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Autore: Brooke Davis24    03/07/2013    2 recensioni
Sono trascorsi mesi dall'avventura presso l'Isola che non c'è: Henry è stato salvato, Emma e gli altri hanno fatto ritorno presso la Foresta Incantata, Hook è tornato a salpare verso mete conosciute e sconosciute. Galeotte furono Neverland e la Jolly Roger.
Tratto dal primo capitolo:
"Erano trascorsi mesi dall’ultima volta che l’aveva visto e il suo cuore mancò istintivamente un battito: non si concedeva spesso il lusso di pensare a quel passato recente, perché, tutte le volte che accadeva, bruciava la consapevolezza di aver commesso un errore del quale, a distanza di tempo, si pentiva amaramente. La sua mente, infida, le fece ripercorrere ancora e ancora le immagini dell’avventura presso l’Isola che non c’è, quando, alla ricerca di Henry, erano partiti a bordo della sua nave e, preso il largo, avevano lottato fianco a fianco, bene e male uniti sullo stesso fronte per amore di un’unica persona."
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan, Killian Jones/Capitan Uncino
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Atto III

 
E’ normale sentirsi in pace con se stessi, ma avere la consapevolezza che quella quiete altri non è che una finzione, che una tenda per nascondere ai propri occhi e a quelli altrui l’imperversare di una battaglia di proporzioni indicibili? Probabilmente sì. Probabilmente lo è per qualunque persona. Non esiste umano che non sia in grado di fingere, non esiste umano che non menta, che non racconti e non si racconti bugie. Per Emma Swan, però, non c’era nulla di normale in quella condizione, che non le rendeva più semplice il sonno, né alleviava i suoi affanni.
 
Emma odiava le bugie, le odiava e le evitava come la peste. Emma smascherava le bugie, le denudava, poneva su un piedistallo e distruggeva, perché amava la verità e perché Dio solo sapeva quanti guai le avevano causato nel corso della sua vita. Benché possedesse la magia e potesse farne uso, era il suo super-potere quello a cui si affidava maggiormente: era brava, sapeva di esserlo, e, al di là del fatto che molti fossero dubbiosi in merito, Emma aveva la piena certezza dei suggerimenti del suo istinto. E c’era qualcuno che credeva nelle sue potenzialità!
 
Due nomi sovvennero spontaneamente alla sua bocca e, pur mantenendo le labbra serrate, si concesse il lusso di un sorriso spontaneo e dolce quanto la sua mente le suggerì l’immagine di Henry. Lui aveva sempre avuto fiducia in Emma, persino quando lei stessa aveva faticato a vedersi speciale, ed aveva fatto dipendere proprio dalla donna che lo aveva partorito e poi dato in adozione le sorti di un’intera città, senza mai vacillare, senza consentire che la testardaggine e la cecità di sua madre lo fiaccassero. Con un brivido, rivisse la scena nella cucina di Mary Margaret, lo rivide mordere lo sformato di mele avvelenato e collassare sul pavimento. “Potrai anche non credere alla maledizione o a me, ma io credo in te” le aveva detto, rischiando la propria vita con l’infallibile certezza che Emma ce l’avrebbe fatta. C’era qualcosa di terrificante nel modo incondizionato in cui l’aveva amata prima ancora di conoscerla, lo stesso che aveva portato la dura, diffidente ventottenne solitaria a ricambiarlo con un’intensità addirittura maggiore. Se quella non era magia, cos’altro avrebbe potuto essere?
 
Ma Henry non era l’unico a confidare nel suo super-potere. Pur con ritrosia, Emma si costrinse ad ammettere che Uncino non aveva mai dubitato della sua capacità di giudizio e che, se possibile, ne era rimasto impressionato. Ricordava ancora l’ammirazione nei suoi occhi blu, nascosta dietro quel sorriso civettuolo e divertito, quando le aveva posizionato il contro-incantesimo al polso per scalare la pianta di fagioli e, con tutta la nonchalance del dongiovanni, le aveva detto “Speravo fossi tu!”. In maniera tanto contorta quanto lo era lui, gli era piaciuto che lo avesse smascherato, che non si fosse bevuta le sue fandonie e lo avesse costretto ad ammettere la disfatta senza mezzi termini. Uncino era cosi: perverso. Prendere o lasciare!
 
Non si era trattato di un caso isolato, tuttavia: l’Isola che non c’è li aveva sottoposti ad una serie di prove sconcertanti, alle quali avevano saputo rispondete talvolta con zelo, talvolta con minor prontezza. Il bel pirata l’aveva consultata spesso, si era preso gioco di lei, aveva ovviamente colto al volo ogni occasione per flirtare e più di una volta le aveva confessato di aver avuto bisogno del suo parere per ragionare più lucidamente. Com’era possibile che, laddove neppure i suoi genitori e l’uomo che si supponeva essere il grande amore della sua vita erano arrivati, Uncino fosse riuscito?
 
«Bha!» mugugnò, cominciando a camminare in circolo ed ignorando lo sguardo curioso di Brontolo che, seduto su un masso, mangiava svogliatamente una pesca mentre osservava tutte le sue mosse. Quando aveva raggiunto la casa dei nani millantando la scusa di una visita, la sua espressione colpevole e il suo affanno dovevano averla tradita, ma, benché alcuni di essi si fossero accigliati, avevano evitato di fare alcuna domanda. Avevano imparato a conoscere Emma e sapevano che insistere avrebbe prodotto l’effetto contrario a quello sperato. Un po’ come con la giovane, testarda, impavida Biancaneve.
 
«Una visita piuttosto taciturna, la tua.» le disse ed Emma distolse immediatamente lo sguardo, consapevole dell’indagine alla quale la stessero sottoponendo gli occhi dell’altro.
 
«Le parole sono sopravvalutate.» rispose, tanto rilassata quanto lo era stata la prima volta che aveva fronteggiato un orco.
 
«E le bugie? Non sarai Pinocchio e il tuo naso non si allungherà, ma non sai mentire bene quanto credi, Emma Swan.» Un sorriso furbo increspò i lineamenti del viso del nano ed Emma, gettando un’occhiata verso la radura, si assicurò di aver seminato Uncino. «Dunque, da chi stai fuggendo?» domandò, stiracchiando gambe e braccia e lasciandosi andare ad un grugnito soddisfatto. «Oh, ho capito!» fece senza darle il tempo di proferire parola e lasciando che le parole le morissero in gola. La mano tozza del mezz’uomo si strinse attorno al manico del piccone e la perplessità di Emma crebbe senza modo d’arrestarsi, quando lo vide superarla e puntare a passo di carica la figura in pelle che si aggirava guardinga ad una decina di metri di distanza.
 
«Fermo!!!»
Con un placcaggio degno del più violento giocatore di rugby, Emma si gettò contro l’omuncolo e lo costrinse contro il pavimento al di là delle siepi, non senza strappargli qualche gemito di dolore. La mano della donna premette ferma contro le labbra di Brontolo e stentò a dargli retta, quando tentò di farle capire che la sua mano avesse coperto un’area ben più ampia della bocca e, chiudendogli le narici, lo stesse soffocando.
 
«Scusami! Non volevo farlo, ma non avevo scelta.» sussurrò, porgendogli un braccio ed aiutandolo ad alzarsi, per quanto ritroso fosse nell’accettare il suo sostegno dopo l’assalto che aveva subito. «Non voglio averci a che fare e mi dà ai nervi, ma questo non significa che devi prenderlo a picconate.»
 
«La verità è che voi Charming» e cominciò ad avanzare verso di lei, muovendo pericolosamente il piccone e costringendola ad indietreggiare. «siete delle maledettissime…» e mosse un passo dopo l’altro, finché Emma non poté far altro che appiattirsi contro la parete della roccia dalla quale era stata ricavata la casa dei nani. «…teste di rapa
 
Col mento in avanti e gli occhi stretti in due fessure, la osservò per qualche secondo ed Emma ebbe l’impressione che stesse scandagliando ogni sua più piccola emozione, al diavolo i perbenismi e la discrezione. La donna deglutì e si esibì in un sorriso tirato nel tentativo di porre fine a quell’osservazione, ma Brontolo parve volersi avvalere di quel trucchetto per metterla a disagio e andò avanti ancora per qualche minuto. Quando si ritenne soddisfatto, sbuffò con la stessa grazia di un cavallo infastidito dalle mosche e dal caldo e, voltandole le spalle, oltrepassò l’uscio di casa.
«Far parte della famiglia reale ha molto significato da queste parte, vedo.» commentò sovrappensiero, dimentica, per un attimo, che il pirata potesse essere stato attratto dai rumori.
 
Strisciando contro la parete con circospezione, si immise nuovamente nel folto della foresta e, complice l’adrenalina, non adottò le stesse precauzioni di cui si era servita quando, poco prima, aveva tentato di seminare Uncino. Confidava nella sua buona stella e intimamente si disse che la Salvatrice non poteva essere del tutto sprovvista di un po’ di fortuna. Non chiedeva molto, del resto: voleva semplicemente fare ritorno a palazzo, andare da Henry e godersi il resto della giornata in compagnia della sua famiglia. Era una persona di poche pretese e le persone di poche pretese, solitamente, avevano il benestare del Fato dalla loro.
 
Ma Emma aveva dimenticato un piccolo dettaglio: l’unica stella che ricordava nella sua vita era stata il distintivo da sceriffo appuntato alla cintola. Come diavolo poteva ancora credere nella buona sorte, dopo tutto quello che aveva passato? Era nata il giorno in cui la maledizione aveva colpito i suoi cari, era sbucata fuori da un albero, era cresciuta tra l’orfanotrofio e una serie di disdicevoli famiglie affidatarie, era sopravvissuta come una piccola mascalzona, l’uomo al quale aveva aperto il suo cuore, rigorosamente dopo averla messa incinta, se l’era data a gambe addossandole tutta la colpa di un furto che non aveva commesso… Quale altra dimostrazione le serviva per capire che, se mai una buona stella si fosse interessata al suo destino, si sarebbe trattato come minimo di un asteroide che avrebbe sterminato tutte le persone che amava, lasciandola in mutande nel bel mezzo di una tormenta di neve sulla versione fiabesca del K2?
 
«Eccoti!» sussurrò una voce poco distante, mentre qualcosa di metallico sfiorava la pelle del suo collo e, con un’unica e decisa trazione, Uncino l’avvicinava a sé. La distanza tra loro si ridusse ed Emma lo osservò mirare deliberatamente alle sue labbra; qualcosa, negli occhi del pirata, mutò e lei ebbe l’impressione che una pericolosa miscela di caparbietà e lussuria si stesse sciogliendo nel nero di quelle pupille. «Per un attimo, ho creduto che stessi davvero scappando. Ma Emma Swan paga sempre i suoi debiti, non è così?»
 
http://www.youtube.com/watch?v=P8hKRJyeiyY  
Una notte silenziosa, più di quanto non lo fossero state le ultime da quando erano arrivati all’Isola che non c’è, era stata la ragione della sua insonnia. Una delle tante ragioni. Quella quiete aveva avuto il potere di provocarle un dolore persino più acuto dell’assenza di risultati di quegli ultimi giorni, perché stridente con il frastuono dei suoi pensieri, col trambusto dettato dalla sua preoccupazione. L’aria fresca, salmastra e salubre come nessuna del suo mondo lo era mai stata da che aveva memoria, aveva lenito pian piano il suo malessere e la Jolly Roger, più premurosa di quanto non si fosse aspettata, si era presa cura di lei, cullandola come mai nessuno aveva fatto quando era stata bambina. Si era presa cura di lei un po’ come faceva Uncino, con la stessa discrezione, in maniera altrettanto sottile e, come il suo capitano, aveva aspettato che Emma fosse pronta ad ammettere di averne bisogno, di necessitare di quelle premure.
 
Un sorriso a metà tra l’irritato ed il sollevato aveva inclinato le sue labbra, quando aveva udito la voce del pirata blaterare una canzone che, ovviamente, non conosceva, e si era stupita ancora una volta: aveva una bella voce; era calda, umile, limpida come lo erano i suoi occhi blu, che parevano aver assorbito tutta la bellezza del mare in un muto accordo di condivisione. Aveva odiato lasciarsi andare a simili considerazioni, ma non avrebbe fatto altro che mentire, tacendo quanto bello lo trovasse; al di là del vago sentore di dannazione che emanava, Emma aveva sempre pensato che ci fosse qualcosa di arcano e di incredibilmente semplice in tutta quella bellezza. Guardandolo, nessuno era in grado di scorgerne la mutilazione, nessuno guardava alla mano mancante. Erano i suoi occhi a sconcertare, perché parlavano, raccontavano storie che, con ottime probabilità, non avevano mai sfiorato le labbra del bel capitano.
 
Silenziosamente, si era fatta strada fino ad un barile e vi si era seduta sopra. Gentile, la luna l’aveva investita e, allungando una mano quasi a volerla afferrare, Emma aveva chiuso un occhio, osservando con fare intento i fasci di luce argentea filtrare tra le sue dita. Lenti, i passi di Uncino si erano fatti più distinti e lei aveva saputo che, di lì a breve, sarebbe stato al suo fianco. Lui la raggiungeva sempre.
 
«Quella è una delle poche cose che non posso darti. Le stelle…» si era interrotto, una risata durata il momento di un respiro. «Bhe, quelle potrei fartele vedere!» aveva concluso, gettandole un’occhiata di traverso ed incontrando l’espressione esasperata di Emma. «Dicevo tanto per dire!» si era giustificato, nascondendo in malo modo il divertimento tra una parola e l’altra.
 
«Ti aspetti davvero che ti creda?» gli aveva chiesto e la sua bocca aveva riprodotto una piccola smorfia, vagamente rassomigliante ad un sorriso.
«No, ma mi aspetto di vedere quel sorriso che tenti di nascondere. Quello, mi aspetto di vederlo ogni giorno.» Era stato disarmante, quella sera più delle altre, e, per quanto scocciata Emma si fosse ripetuta di essere, aveva dovuto tacere ogni protesta, quando la parte più sincera di sé le aveva chiesto la ragione di quell’uscita serale e la ragione, la vera ragione per la quale aveva evitato le scale per sedersi a riflettere. Era stato Uncino a chiederglielo; una delle sere precedenti,le aveva chiesto di non sedersi al buio, di lasciare che la guardasse per ricordare cosa l’avesse spinto, dopo tre secoli, a mettere da parte la sete di vendetta. Chi l’avesse convinto.
 
«Cosa cantavi?» aveva cambiato discorso, a disagio.
«Una vecchia canzone… Era di tuo gradimento?» Emma aveva annuito.
«Di che parla?»
«Di una donna e di un uomo, due sconosciuti alla fine di un lungo percorso durato anni. Chiedono a loro stessi se vogliono lasciarsi il passato alle spalle o meno. Prima che lei decida, lui la prende per mano…» Qualcosa, nell’intimità del momento e nella serietà della voce di lui, l’aveva scossa visibilmente, ma nessuno dei due aveva avanzato nessun commento in merito.
 
«Lui le sta chiedendo di andare avanti insieme…» aveva completato Emma, lo sguardo fisso laddove la luce della luna incontrava le insondabili oscurità marine, tuffandovisi senza alcun timore.
 
«No. Lui la lascia andare. Va avanti da solo.» l’aveva corretta lui ed Emma, a quel punto, si era voltata per guardarlo. Il profilo di lui, alla luce della sera, era parso perfetto, dipinto contro il cielo nero trapunto di stelle.
 
«Non pensa ne valga la pena!» aveva detto lei e, a quel punto, Uncino l’aveva guardata con un sorriso canzonatorio, lo stesso che, a volte, le era capitato di assumere con Henry dinanzi ai suoi errori infantili, dettati dall’innocenza.
«No, Emma. E’ lei a credere non ne valga la pena. Lui vuole evitarle il dolore di dirlo a voce alta.» Era stata lì dinanzi a lei, quella sera, la bellezza semplice e disarmante che aveva intravisto di tanto in tanto. «Se lei volesse, potrebbe stringergli la mano.»
 
«O l’uncino…» aveva sussurrato Emma, quasi impercettibilmente, le parole del tutto fuori dal controllo della ragione, del buonsenso.
«Come hai detto?» l’aveva incalzata lui.
 
«Nulla!» Scrollando le spalle e fingendo una noncuranza che non le era familiare in quel momento, era scesa giù dal barile e, quando Uncino si era voltato per fronteggiarla, la donna aveva sentito il bisogno di darsela a gambe prima che fosse troppo tardi. Con un movimento repentino, il pirata l’aveva preceduta, però: prendendole il mento, si era avvicinato a lei e, delicato come non lo aveva mai creduto possibile, l’aveva baciata. Una frazione di secondo e l’aveva sconvolta.
 
«Buona notte, Emma.»
Serio, l’aveva guardata intensamente negli occhi con la sicurezza di un uomo che sapeva quello che voleva; divertito, le aveva sorriso e, con gentilezza, aveva sfiorato il suo labbro inferiore col pollice, quasi a voler lavar via il segno che la sua bocca aveva lasciato. Emma aveva avuto la certezza che, in altre circostanza, con un’altra donna, capitan Uncino non si sarebbe fermato ad un contatto sì superficiale, non avrebbe lasciato nessuna via di fuga, nessuno spazio di movimento o di pensiero; con un’altra donna, i suoi movimenti sarebbero stati meno cauti, le sue parole meno calibrate, i suoi tocchi meno furtivi, i suoi occhi meno attenti. Ma lei era Emma Swan e, per una ragione che le appariva ancora sconosciuta, Uncino era un uomo diverso in sua presenza. In sua presenza, Uncino era la parte migliore di sé.
Voltandole le spalle, si era diretto verso le scale e, una volta salite, aveva raggiunto il timone… Sulle labbra, ancora quella canzone.

Spazio dell'autrice:
Innanzitutto, mi scuso per il ritardo, ma la vita universitaria mi toglie più tempo di quanto non voglia ammettere a volte e, spesso, anche le energie, tant'è che l'ispirazione latita. Ma, per fortuna, video, immagini, canzoni e filmini mentali aiutano parecchio a farla tornare. Spero solo non vi deluda.
Ringrazio indistintamente chiunque mi abbia letta e abbia dedicato un po' di attenzione alle mie idee: è un piacere e un onore. Giusto per chiarezza - E rispondo anche a summers001 con la scusa! -, il fatto che vediate l'alternarsi di Uncino e Hook non è un errore: per questioni di pazzia mia, preferisco parlare del nostro bel capitano in termini di Uncino nella parte narrata, mentre in termini di Hook nella parte dialogata. Spero non vi dia troppa noia! ^_^
Ah, e un altro chiarimento: la parte in corsivo è un ricordo dei vari che Emma possiede di Neverland, non è ancora la spiegazione del "conto in sospeso". E' un primo passo, diciamo. ;)
Lilyhachi , sì, ho presente la scena di Shrek e l'adoro. Scrivere questa con Emma come protagonista, è stato semplice: tutte le volte che l'ho vista e ho pensato a lei nella Foresta Incantata, ripensavo alle sue facce strane quando, all'inizio, si è dovuta approcciare al mondo delle favole. Immagino che, andando avanti, ci saranno cose ancora più sconcertanti per lei. Per il resto, ti ringrazio tanto per i complimenti. Sei un tesoro e spero possa piacerti anche il resto! ^_^
Summers001, io AMO le recensioni chilometriche e, in questo caso, le tue sono MERAVIGLIOSE. Mi permetti di capire quali sono i punti di forza della storia e, lo ammetto, quella delle canne di bambù è stata una delle botte d'ispirazione migliori che abbia mai avuto. E' venuto da ridere persino a me nel partorirla!xD
Per il resto, Hook non potrebbe essere meno sexy di quanto già non è e io un Hook che non ammicca e fa battutine a sfondo sessuale non riesco più a concepirlo. L'altro giorno, ho rivisto "Peter Pan" della Disney e ho subito lo shock inverso: quando si parlava dell'apparizione di Hook in OUAT, mi aspettavo un tipo imbranato, divertente e cattivo da morire; riguardando il cartone, mi sono ritrovata ad attendere l'arrivo di uno gnocco in pelle nera con occhi blu da togliere il fiato. Immagina la delusione! :(
Per finire, GRAZIE INFINITE per la recensione e per i complimenti. E' un piacere scrivere di loro e per voi! :)
Olimp0202, ma grrrrrrrrrrrrrrrrrazie! Dopo quello che mi hai detto, l'unico modo per ringraziarti che ho trovato è stato quello di muovermi a buttare giù il capitolo terzo e mi auguro ti sia piaciuto. Anch'io penso che Hook sia uno dei personaggi più riusciti dello show, soprattutto perché è stato sorprendente in tutte le sue dinamiche, tant'è vero che il pubblico si è trovato ad amarlo quasi senza accorgersene... Un po' come Emma! U,U
Grazie ancora per la gentilezza e mi auguro gli esami di maturità siano andati stra-stra-stra bene. :D 
  
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