale ormai imminenti.
Si
potevano udire lingue differenti: inglese, francese, italiano, russo, uno slang
americano e qualche canadese dall’accento inconfondibile Nuova Scozia, qualche
vero scozzese con la pronuncia tipica, irlandesi, cinesi, indiani… etnie e
culture si mescolavano formando una tavolozza infinita di tonalità che riempiva
la mente e i sensi, mentre i profumi di terre lontane, esotiche, fredde, calde,
città e foreste colmava le narici e le fattezze tipiche si miscelavano
armoniosamente.
Un
netturbino dalla classica tuta verde mela passava rapido uno spazzolone per
terra nel tentativo di recuperare rifiuti e cartacce che ritornavano,
immancabilmente, appena aveva svoltato l’angolo o era scomparso dietro una
colonna.
La
biglietteria era presa d’assalto e un gruppetto di giovani sostava lì di fianco
nella tipica tenuta con capelli attorcigliati in teccine
scomposte e inanellate, abiti molto particolari, qualche cresta, qualche
animale, molti colori, tante borchie e tanti anelli.
Hermione
si limitò a lanciare loro un’occhiata e proseguì per poi ritrovarsi a passargli
di fronte mentre tentava di uscire dall’atrio sospinta dalla folla
-
Ehi,
avete visto la mammina? – indicò uno additando la strega che camminava
nervosamente, Malfoy, al suo fianco, cominciò ad alzare il sopracciglio in un
tic assai familiare e che non lasciava presagire niente di buono: quei tipi non
gli stavano simpatici perché lo credevano il figlio della mezzosangue, quindi
uno schifoso babbanofilo a sua volta, e poi perché si
erano permessi di insultarla, questo non andava. Perché? Beh, solo lui aveva
questo privilegio assoluto, non l’aveva delegato neppure ai suoi fidati
compagni Tiger, Goyle e Nott, quello era il suo territorio e quello che era suo se lo
teneva. Eppoi lui e la Granger erano insieme in quella faccenda.
E quei tipi continuavano a stargli sempre
meno simpatici…
Uno
del gruppetto si alzò avvicinandosi in una mise del tutto inadeguata al clima
invernale che si respirava a metà dicembre, con tanto di canottiera di cotone e
camicia a quadri con maniche strappate. I jeans avevano visto decisamente
periodi migliori e stavano implorando un passaggio in lavatrice mentre gli
anfibi slacciati facevano tintinnare il loro corredo di anelli che toccavano il
pavimento. Qualche catena e qualche borchia e il gioco era fatto.
Lo
sconosciuto la tirò per un braccio voltandola verso di sé con una familiarità
che a lei non piacque per niente e, se non fosse stata in mezzo a tanta gente,
gli avrebbe volentieri lanciato qualche bell’incantesimo,
a cominciare da un’incendia sulla
cresta mezza nera e mezza rossa che spiccava sulla testa del bullo.
La
cosa che l’attirava meno, poi, era la faccia ricoperta di acne che lo rendeva
molto più simile ad un piatto di porridge che ad un
essere umano, decisamente la pulizia non era il suo forte… il grosso orecchino
a borchia che gli pendeva dal naso, poi, la affascinava ancora meno e anche
quella specie di forchetta incastrata sul sopracciglio le dava parecchio da
ridire.
Il
ragazzo, che non doveva avere più di venticinque anni le sorrise mettendo in
mostra una sfilza di denti giallognoli che avevano bisogno di un buon dentista
con molta, molta pazienza, effettivamente anche un parrucchiere non sarebbe
stato da scartare…
-
Cariiiina…
- sibilò nello spazio tra i due incisivi che non avevano ricevuto le cure di un
apparecchio odontoiatrico - non mi stupisce che così giovane abbia già un
figlio di quest’età – e alluse al mini-Malfoy che le camminava quasi affianco e
che, al momento, si stava trattenendo dallo schiantarlo per non compromettere
la copertura – deve essere una che si dà parecchio da fare…
A
quel punto, però, gli sarebbe scoppiato da ridere…
-
Sono
sicuro che allarga facilmente le gambe, una così… e si avvicinò ancora.
Ok, erano in qualche vignetta comica: la Granger che allarga le
gambe? Neppure nei sogni più impossibili di quel tipo sarebbe potuto accadere,
la tanto cara e dolce santarellina Granger era l’emblema stesso della purezza e
della castità, degna di entrare in un monastero di clausura.
O
forse ci era vissuta fin’ora per essere così.
-
Ehi babbano, giù le mani – disse mentre questo le afferrava la
mezzosangue come una proprietà; l’aria da “Draco malfoy seccato” non si
confaceva molto ad un fanciullo dell’età a cui era ridotto, ma lasciò comunque
interdetto l’ipotetico molestatore della Grifondoro
-
Come mi
hai chiamato, scusa? – chiese questo
-
Ho
detto babbano, ma se preferisci dico merda –
rispose rigido come un palo, l’altro sbattè gli occhi
-
Ehi
ragazzi, avete sentito il piccoletto? – ghignò all’indirizzo del resto dei
compagni troppo occupati ad intaccare la riserva di coca-cola e canne per
dargli a mente, poi spostò gli occhi di un insignificante verde spento su
quelli azzurri del ragazzino
-
Stai
buono, bimbo – lo rabbonì tentando di accarezzargli la testa – io e la tua
mamma adesso andiamo a prepararti un bel fratellino – e ghignò ancora, peccato
che l’espressione di Draco non fosse altrettanto serena, anzi! Poi il
caratteristico ghigno di famiglia si dipinse sulle sue labbra strette,
deformandole in una smorfia assai comune
-
Non ho
bisogno di fratellini con un padre insignificante come te, lurido babbanofilo – sibilò pericolosamente, tanto che lo
sconosciuto punk ebbe un attimo di incertezza e qualche problema a deglutire
-
Dico,
ma con chi l’hai fatto questo ragazzino pulcioso? – chiese il ventenne alla ragazza
-
Col
diavolo in persona – rispose assottigliando gli occhi ambrati ad una fessura e,
prima che lui potesse aggiungere qualcosa, la punta della bacchetta si posò appena
sulla pelle scoperta del collo mentre lei mormorava sottovoce “oblivion”, quando si fosse svegliato non avrebbe
ricordato molto
-
Potevi
almeno schiantarlo dopo quel che ti aveva detto – le fece notare con
superiorità lo Slytherin
-
Se si
sveglierà sarà troppo fatto per ricordarsi anche solo quale delle tante droghe
s’è fatto oggi – rispose lei dirigendosi verso la porta con sopra lampeggiante
-
Fatto?
– ripeté la serpe
-
Drogato
– specificò la Gryffindor, la droga era qualcosa che
circolava anche nel mondo magico, anche se non come nel mondo babbano e si limitava ad oppiacei e funghi allucinogeni più
qualche canna. I maghi erano fortunati, riflettè, a
non sapere, sospettare e avere LSD, ecstasy, eroina e simili…
* * *
Una
folata d’aria gelida investì la Caposcuola non appena mise piede fuori della
stazione.
Draco
rabbrividì nella giacca e guardò con aria truce il mondo babbano
che si apriva di fronte a lui: non gli piaceva, troppo caotico e confusionario,
perfino peggio di Diagon Alley
il giorno prima dell’inizio della scuola, eppoi puzzava terribilmente di
bruciato.
Una
serie di carrozze colorate, dalla forma insolita e senza cavalli era ferma
accanto al marciapiede, mentre altre file si muovevano rapide affianco a
queste, mostrando una grande varietà di persone; qualcuno stava leggendo un
quotidiano abbastanza simile a quelli che conosceva, anche se le figure di
copertina erano immobili nei loro toni grigiastri.
Dire
che aveva freddo era come dire che Lady Godiva era
poco vestita.
Rabbrividì
ancora e adocchiò una strana scatola luminosa che segnava l’ora, la guardò
scettico cercando di capire, ma senza successo.
La
mezzosangue si mosse verso la folla di persone in divisa nera e rizzò la
schiena per darsi il contegno di una signora, quelli dovevano essere i taxi di
cui aveva parlato.
-
Posso
aiutarla? – le chiese uno dei vetturini
-
Hyde
Park – disse lei copiando le movenze delle donne in carriera, l’uomo annuì, le
aprì la portiera e cominciò ad ammassare le valigie nel bagagliaio con una
certa fatica e aiutato da due colleghi.
Ops, si era dimenticata di aver ammassato nel baule praticamente
l’intera biblioteca di Hogwarts, effettivamente
doveva pesare un po’…
Dopo
venti minuti, finalmente, i bagagli suoi e di Malferret
erano sistemati e l’autista, un po’ sudato nonostante il periodo dell’anno, si sedette
al volante e accese il motore facendo partire il veicolo
-
Perché
andiamo in Hyde Park? – le domandò lo Slytherin seduto accanto a lei – non dovevamo andare in Clarendon Road?
-
È
proprio lì accanto – le disse la riccia controllando l’oscena borsetta di pelle
che la McGranitt le aveva affidato
-
Clarendon
Road? – le chiese l’autista
-
Sì
La
vettura sbandò un poco sotto il peso dei bagagli mentre l’autista sorpassava
forse un po’ troppo velocemente uno degli autobus rossi a due piani che erano
il simbolo della Londra turistica. Poi fece un cenno ad un altro tassista che
correva nella direzione opposta e si riconcentrò sulla guida.
L’attraversamento
dell’Hyde Park in macchina sotto Natale era splendido
con i prati in parte coperti di neve, i soliti musicisti nelle aiole che
suonavano qualche canzonetta, i bambini che lanciavano briciole ai cigni degli
stagni e le solite persone che non avevano niente da fare e passeggiavano
tranquille.
La
macchina inchiodò e Hermione si chiese chi poteva aver dato la patente a quella
specie di pirata della strada, Malfoy, dal canto suo, era scioccato dal metodo
di guida che, tra un po’, gli faceva pure venire il mal di mare da tanto
ondeggiava e sbandava l’automobile.
A
metà di Claredon c’era uno dei più lussuosi condomini
di tutta la City, al primo sguardo poteva sembrare un albergo, ma in realtà era
costituito da lussuosi appartamenti con vista direttamente sulla zona verde
della città.
Rimanendo
a bocca aperta di fronte all’ingresso, la mezzosangue guardò scettica le due
coppe bronzee che troneggiavano ai lati del portone d’ingresso piantonato da un
ragazzo in livrea: come facesse Raymond a permettersi
simili lussi era tutto da vedere e gli attici in genere sono molto costosi.
Due
piante ornamentali tagliate a cespuglio tondo si aprivano dalle bocche svasate
delle coppe facendo un ottimo contrasto con la passiera
rossa e il colore dorato del supporto.
Si
diede un contegno e controllò il numero civico accanto alla maniglia mentre il
ragazzino della porta aiutava il tassista a scaricare i bauli.
L’ingresso
era praticamente circondato da targhe di importanti avvocati e commercialisti,
notai e uomini di legge, principi del foro che difendevano persone con una
certa disponibilità economica, li aveva sentiti nominare su riviste e giornali
in casi molto importanti come l’esposizione della DeBeers
e le feste natalizie di Harrods; fece per poggiare la
mano sulla porta per aprirla quando, correndo, il ragazzino si affrettò a
spalancarla per lei, rosso di vergogna per non essersi accorto prima delle sue
intenzioni.
Malfoy
lo guardò, il mondo babbano faceva schifo e quei
“taxi” ancora di più, ma il servizio del posto dove sarebbero rimasti sembrava
promettere qualcosa di adeguato al suo status.
L’atrio
in stile vittoriano prevedeva anche una reception
dove, al momento, stazionava un portiere con divisa simile a quella del
ragazzino e la ragazza notò una terza figura che fiancheggiava l’ascensore a
vetri su cui erano segnati in placca dorata tredici piani… tipico di Raymond abitare proprio al tredicesimo…
Si
avvicinò cercando di ricordare cosa le aveva detto il professore prima di
partire
Inventa un nome a caso e
ricordalo.
Digli che ti mando io.
Comportati come se fossi in un
5 stelle superior.
Ok, con quelle premesse non poteva certo stare tranquilla,
soprattutto sul “comportarsi come in un 5 stelle sup.”!
Si
avvicinò e non servì neppure far tintinnare il campanello d’argento posto sul
marmo verde del banco perché l’uomo, un po’ anzianotto, si avvicinò quasi
giubilante ai due visitatori
-
Posso
aiutarla? – chiese a sua volta accennando un inchinò col capo
-
Sono la
signora… Drake – disse ricordando il primo cognome
che le capitava, l’uomo annuì – mi manda il signor Raymond
-
Ah,
certo,
-
Sì – rispose
evasiva, ospiti? In un attico 5 stelle? Doveva avere proprio tanti soldi…
-
Ma
certo, che sbadato… e il bimbo? – si sporse indicando la testolina bionda e un
po’ imbronciata del ragazzino che la affiancava
Grazie
al cielo in quel momento il ragazzino dell’ingresso e il tassista arrivarono
con i suoi bagagli facendo anche cadere una delle valigie, il fattorino
sembrava che stesse rischiando il licenziamento da quanto era sinceramente
dispiaciuto per essersi lasciato sfuggire dalle mani una delle borse .
-
Spero
che suo figlio si sia divertito in Hyde Park – chiese
il vetturino prendendo i soldi che lei gli porgeva – è un posto splendido e
d’inverno è un incanto.
Malfoy
suo figlio?
Neppure
nei peggiori incubi…
-
Ce lo
riporterò nei prossimi giorni – promise all’interessato
Lei
e la serpe si scambiarono un’occhiata che la diceva lunga sul fatto che li
considerassero madre e figlio, lui la squadrò malamente, lei fu tentata di
fargli una linguaccia, peccato che quello non fosse il comportamento adatto ad
una signora da 5 stelle sup.
Rivolse
un’occhiata di congedo al vetturino e tornò alla reception
-
Suo
figlio? – chiese l’uomo del banco
-
Ehm… -
dire di sì era come tirarsi la zappa sui piedi
-
Spero
allora di vedere presto il signor Drake – ammise l’impiegato,
interessato
Impossibile,
non esisteva una signora Drake, figuriamoci un signor
Drake, ovviamente a meno che Ron
non entrasse di soppiatto nell’ufficio del preside, arrivasse la Londra di
nascosto, la sposasse sotto falso nome e poi andasse all’hotel, chiaro… e comunque
impossibile.
-
Chissà
– disse sbrigativa
-
Hans vi
accompagnerà al piano, Pete invece si provvederà di
trasportare i vostri bagagli. Integri. – disse indicando prima il ragazzo
dell’ascensore e poi quello che prima stazionava dalla porta
Lei
annuì e si diresse verso la cabina numerata.
Doveva
essere davvero un posto di lusso quella specie di condominio… sul retro aveva
intravisto una piscina e l’atrio era invaso da piante tropicali molto costose
che, senz’altro, necessitavano di molte cure.
L’ascensore
era responsabilità di un inserviente a parte che, a occhio, non doveva
dimostrare più della loro vera età, ovvero sui diciassette, diciotto anni.
Quando si arrivava al piano, un campanello tintinnava facendo il caratteristico
“din”, ma non il suono metallico di tutti gli
ascensori, bensì un rumore dolce e leggero che avrebbe fatto riconoscere
immediatamente una casa di lusso da una che non lo è.
Senza
ombra di dubbio Raymond pagava parecchio di spese di
amministrazione… caspita, ma se insegnare babbanologia
a Hogwarts era così redditizio ci andava anche lei!
La
lancetta si fermò sul numero 13, l’ultimo.
Il
ragazzino in divisa si premurò di aprire le porte e rivolgere loro un inchino
mentre li faceva uscire e conduceva alla porta.
La
stanza, dove sopra era appeso in caratteri raffinati il numero 63, era l’ultima
dell’abitazione, proprio sul sottotetto, il cosiddetto “attico”.
Il
garzone di nome Hans, come aveva detto il portiere,
aprì la porta con una chiave magnetica e di fronte a loro l’appartamento del prof
prese forma.
Le
finestre davano direttamente su Hyde Park, fornendo
una invidiabile vista sul verde e sulla City, il poggiolo era stretto, ma
delizioso e delle fluente tende di cotone coprivano le due portafinestra.
La
stanza non era molto grande, se paragonata allo sfarzo del resto del palazzo,
probabilmente era l’abitazione più modesta, ma ad ogni modo carina. I bagagli
erano sistemati di fronte alla porta e Hans si
premurò di portare dentro le valigie a due per volta finchè
non dovette richiedere l’aiuto di Pete per
trasportare il baule della riccia che finse di interessarsi all’arredamento per
mascherare l’imbarazzo; Malfoy la guardò dandole della scema e poi scrutò
intorno a se: come facessero i babbani a vivere in
spazi tanto ristretti era un interrogativo che lo assillava già da un bel po’ e
che si manifestava in diverse persone che conosceva. La cosa non gli piaceva,
la stanza, comunque, era quasi passabile.
Su
un lato una cucina a piastre con lavandino, di fianco una libreria che occupava
tutta la parete, il piccolo soggiorno con tavolino, il letto addossato ad una
delle pareti, la cabina armadio e, nascosta dietro a questa, la porta del
bagno.
Guardò
intorno e il vento fece ondeggiare le tende dando all’ambiente un’atmosfera
piacevolmente fresca e ventilata
-
Temo
che sarà più dura di quel che credessi – ammise sospirando e andando in
perlustrazione
-
Senti
chi parla, pensi che mi faccia piacere essere scambiata per tua madre? – gli
domandò la Gryffindor mettendosi le mani sui fianchi
-
Ehi,
guarda che è più insultante avere una piccola mezzosangue pezzente come madre!
– la rimbrottò lui, per niente contento di quella osservazione
-
Grazie
al cielo quelli della tua razza sono in via di estinzione – mormorò lei tra i
denti prima che la discussione sfociasse nella consueta e abituale litigata
giornaliera…
-
E da
quando ti interessi di antropologia? – le domandò lui altrettanto a bassa voce
-
Da
quando non riesco più a liberarmi di te – rispose
-
Credimi,
se potessi non mi vedresti più!
-
Ah!
E
sempre rimuginando, il biondastro si diresse verso il bagno, peccato che i
braccialetti avessero cominciato a brillare mentre si avvicinava ai tre metri e
fu sospinto indietro.
Sopprimendo
un’imprecazione sulle labbra, diede uno strattone che fece vacillare la sua
compagna, costretta a camminare per non essere scaraventata a terra.
Decisamente
sarebbe stata molto peggio di quanto avesse preventivato.
* * *
Spazio autrice: ciao!
Finalmente
la scena si sposta… dopo aver scritto un’intera fic
ambientata a Hogwarts ho spostato un po’
l’ambientazione, ma state tranquilli, tra un po’ di capitoli si tornerà a
scuola.
Innanzi
tutto chiedo umilmente scusa se ho fatto qualche genere di errore di tipo
geografico, Londra è una città che mi piace molto, ma sfortunatamente non ho
ancora avuto la fortuna di visitarla, quindi non la conosco molto bene, spero
comunque di non aver sparato qualche strafalcione dei miei…
Bene,
su questo capitolo non c’è molto da dire, un po’ di litigi, la partenza… sapete
che il mio rapporto con le partenze è piuttosto conflittuale, bene, casualmente
è capitato lo stesso nella storia…
Aspetto
di sapere che cosa ne pensate, nel frattempo vi ringrazio tantissimo per avermi
lasciato le bellissime recensioni e per aver aggiunto la storia tra i
preferiti, spero che sia all’altezza delle aspettative, anche se l’impostazione
è abbastanza diversa da quella precedente, ma non preoccupativi, si complicherà
man mano che il tempo passa.
Ciao!
Nyssa
fra fave: effettivamente anche nella mia mente Malfoy
sembra più piccolo dei 10 anni che gli ho attribuito, però la faccia da bambino
imbronciato mi ricorda moltissimo quella che aveva il mio cuginetto
ai tempi dei tempi…
Il
primo arrivo a Londra è stato già costellato di battibecchi e imprevisti, però
sto ancora progettando il proseguimento… spero che ti piaccia anche il terzo
capitolo, aspetto di sapere… ciao! Un bacio! Nyssa
herm83: temo che ci vorrà ancora un cappy o due prima della scena da baby-sitter, però anche io
me la stavo immaginando in questi giorni… che sia una peste, invece, è un dato
di fatto ^^
Spero
che ti piaccia anche il terzo cappy, ciao e a presto!
Un abbraccio, Nyssa
Shavanna: fiuuuu meno male,
vivo nel terrore di riproporre la stessa storia, grazie al cielo non è così,
qui Herm fa un po’ meno la santa, diciamo che, se
nell’altro capitolo era Draco quello che mi somigliava, sempre alle prese con
delle pressanti crisi di personalità, qui è lei che ho ispirato a me in larga
parte, ma ci sarà modo di approfondire il personaggio nei prossimi capitoli,
adesso credo che sia un po’ presto, anche se ho già fatto qualche accenno.
Mi
auguro che ti piaccia anche il nuovo aggiornamento, aspetto di sapere… nel
frattempo ti ringrazio per seguire così assiduamente le mie storie, ciao e un bacione! Nyssa
potterina_88: è bello ritrovare qualcuno dei vecchi
lettori anche nelle nuove storie, sono molto felice e grazie per il bentornato!
Ti
do ragione, Herm era già grande quando è arrivata a Hogwarts e si è dovuta scontrare con pregiudizi che l’hanno
resa ancora più adulta… beh, chissà che questa non sia un’occasione per vivere
un po’ di quell’adolescenza che le è stata negata *//*
Mi
fa piacere sapere che la storia è originale, come ho già detto, vivo nell’ansia
di riproporre qualcosa che avevo già messo nell’altra, essendo stata la prima,
vi ho esaurito in parte la mia fantasia creativa, ma mi sono resa conto di
poter sfornare ancora qualcosa sufficiente per ultimare questa (anche se ce ne
vorrà….)
Aspetto
di sapere cosa ne dici questo cappy, anche se è un
po’ di passaggio, ciao e un bacio! Nyssa