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Autore: Ulver    01/07/2013    1 recensioni
Che trovarsi l'uomo che ha recitato la parte della Morte ne il Settimo Sigillo in casa è una cosa "troppo" anche per lui.
Questo intreccio di storie lo ritengo appartenente alla categoria "Thriller Psicologici". Che però non esiste qua su efp. Quindi, più ragionevolmente, l'ho spostato sotto il genere "introspettivo", che è tutta un'altra cosa ma descrive meglio ciò che voglio raccontare.
Genere: Angst, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Seduto su una sedia scricchiolante in legno, Acwielman Wer stava apaticamente allacciandosi le stringhe della sua scarpa sinistra.

Erano le 8 di sera e si era appena svegliato da un lungo sonno, tormentato da incubi diversi e più o meno sopportabili; uno, in particolare, lo aveva scosso particolarmente, tanto da avergli impedito di riprendere sonno per almeno un quarto d’ora, in un periodo di tempo che va dalle 2 alle 4 di pomeriggio: lui che era seduto su una spiaggia sabbiosa di fronte ad un mare nero come la pece e sotto un cielo meravigliosamente azzurro. Poi, in lontananza, un uomo, dalla carnagione piuttosto pallida e con un cappotto scuro, che lo fissava; Wer non osava guardarlo in faccia, perché sapeva (chissà come?) che qualcosa di brutto sarebbe potuto succedere, eppure era come se quello  fosse per lui un’immagine indissolubilmente impressa di fronte al cristallino. Ovunque guardasse, riusciva a vederlo, sempre, proprio in fondo al suo occhio.
Il sogno poi è continuato, ma Wer non riusciva proprio a ricordare null’altro fino al momento del suo repentino risveglio: la faccenda lo intrigava, ma sapeva che più il tempo passava più sarebbe stato difficile trovare risposta agli interrogativi, per cui lasciò perdere e si diresse verso la porta.

“Diavolo, le chiavi!”, esclamò, quando vide che queste non erano al loro posto. La cosa era curiosa e si ripeteva già da un po’ di tempo; assume prospettive ben più inquietanti quando si scopre che Wer vive da solo e non invita mai amici a casa. Soleva autogiustificarsi dicendo che le aveva spostate senza accorgersene o che stava diventando vecchio, ma non è mai risultato convinto di ciò.

Uscito di casa, chiusa la porta a chiave, Acwielman si ritrova faccia a faccia con il gelido tepore invernale; il suo abbigliamento era in aperto contrasto con la sensazione di freddo pungente che sentiva, era vestito con un completo da atletica leggera, scarpe da corsa e occhiali da sole. Di sera.

Esce dal cancello, gira a sinistra, costeggia la strada principale. Non c’era nessuno, solo il rumore del fiume a suggellare quel momento; Wer pensò bene che era il momento giusto per espellere certi gas dal suo corpo, in un azione che non mi sembra importante descrivervi ma che potrebbe tornare utile più avanti, nella storia. Fatto ciò, si avviò per il sentiero.

Era forse un chilometro la distanza che intercorreva tra casa sua e quella stradina che portava fino alla cima del monte (così si era soliti chiamarlo, anche se le dimensioni erano ben più ridotte di quelle di un monte vero e proprio) Arvo; questa era per buona parte ghiacciata e quindi piuttosto rischiosa da percorrere; Wer lo fa, sprezzante del pericolo, ad andatura moderata e stando attento a mettere i piedi sui lastroni di ghiaccio che gli sembravano più scivolosi, che per poco non l’hanno ucciso tre volte, solo quella sera; era un eterno bambino, ci si doveva rassegnare! Qualsiasi cosa avrebbe fatto scappare una persona normale, ecco, lui ne era attratto, come i bambini con le pozzanghere dopo un temporale, come lui con le parti più ghiacciate di quel sentiero.

Arrivato in cima, dopo aver pronunciato la sua formula post-scalata (“deus absconditus!”, sul cui significato, caro lettore, ci si confronterà in seguito), si ferma un momento a guardare il paesaggio. Ciò che vede, molto il lontananza e sfocatamente (non aveva né occhiali né lenti, in quel momento) è la strada illuminata dai lampioni e nient’altro. “Non che con gli occhiali sarebbe andato meglio”, pensa, “in fondo fa schifo anche di giorno, figuriamoci di notte”.

Un po’ sconsolato, si alza dalla panchina dove si era seduto. Era l’una e quarantacinque. Riprende a correre col suo passo non spedito, in direzione casa (dopo essere arrivati in cima, esattamente dopo lo spiazzo dove si era fermato c’è un’altra strada che porta in un luogo vicino alle 5 case che compongono la sub frazione di Vareš).

Dopo essere passato davanti ai due edifici che, andando nella stessa direzione con cui aveva effettuato il primo tratto del suo jogging notturno, si trovavano prima di casa sua, e dopo che la neve aveva già iniziato a scendere da almeno 15 minuti, Wer si ritrova finalmente a faccia a faccia con il cancello che delimita il suo giardino. Si guarda in giro, tutto regolare, nessuno in vista; con sprezzo del pericolo, lo salta, in malo modo, finendo così per terra sul vialetto che porta alla veranda. La sua gamba era dolorante, era caduto abbastanza scompostamente; cerca di entrare in casa il prima possibile (oltretutto iniziava a fare troppo freddo anche per i suoi gusti), trascinandosi nel migliore dei modi fino alla porta. Infila le chiavi, apre, chiude sbattendo, si siede sulla sedia dell’inizio della storia e si toglie la scarpa sinistra, quella dolorante. Da un’occhiata alla caviglia, si rende conto che in fondo non è nulla di ché se non un leggero rigonfiamento; nulla di preoccupante.

Con calma, inizia a togliersi anche l’altra scarpa, apre il rubinetto dell’acqua (tiepida, chiaramente) in bagno, accende la tv, in attesa che la vasca si riempia, e mette le chiavi di fronte allo specchio posto a sinistra della porta d’entrata. Assopito dai programmi soporiferi  che andavano in onda nottetempo, tra cui una maratona di puntate di Twin Peaks di David Lynch, Acwielman si dimentica di andare a chiudere l’acqua, se non che all’ultimo secondo, in un momento di presa di coscienza, si rianima e corre disperatamente verso il bagno sperando che non sia tracimato nulla. Salvata la situazione in extremis, Wer può ora tranquillamente rilassarsi in una vasca d’acqua tiepida e piena zeppa di bolle, proprio come piaceva a lui.

***

Nel frattempo, dal mobiletto di fronte allo specchio, le chiavi scompaiono misteriosamente.

Wer, però, stavolta sente qualcosa; nella calma del suo bagno il rumore fuori contesto di una porta o forse di una finestra aperta silenziosamente risuona cavernoso come se a produrlo fosse un’ intera industria di automobili in funzione; scatta in piedi, nudo, ed esce velocissimo dal bagno, rischiando la morte già per la quarta volta quella sera. Ma non vede nessuno, lì in casa e fuori nel giardino, e nulla sembra essere stato rubato.

Si fa strada, però, una certezza nella mente di Wer: qualcuno era stato lì, pochi istanti prima, era entrato in casa e fuggito poco dopo. Era spaventato a morte, Wer, rimasto come pietrificato davanti alla visione statica del suo salotto; due finestre erano aperte, le tende svolazzavano all’interno delle mura e il loro rumore era spaventosamente grave e sinistro.

Qualcuno, prima, era stato lì.
  
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