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Autore: dilpa93    03/07/2013    14 recensioni
“Alcuni dicono che il tempo sana tutte le ferite. Io non sono d’accordo. Le ferite rimangono. Col tempo la mente, per proteggere se stessa, le cicatrizza, e il dolore diminuisce, ma non se ne vanno mai”
Rose Kennedy
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Rick Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
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-Ricominciare da capo-


“Alcuni dicono che il tempo sana tutte le ferite. Io non sono d’accordo.
Le ferite rimangono.
Col tempo la mente, per proteggere se stessa, le cicatrizza, e il dolore diminuisce, ma non se ne vanno mai”

Rose Kennedy

 


Nello studio l’aria era tiepida. Si era accomodata sulla sedia la cui stoffa, ai bordi del sedile, era lievemente consumata.
“Allora Kate, mi dica, come si sente?”
“Bene, s-sto bene.”
“Ne è sicura? Non deve convincere nessuno qui, siamo solo io e lei.” Il viso della donna si era deformato in un piccola smorfia sotto il peso del magone che l’aveva assalita.
“Accusa qualche malore, malesseri improvvisi?” Le aveva chiesto pacato avendola vista sull’orlo di copioso pianto.
“Ecco, a-a volte io... ho nausee forti, lo stomaco mi da seri problemi. Poi... mal di testa persistenti, giramenti, ma forse è solo perché non mangio un granché.” Aveva ammesso imbarazzata; aveva abbassato il volto, lasciando che i capelli glielo coprissero, mentre le mani, tenute in grembo, si torturavano l’un l’altra come sintomo di sconforto e disagio.
“Non va bene, dovrebbe prendersi cura del suo corpo... venga, si sdrai sul lettino, sarà questione di un attimo vedrà.”
Il dottor Reidmann le aveva sollevato di poco la maglietta, lasciando poi che il gel trasparente venisse a contatto col suo ventre.
“Mi scusi, è freddo. Allora, vediamo un po’...”, la sonda si muoveva lentamente sulla pelle di Kate, l’immagine era proiettata nel monitor poco distante.
“Perché un’ecografia?”
“Voglio solo essere sicuro che sia tutto a posto, che non abbia ingerito qualcosa, forse senza rendersene conto, che gli enzimi non siano riusciti a distruggere. Ed escludere calcoli o piccole cisti.”
I respiri del medico e di Kate erano l’unica cosa che si poteva udire, almeno fino a che, a questi, non si sovrappose un battito.
Aveva sollevato di poco il capo osservando sbigottita un punto imprecisato dello schermo.
Non aveva detto nulla; dopo un paio di minuti l’aveva fatta pulire dal gel, suggerendole poi di sedersi nuovamente.
Aveva inforcato gli occhiali scrutando l’immagine, passando poi al pallore sul viso di Kate.
“Vuole un bicchiere d’acqua?”
La testa della detective si era mossa da destra a sinistra in senso di diniego.
“Quello che ha sentito poco fa è-”
“Il battito di un cuore.”
“Si. È incinta di... di circa cinque settimane.”
“No, non può... è sicuro siano cinque, non potrebbero essere si più?”
“Lo scarto con gli esami di oggi è minimo, potrei aver sbagliato di due, massimo tre giorni, ma no... non può essere di più.”
Aveva puntato gli occhi al soffitto, sentendoli già bruciare.
“Vuole far entrare il suo fidanzato?”
“Come?”
“Pensavo che il signor Castle fosse il suo fidanzato.”
“Si, si...”
“Se vuole che entri, potremmo-”
“No! Non voglio che sappia nulla per adesso, gli parlerò io.” Lo aveva interrotto bruscamente, spaventata.
“Come preferisce... sa, esistono delle alternative al-”
“Si, le conosco.”
 
 
La sua stessa voce si fa più debole nella sua testa; il ricordo si rimpicciolisce nei suoi occhi fino a svanire mentre chiude la porta della camera alle sue spalle lasciando solo Castle.
 
Prende un bicchiere d’acqua; la mano le trema, permettendo ad alcune gocce di schizzare sul pavimento indisturbate.
Ha detto a Rick che deve prendere una decisione, che deve pensare, ma dentro di sé sa di aver già deciso.
Riprende a preparare la cena, cena che trascorrono in silenzio, preoccupati che qualsiasi cosa dicano potrebbe far crollare la stabilità dell’altro, consapevoli entrambi di avere i nervi a fior di pelle.
 
 
La sera seguente Richard si rade, mette il dopobarba, sistema alla meglio i capelli sbarazzini davanti allo specchio. Dall’armadio tira fuori il suo completo migliore; chiude la cintura in cuoio stringendola di un paio di tacche, anche lui ha perso peso.
Lucida le scarpe nere, allaccia le stringhe con attenzione usando il tipico nodo ad orecchie di coniglio.
“Allora, io tra poco esco. Passo a prendere Alexis e la porto fuori a cena. Poi pensavo di fare una passeggiata per il parco, dovrebbero esserci le giostre, credo che sarebbe carino portarcela e prenderle lo zucchero filato come quando era piccola. Tu sei proprio sicura di non voler venire?”
“Si. Ho bisogno di stare un po’ da sola. Con questo... con questo non voglio dire che non ti voglio qui, è solo che-”
“Ehi”, bisbiglia carezzandole il viso, “ho capito.”
Lei poggia la mano sulla sua accompagnandolo in quella carezza.
“Quando abbiamo finito la riaccompagno al campus, vedrò di non fare tardi.”
“Non preoccupatevi per me, e divertitevi.” Lo guarda camminare lungo il corridoio, elegante, felice. “Ehi Castle...”
Preme il pulsante di chiamata dell’ascensore e torna da lei, ora appoggiata allo stipite della porta per assicurarsi di poterlo vedere fino all’ultimo.
“Ho dimenticato qualcosa?”
“Questo.” Si sporge verso di lui; il suo respiro si infrange sulla bocca dello scrittore e, a seguito di un solo istante di esitazione, colma la distanza poggiando le labbra sulle sue.
 
Dopo aver scoperto di essere incinta, l’idea di aspettare un bambino che non fosse di Castle, un bambino che fosse di un uomo riprovevole, che aveva approfittato di lei senza rispetto e ritegno, l’aveva totalmente abbattuta.
Aveva custodito quel segreto per sette lunghissimi e pesantissimi giorni, pensando, rimuginando, e quasi si era sentita sollevata quando lui aveva scoperto tutto, anche se avrebbe preferito ritrovare il coraggio ed essere lei a dirglielo.
Aveva visto quel poco di ottimismo nei suoi occhi svanire, prosciugarsi come una pozza d’acqua sotto il sole, e ora, pur non capendo il reale motivo che la spingesse a questo, sentiva lo strano e divorante bisogno di rassicurarlo.
 
“Kate, sei sicura?” Chiede allontanandola da sé con dolcezza.
“Sono cambiata, sono diventata fredda e scontrosa, e mi dispiace così tanto, ma quello che provo per te non è cambiato, devi solo darmi un po’ di tempo. Risolverò tutto, è una promessa.”
“No Kate, lo risolveremo, insieme.”
Un altro bacio suggella quelle ultime parole, prima che lui sia costretto ad andare. Comincia a farsi tardi.
 
Sola in casa sente improvvisamente il silenzio a cui Rick è stato costretto nelle ultime settimane. Entra di soppiatto nello studio. Non ci è mai andata da quando si è ‘trasferita’ lì.
Sulla scrivania le carte sono in disordine, il cestino è pieno di fogli accartocciati; gli sembra quasi di vederlo, seduto sulla sedia girevole in pelle, gettarli via con rabbia. Il cassetto più basso è aperto, dentro la bottiglia di whisky è fiancheggiata da un solo bicchiere.
La prende per il collo poggiandola sul tavolo; la osserva attentamente, il sigillo è ancora intatto, e ringrazia Dio che lui non si sia abbandonato a quella trappola.
La mette via ed esce dalla stanza.
Si avvicina al tavolino in vetro tra il divano e la poltrona; le decorazioni sono fini e pregiate. La sola gamba su cui poggia si divide in tre alla base. Quando il sole ne attraversa la superficie proietta giochi di luce sul soffice tappeto sottostante.
Prende il cordless digitando quel numero che oramai, dopo anni, conosce a memoria. Tra gli squilli assordanti spera davvero che risponda, ha bisogno di qualcuno in quel momento, qualcuno da cui avere risposte, da cui essere rassicurata sulla sua scelta, qualcuno di competente.
“Sono io... si, ecco ho-ho davvero bisogno di vederti. Ti andrebbe? Non me la sento di uscire.” Gli occhi si muovono veloci mentre fa avanti e indietro davanti alla finestra. Scosta la tenda guardando lungo il marciapiede la fiumana di gente accalcarsi davanti le strisce pedonali, o alle vetrine dei principali negozi. “Ti aspetto qui, e... grazie.”
Passeggiando per il salone si trova davanti allo specchio appeso alla parete vicino all’ingresso; sono passati due mesi e dei lividi è rimasto solo un debole alone, o forse è solo la sua testa che immagina ancora quei segni, ormai parte di sé, scolpiti nella sua mente e nella sua anima. Il viso è scarno e pallido, la maglietta grigia a mezze maniche con in blu lo stemma del distretto lascia scoperte le braccia ossute. Stenta a riconoscersi; si volta, aspettandosi quasi di trovare qualcuno dietro di sé, perché quella nello specchio non può essere lei, ed invece quello è proprio il suo riflesso.
 
 
Pochi minuti dopo suonano alla porta. Si avvicina cauta guardando dallo spioncino il viso dell’amica che ne risulta deformato.
“Kate, sono Lanie.”
Gira il pomello; porta la mano sul catenaccio lasciando che sfreghi sulla superficie della porta.
“Ciao Lanie, grazie per essere venuta.”
Si accomodano sul divano restando a guardarsi per minuti che paiono interminabili.
“Non ti ho neanche offerto da bere... vuoi qualcosa?”
“No, ti ringrazio. Dov’è il tuo writer boy?”
“Fuori, con Alexis. Credo che a quest’ora stiano mangiando il dolce. Poi la porterà alle giostre.”
“Il solito giocherellone insomma.”
“Già...”
 
 
 
“Papà che ci facciamo qui?” Si porta i capelli ramati dietro l’orecchio per riuscire ad avere una visuale migliore.
“La mia principessa si merita un giro a cavallo.”
“Sono un po’ grande, non credi?”
“Non si è mai abbastanza grandi per le giostre.”
Prende due biglietti; l’anziana signora della biglietteria lo guarda sorpresa attraverso il vetro spesso delle lenti degli occhiali. Lo osserva mentre aiuta la figlia a salire sul cavallo bianco dalla criniera corvina, e poi, impacciato, salire su quello accanto al suo.
Le risate di entrambi, anche se deboli, giungono alle sue orecchie insieme alla melodia della giostra. Non ha mai visto un rapporto così.
Scendono dopo un paio di giri, passando vicini alla bancarella dello zucchero filato.
“Sei troppo grande anche per questo?”
“Nah... per questo no.”
Passeggiano tra gli alberi, lungo il sentiero, mangiando spensierati il grande filone.
Alexis giocherella con un pezzo del batuffolo bianco, rigirandoselo tra le dita prima di portarlo alla bocca.
“Come va a casa papà? Hai evitato l’argomento tutta la sera.”
“Non ho evita-” lo sguardo truce della figlia lo fa correggere subito, “e va bene, ho evitato l’argomento. Sono solo stanco di parlare sempre di questo.”
“Mi dispiace, hai ragione. È solo che... noi ci siamo sempre detti tutto, è strano, tutto qui.”
“Kate è incinta” sputa fuori di un fiato, e parte di quel peso che lo attanagliava lo lascia, permettendogli di nuovo di respirare a fondo, come fosse appena riemerso da acque torbide e profonde.
Lo guarda negli occhi, e si rende conto che non serve aggiungere altro. Incastra il suo braccio in quello del padre, appoggiando poi la testa sulla sua spalla. “Godiamoci la serata.”
Il cielo è terso, l’aria è dolce, e lo zucchero filato lo è ancor di più.
 
 
 
“Sono contenta che tu mi abbia chiamato. Mi sei mancata.”
“Anche tu”, le sorride amabilmente poco prima di proseguire. “Ma vedi... non fraintendere, sono felice di averti qui, ma ti ho voluto vedere per le tue conoscenze in ambito medico, sai, per il bambino.”
“Quale bambino Kate?”
“Io credevo, credevo che Rick vi avesse informati, ero convinta che...”
“Sei incinta?” Domanda sorpresa, sgranando gli occhi davanti alla risposta affermativa della detective.
“La risposta alla tua prossima domanda è no, non è di Rick.”
“Oh Kate...” le prende la mano, stringendola tra le sue. Vorrebbe confortarla, ma non trova nessuna parola adatta.
“Ho deciso d-di abortire.”
“Abortire, ne sei sicura? È una scelta da cui non si torna indietro.”
“Ci ho pensato. Non sopporterei di vedere questo bambino crescere e somigliare al mio aggressore, non sopporterei di non notare neanche una minima somiglianza con Castle.”
“L’adozione, ci hai pensato?”
“Si.”
“E l’hai esclusa... Perché?”
“Una volta messo al mondo non riuscirei a separarmene, e anche se per Rick sarebbe dura, accetterebbe di buon grado di prendersene cura, di crescerlo come fosse suo. Forse sarebbe proprio lui a convincermi a tenerlo. L’aborto è la scelta migliore... d’accordo, è la scelta migliore per me, e non p-per lui, ma ti prego di non cercare di dissuadermi. Sono decisa, vorrei solo che tu mi spiegassi come funziona.”
“Sono un patologa, forse ti converrebbe parlarne con la tua ginecologa.”
“No, voglio che sia tu ad informarmi su tutto.”
La vede distogliere lo sguardo perdendosi sull’arredamento, sulle foto incorniciate appese alla parete o poste sulle mensole.
“Ti prego.”
“D’accordo”, sospira, “da dove vuoi che cominci?”
“Dall’inizio.”
“Bene... nel tuo caso si tratta di aborto embrionale, viene effettuato quello che è chiamato svuotamento. Il tutto avviene in anestesia locale, in pratica loro... loro aspirano l’embrione dall’utero. Entro le prime otto settimane questo processo viene chiamato isterosuzione. Inseriscono una canula all’interno dell’utero. È un metodo poco invasivo, non richiede dilatazione e l’intervento dovrebbe durare all’incirca cinque minuti o poco più. Un’alternativa può essere l’aborto farmacologico. Ecco si, si tratta di due pillole che inducono una l’aborto e l’altra l’espulsione. Non sempre è previsto il ricovero, in alcuni casi è a discrezione dell’ospedale. La scelta sta a te, ma io ti consiglierei di parlarne con il tuo medico curante.”
“Quali sono i rischi?”
“Non sono informata circa gli effetti collaterali dovuti all’assunzione delle pillole. La maggior parte dei danni riguardano la sfera psicologica. La depressione è... l’effetto peggiore.”
“La depressione?”
“Si, ma non è detto che tu vi cada.”
“Però c’è questa eventualità.”
“Da quello che mi hai detto prima, nel tuo caso, c’è rischio di una caduta in depressione anche portando avanti la gravidanza. A questo punto non so dirti quale soluzione potrebbe essere a minor rischio.”
“È un cinquanta e cinquanta.”
La dottoressa annuisce “sei sempre decisa, vero?”
“Devo farlo Lanie. Non dirò ‘non ho scelta’, perché ce l’ho, e ho scelto, ma in un certo senso è l’unica cosa che posso fare.”
“Ti appoggerò Kate, e sono convinta che anche Castle ti starà accanto.”
“Già, lo credo anche io. Penso che lui già sappia quale sarà la mia decisione.”
“È un uomo fantastico.”
“Lo è davvero... avrei bisogno di un ultimo favore.”
“Quello che vuoi dolcezza.”
 
 
Inizia ad odiare le sale d’attesa. Kate è voluta entrare da sola, voleva avere il suo sostegno una volta uscita da lì.
Ma oggi è diverso, Lanie è accanto a lui, come promesso all’amica un paio di giorni prima. Desiderava che Rick non stesse ancora un volta da solo insieme alle preoccupazioni che lo avrebbero assalito non potendo stare dentro con lei, e sapeva che Lanie sarebbe risuscita a tranquillizzarlo.
“Castle non le accadrà niente. È un’operazione molto facile e veloce.”
“E se, a lungo andare, cadesse in depressione... mi ha detto che è una possibilità.”
“Si, lo è, come è una possibilità il fatto che ci colpisca un meteorite in questo esatto momento. Tutto può succedere. Andiamo, ormai dovresti saperlo. Sai, non ho mai conosciuto una ragazza tanto forte come Kate, e non ho mai, e dico mai incontrato nessuno amarla nello stesso modo in cui la ami tu.
L’ho vista cambiare molto in questi anni, l’ho vista agire di impulso, da testarda qual è, e non si è comportata sempre bene nei tuoi confronti. Ma anche nei momenti più difficili tu sei rimasto. L’hai guardata affondare e l’hai sempre aiutata a risalire, non dovresti preoccuparti della depressione. Ha noi, ha te, andrà tutto bene. E sono certa che, adesso, si rimetterà prima che tu posa chiederle ‘come stai?’”
“Dottoressa Parrish, da quando è diventata così saggia?”
“Non mi sottovalutare scrittore, lo sono sempre stata.”
“Vi disturbo per caso, dovrei preoccuparmi?” La voce della detective, dall’accento inconfondibile, fa capolino accanto a loro.
“Affatto dolcezza, è tutto tuo...”
“Va tutto bene?” La guarda dritta negli occhi, e per la prima volta da mesi gli sembra di vederli quasi sorridere dietro quel leggero velo di lacrime.
 
La decisione di abortire era stata ben ponderata, ma anche in quel caso l’emotività della perdita l’aveva colpita dentro lo studio. Le lacrime erano scese silenziose, e svanite quando aveva aperto quella porta.
 
“Si, credo di si. Grazie Lanie per essere rimasta.”
“Di nulla, mi serviva una pausa dal mio amato obitorio, ma ora devo rientrare, il mio regno mi reclama.”
“Salutaci i ragazzi e... ti chiamo, magari per un caffè.”
“Ci conto honey.”
“Noi cosa facciamo, andiamo a casa?”
“Non è che potresti lasciarmi in un posto prima?”
 
 
Arrivano con la macchina; lui gira la chiave rilassandosi contro il sedile. Kate alza lo sguardo squadrando il palazzo dubbiosa.
“Mi aspetti qui?” Gli domanda sfiorandogli la tempia con l’indice scostandogli un ciuffo di capelli.
“Vai tranquilla, hai tutto il tempo che vuoi. Io non vado da nessuna parte.”
Scende sfiorando con le ballerine il marciapiede, la suola sfrega con il cemento delle scale d’ingresso. Bussa alla porta un paio di volte, aspettando con le mani nelle tasche.
“Katie... sei qui da sola?” Chiede allarmato osservando ogni centimetro della figura di sua figlia.
“No, Rick è giù in macchina. Posso entrare?”
“Ma certo, vieni e accomodati. Vuoi un succo, un caffè, magari qualcosa da mangiare?”
“Grazie papà, ma sono a posto così.”
“Ti trovo...” le parole gli muoiono in gola nel tentativo di confezionare una bugia plausibile.
“Lo so, non sembro io, non mentire. Ma sono intenzionata a rimettermi il prima possibile e sono qui anche per questo. Volevo dirti che mi dispiace di averti tenuto a distanza, di non averti chiamato, di non aver avuto il tempo di ascoltare i tuoi consigli. Di averti fatto credere di non aver bisogno di te.”
L’uomo accenna un sorriso, perdendosi poi in un ricordo lontano mentre tiene la mano della figlia tra le sue.
“Fin da piccola hai mostrato il carattere di tua madre. Forte, caparbia, indipendente, anche nei momenti difficili. Non ero preoccupato, o dispiaciuto, sapevo che ne saresti uscita. Quello che mi preoccupava di più era che allontanassi Richard da te, ma a quanto pare non è successo.”
“Non eri preoccupato?”
“Quando avevi quattro anni, ti stavo insegnando ad andare in bici, avevi insistito tanto per imparare ad andare senza rotelle. Ti ho lasciato, per un secondo. Non eri pronta e sei caduta. Il tuo ginocchio ha cominciato a sanguinare, eppure sei rimontata in sella e sei ripartita con più determinazione e tenacia di prima. So bene che quello che ti è successo non è come cadere dalla bicicletta, ma... no, non ero preoccupato, perché ti conosco.
Lui è stato i miei occhi e le mie orecchie. Mi ha tenuto informato, mi ha rassicurato... è un ragazzo fantastico.”
“Non sei il primo a dirmelo, ma è bello sentirtelo dire. Ora mi conviene andare, sono passata solo per un saluto. Fuori fa caldo, non vorrei che il ragazzo fantastico cuocesse.” Lo abbraccia, come aveva immaginato di fare; si sente al sicuro tra le braccia di suo padre, come le accadeva quando era bambina.
“Grazie”, gli bisbiglia all’orecchio, “di tutto.”
 
 
Di rientro al loft si lasciano andare entrambi sul divano. Kate si sdraia poggiando la testa sulle gambe del suo uomo.
Non sente alcun rumore, nessuna voce proveniente da fuori, un silenzio innaturale per la città, come se tutti sapessero quello che ha appena fatto.
Lui la carezza distrattamente, dai capelli scendendo fino al braccio, mentre ascolta gli ultimi comunicati passati al notiziario dalla tv appena accesa.
D’improvviso la sente alzarsi ed accovacciarsi al suo fianco, prendere il telecomando incastrato tra il suo corpo e il bracciolo e spegnere la televisione.
Restando in quella posizione, accanto a lui sul divano, lo vede guardarla perplesso.
 
“So che è stato difficile anche per te”, esordisce all’improvviso. La luce del tramonto entra nell’appartamento carezzandole i lineamenti.
“Che probabilmente alcuni giorni avresti voluto gettare la spugna, che forse ti sei domandato perché tra tutte le donne al mondo sei dovuto andare ad incasinarti la vita con quella più complicata e frustrante.”
“Kate-”
“No, lasciami finire. So anche che non sarà semplice. Che ogni volta che sentiremo una notizia al telegiornale, che per strada incroceremo una donna incinta, o quando decideremo di mettere su una famiglia nostra, non potremo evitare di pensare a questa storia, e che quando tornerò al lavoro e troveremo casi somiglianti al mio, sentiremo l’impulso di scappare e di allontanarci. Ma ora... ora ho bisogno di certezze, di stabilità. Ho bisogno di sapere che tu ci sarai in ogni momento, come hai sempre fatto in questi anni e soprattutto in questi mesi.
Ricordo che Nicole Sobon disse ‘A volte la cosa più difficile non è dimenticare, ma imparare a ricominciare da capo’”.
Perciò Rick non ti chiedo di dimenticare, ma di ricominciare da capo, con me...” inspira, sussurrando poi decisa con un sorriso raggiante e autentico dipinto sulle labbra rosee “sposami.”
 
Sorprende anche se stessa quella domanda, o forse è solo un’affermazione, una richiesta di aiuto e di amore, ma per quanto serena e sicura di averglielo proposto, non può fare a meno di domandarsi da dove quella parola sia uscita, di come l’idea del matrimonio si sia insinuata in lei. E, tra il rumore dei suoi pensieri, è certa di riuscire a sentire la debole risposta dell’uomo
 
“si”.
 
 
 
 
 
Diletta’s coroner:
 
E anche questa è giunta alla fine!
Non so bene come definirlo... un lieto fine? Non completamente. A voi il giudizio!
Ci tengo a dire che la scelta di far abortire Kate era necessaria ai fini della fan fiction, non ha nulla a che vedere con la mia personale opinione riguardo all’aborto.
Grazie a chiunque abbia seguito questa breve ff!
Buona serata
  
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