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Autore: boobearandhiscurly    03/07/2013    5 recensioni
"Harry aveva capito che c'era qualcosa di strano in quella casa all'età di 5 anni quando, dopo aver distrattamente lanciato il pallone da calcio con cui lui e sua sorella stavano giocando nel giardino di fronte, era corso allegramente a riprenderselo. Non ci sarebbe dovuto essere nessuno in casa Tomlinson, a quell'ora. Eppure, quando aveva raccolto la palla e aveva gettato uno sguardo furtivo verso l'ampia vetrata al piano terra della abitazione, giurava di aver visto un piccolo viso rotordo e due occhi color sangue nascosti tra le pieghe delle grandi tende nere.
I Tomlinson non avevano figli.
O almeno questo era quello che tutti credevano."
Genere: Fluff, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, Cross-over, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Chapter 6
 
 

                                                                                                                                                                            "Never fear shadows. They simply mean there's a light shining somewhere nearby"
                                                                                                                                                                                         Ruth E. Renkel
 

 
 
 
 
 
Il riccio prese a camminare per il lungo corridoio sotterraneo di casa Tomlinson, aggrappandosi con le dita alla superficie liscia della parete alla sua destra.
Il corridoio sembrava interminabile, spoglio di qualsiasi elemento. Solo il nero delle pareti, solo oscurità a fargli compagnia in quello che aveva paura si rivelasse un viaggio di sola andata.
Tutto il suo corpo era teso, pronto a scattare indietro al minimo rumore sospetto. Quando il suono ovattato di un tuono echeggiò vago tra le pareti, quindi, con un balzo si ritrovò schiacciato con la schiena contro il muro freddo. 
'Non dovevo venire, adesso me ne sgattaiolo fuori e sarà come se io non fossi mai stato qui' Pensò tra sé e sé, i palmi delle mani sudati ed i capelli leggermente attaccati alla fronte.
Più proseguiva lungo la strada, più un freddo tetro minacciava di volerglisi attaccare sino dentro alle ossa. Più, al tempo stesso, Harry sentiva uno strano calore invadergli ogni singolo lembo di pelle, come se ogni passo mosso l'avesse simultaneamente reso più stanco.
 
Aveva paura.
 
Deglutendo a fatica, si staccò dalla parete e, ruotando il proprio corpo di novanta gradi, fece per tornarsene indietro, su per le scale e poi di nuovo fuori, all'aria aperta, al sicuro da qualunque cosa lo stesse aspettando lì, annidata nell'oscurità.
Mosse una serie innumerevole di passi e cominciava quasi a vedere la luce soffice proveniente dalle scale quando, senza preavviso, inciampò su qualcosa di vagamente morbido.
Qualcosa che prima non c'era.
Con quanta più velocità poté si ritrasse e le sue mani sferzarono l'aria, cercando disperatamente un appiglio nella penombra del sotterraneo.
Quanto riuscì a recuperare una posizione eretta, sentì come se le gambe reggessero il suo peso a fatica. Era paralizzato, vittima del suo stesso corpo che aveva deciso di tradirlo proprio quando, invece, avrebbe avuto bisogno di tutte le sue energie. Involontariamente portò una mano sopra la tasca posteriore dei jeans, alla disperata ricerca di qualcosa con cui proteggersi. E quando la sua mano incontrò una protuberanza rettangolare e rigida, si maledisse per non averci pensato prima.
Aveva con sé il cellulare, come aveva potuto non ricordarsene?
Con dita tremanti armeggiò freneticamente contro l'orlo della tasca, rimpiangendo di avere solo pantaloni attillati. Quando, finalmente, riuscì ad afferrare il bordo del cellulare, lo estrasse cercando di non farlo scivolare a terra, data l'enorme paura condensata a bagnargli le mani. Lo schermo si illuminò dopo che ebbe spinto il piccolo bottone d'accensione sulla parte superiore.
Si sentì morire quando i suoi occhi saettarono sull'ora scritta in grandi caratteri cubitali proprio al centro del display.
 
02.56
 
Perso ogni controllo, la vista si gli appannò. E quelle, ne era sicuro, erano lacrime di disperazione, tempesta violenta su un viso che non era pronto a tutte quelle emozioni così devastanti.
Cominciò a diventare anche difficile respirare. Si sentiva in apnea, solo, perso.
 
In un moto di puro terrore allontanò da sé l'apparecchio, arrivando ad illuminare con quella luce fioca ciò che giaceva lì, sul legno freddo.
Un tuffo al cuore gli scosse il petto quando, nella penombra, riuscì a distinguere la sagoma di.... una palla.
 
Come diavolo c'era arrivata una palla lì?
 
Senza una ragione precisa si chinò leggermente in avanti e, una volta che le sue ginocchia arrivarono ad poggiarsi sulla superficie dura sotto di lui, allungò una mano tremante in direzione dell'oggetto.
Doveva scappare, lo sapeva. Doveva uscire da lì, e anche alla svelta.
Eppure, in quel momento, l'unico pensiero che la sua testa sembrava riuscire ad elaborare era quello di toccare il pallone, per avere la conferma che tutto quello non esistesse solo nella sua testa, per convincersi che ancora quei suoi occhi di un verde smeraldo ormai spento non l'avevano tradito.
Per provarsi che, per quanto facesse paura anche solo a pensarsi, i mostri dei suoi peggiori incubi fossero reali.
 
Quello che avvenne di lì a pochi secondi fu completamente inaspettato, inquietante, strano.
Non appena i suoi polpastrelli umidi arrivano a sfiorare la superficie levigata e fresca della palla, questa cominciò a...
"M-ma che sta succedendo?" Farneticò il riccio, gli occhi incollati alla sfera rotonda che improvvisamente aveva cominciato ad emanare una strana luce bianca, come se il suo tocco avesse innescato un meccanismo ignoto. L'intero corridoio si illuminò per una frazione di secondo, dopo di che il buio tornò sovrano.
Un fischio acuto e prolungato spezzò l'aria.
Il riccio, frastornato, schiacciò quasi immediatamente i palmi delle mani contro le orecchie. Era un suono forte, pungente, totalizzante. Ogni cosa intorno a lui sembrò annullarsi, si sentì come galleggiare su quella frequenza acuta.
E per quanto potesse essere fastidioso, quel suono fece vibrare l'aria in un modo che non sembrava affatto pericoloso.
 
Rumore bianco.
 
E d'un tratto, voci.
Voci lontane e risate sommesse, come solo quelle di un bambino avrebbero potuto essere. Voci udibili a fatica, come se fossero anniluce distanti, della consistenza di un vacuo ricordo.
 
Doveva essere per forza dentro a qualche strano sogno. Doveva.
Nel mondo reale non ci sono scritte che appaiono come per magia dal nulla. Nel mondo reale non ci sono voci immateriali che improvvisamente si fanno sentire.
'Sono impazzito...q-questa cosa è fuori di testa. Svegliati Harry. Smettila di sognare e svegliati. Ti ritroverai a casa, nel letto, con le coperte ormai per terra e tua madre che ti dirà che hai solo schiacciato un pisolino perchè eri stanco. Ti prego svegliati però. Ti prego.'
 
Frastornato da quella realtà -che nessuno ancora gli garantiva essere tale- che lo stava facendo sprofondare nel suo vortice turbinoso, si diede un pizzicotto alla guancia sinistra, sperando con ogni fibra del suo essere di svegliarsi da quel incubo che la sua vita era diventata.
Ma non ci fu nessuna magia per lui, quella sera... o almeno non in quella circostanza. Non ci furono occhi impastati dal sonno che, alla luce tenue dei raggi del sole, cercano disperatamente un riparo. Non ci furono lamentele da parte di Anne su come avesse saltato un'intera mattinata di scuola, né ci fu l'alito pesante che accompagna ogni risveglio.
Solo il buio del corridoio, il pavimento scricchiolante e ancora quelle voci. Più forti, più vicine.
 
Senza avere il benché minimo controllo sulle proprie gambe, Harry cominciò a correre nell'oscurità di quello spazio stretto e freddo. Sempre più veloce, sempre più stanco, sempre più nella direzione sbagliata.
Avrebbe dovuto oltrepassare il pallone e correre su per le scale, ma per qualche insensata ragione stava correndo nella direzione opposta.
Dritto nella tana del lupo.
 
Corse a perdifiato, corse sino a che ogni muscolo reclamò ossigeno, corse fino a trasudare la sua stessa paura. Non vedeva assolutamente nulla intorno a lui, e non vide neppure se stesso quando abbassò lo sguardo. L'ombra l'aveva inghiottito, assimilato, reso sua parte integrante. Non aveva il coraggio neppure di illuminarsi la strada con il cellulare, in equilibrio precario tra le proprie dita: non avrebbe retto nel vedere di nuovo l'ora, sarebbe crollato sicuramente nel prendere coscienza di come, ancora una volta, quell'ora nella notte scandisse il tempo come una condanna.
Le 3 di mattina, l'ora di ogni risveglio dai sogni, l'ora dell'episodio a pochi passi dall'uscita sul retro del pub, l'ora scritta sulla superficie fredda dello specchio.
L'ora in cui tutto aveva inizio e in cui tutto avrebbe trovato una fine, che essa fosse stata positiva o, al contrario, devastante.
 
Man mano che proseguiva, le voci sembravano amplificarsi, come se fossero consapevoli del loro peso, come se volessero raggiungerlo per ricordargli qualcosa.
Per la frustrazione, Harry strinse forte le palpebre.
 
Non ti fermare, vieni da me.
 
Una voce della stessa consistenza di un sussurro impercettibile. Soffice, inafferrabile.
 Chi aveva parlato?
Di scatto il riccio spalancò gli occhi, le pupille dilatate per cogliere anche il più piccolo movimento nell'aria intorno a sé. E fu proprio quando alzò il viso che la vide.
Una porta.
Emanava una luce opaca, sbiadita, come se un velo ne appannasse la lucentezza di un denso color rosso. Sembrava antica, il legno inscurito che recava intarsiature delicate su tutta l'ampia superficie.
E brillava, brillava di luce propria in quel seminterrato scuro. E in quel momento un ricordo vago si affacciò alla sua mente, come se l'avesse già vista da qualche parte.
Bastarono pochi secondi perché finalmente capisse: non l'aveva già vista, l'aveva sognata.
Sarebbe bastato che alzasse il braccio per toccarla, per tastarne la superficie asimmetrica e scavata.
E senza che se ne accorgesse, si ritrovò ad osservare la sua mano che, tremante, tracciava quei contorni definiti e spigolosi.
Era tutto così surreale, tutto così sfocato e indefinito ai suoi occhi. Come fosse un altro a compiere quelle azioni. Una stanchezza formicolante si diramò prima delle punta delle sue dita per poi coinvolgere il suo intero corpo. I suoi occhi si fecero d'improvviso pesanti mentre, con un gesto lento, la sua mano si mosse in direzione della maniglia... che non c'era.
 
Una porta senza maniglia. Di bene in meglio.
 
Forse era destino che andasse a finire così, pensò Harry. Forse era scritto da qualche parte che tutto si riducesse ad una soglia, chiusa, che tutta quella storia fosse stata un'enorme presa in giro, uno scherzo di dimensioni galattiche con il solo scopo di insegnargli qualcosa. Cosa, però, rimaneva un mistero.
Le voci si erano appiattite, volatilizzate, come fossero state risucchiate dalle pareti scure per piegarsi alla lucentezza bizzarra di quella porta.
 
Sai cosa fare, non avere paura.
 
E all'improvviso, tutto cominciò a prendere senso. Perché Harry sapeva davvero cosa fare, e sapeva di doverlo fare con la stessa sicurezza con cui, chissà quante ore prima, una volta introdottosi nell'abitazione dei Tomlinson, aveva capito che per arrivare alle risposte che tanto agognava sarebbe dovuto scendere verso il corridoio scuro al piano inferiore.
A rallentatore alzò la mano, pochi centimetri a dividerla dalla superficie dura immediatamente di fronte. E poi lo fece.
 
Un colpo.
L'aria cominciò a vibrare.
Due colpi.
Alle sue spalle si levò una raffica improvvisa di vento, che gli scompigliò i capelli e lanciò brividi di terrore per tutta la lunghezza della sua spina dorsale.Non poteva tirarsi indietro, semplicemente ora non poteva più.
Tre colpi.
Il vento cessò, lasciando al suo posto solo silenzio.
 
La porta scattò in avanti, aprendosi del tutto come sospinta da una corrente fluttuante.
Gli occhi di Harry si riempirono di luce, così abbagliante da costringerlo a serrare le palpebre.
E quando le riaprì, la luce si era fatta meno brillante ed ora lo riusciva a vedere.
 
In piedi, a pochi passi da lui, un ragazzo lo scrutava con in volto un'espressione indecifrabile. Aveva la pelle diafana, come se questa non avesse mai visto i raggi del sole.
Ed Harry non aveva paura, non più.
Lo suo sguardo si soffermò prima sul lungo collo, dove la pelle sembrava più candida della neve, per poi risalire lentamente: due labbra rosse come il sangue incorniciavano un sorriso accennato, un angolo della bocca reclinato verso l'alto in modo asimmetrico, sovrastato da un nasino sottile e perfetto.
E poi c'erano gli occhi, quegli occhi che avrebbero fatto invidia al cielo e che fecero perdere un battito al suo cuore, ora più rumoroso di quanto non lo fosse mai stato.
Quegli occhi che ora erano puntati dritti nei suoi, quegli occhi che per un attimo gli parvero percorsi da un fulmine abbagliante.
 
Man a mano che il contatto visivo si intensificava, Harry sentiva ogni forza abbandonare il suo corpo, come risucchiata in quei due squarci di Paradiso.
Si sentì scivolare all'indietro, sopraffatto.
E proprio prima che chiudesse gli occhi, abbandonandosi a quella stanchezza straziante, sentì la sua voce.
 
Finalmente sei tornato. Sono anni che ti aspetto, Harry.

 
Poi tutto divenne sfocato ed il buio ebbe il sopravvento.
 
 
 
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That's amore (in realtà that's ritardo mostruoso, però...)

Eccomi qui con il sesto capitolo, puntualmente con un ritardo pazzesco. Mi dispiace davvero, davvero, un sacco...solo è stato un periodo un po' del cavolo e in più, tanto per dirne una, penso di essere nel bel mezzo di un blocco con i fiocchi. Il capitolo sette mi ha portato via davvero un sacco di tempo.
A questo punto spero solo di non metterci un'infinità di tempo per scrivere l'ottavo, così da postare il seguente entro un termine accettabile.
IN OGNI CASO: siamo arrivati ad una svolta e finalmente c'è stata la comparsa del personaggio X (o Y, come preferite voi)........ ma non è ancora finita, tante cose vi aspettano ancora in questa storia....e se avrete pazienza (e per questo non vi potrei ringraziare di più) piano piano ogni cosa andrà al suo posto.
Grazie davvero di cuore a quante di voi sprecano il proprio tempo leggendo quello che scrivo, a quante recensiscono, seguono, preferiscono, ricordano e anche a coloro che, silenziose, continuano a leggere capitolo per capitolo.
Siete adorabili e spero solo di non deludervi con ritardi vari e contenuti del cavolo (perchè magari non vi garba la linea che stanno prendendo i fatti o whatever..).
Solo, fatemelo sapere, ok? :)
Ci si vede al prossimo aggiornamento, buonagiornata!
Un abbraccio a tutti-e,
Cri
  
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