Prese
fra le mani l’alfiere. Quella scacchiera era un pezzo veramente prezioso, forse
il più bello di tutta la sua collezione. Sia il piano da gioco che le pedine
erano realizzate in pietre dure, di colore arancio e ambrato. Corniola ed
agata, lavorate con grande maestria. Il mercante che
gliel’aveva venduta aveva richiesto una somma
esorbitante; ma lui non si era messo a discutere, aveva semplicemente preso
dalla sua bisaccia un pugno di monete d’oro e aveva pagato. E dopo tutto ne era valsa la pena: quei pezzi erano bellissimi,
intagliati fin nei più piccoli dettagli. A volte si divertiva a stupire i suoi
ospiti proponendo loro di giocare una partita a scacchi con quella scacchiera;
e, d’altra parte, finiva quasi sempre per vincere lui.
Ma
possedeva anche altri tesori, che teneva in bella
mostra sugli ordinati scaffali di quella stanza. Una spilla a
forma di pavone, in argento, con incastonati degli zaffiri piccoli ma perfetti.
Un fermacarte in avorio bianco, che rappresentava una
danzatrice giapponese. Un candelabro in oro rosso
attorno al quale si avvolgeva sinuoso un serpente, lavorato nel medesimo
metallo. Un servizio di bicchieri di finissimo cristallo, che rifrangevano la luce in una miriade di arcobaleni. Una sfera di giada, su cui era intagliato un complicatissimo
disegno floreale. E molti altri ancora.
Impegnato
a collezionare oggetti, non si era mai dato pensiero delle persone che vivevano
attorno a lui. E non aveva mai notato la graziosa signora che dalla finestra di
fronte lo guardava con i suoi benevoli occhi grigi, più belli di qualsiasi perla preziosa.