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Autore: Il Rilegatore    05/07/2013    1 recensioni
- Drake scese dallo scuolabus sistemandosi la giacca e notò subito la figura di Nick che si avvicinava al marciapiede guardando in basso. Indossò il falso viso arrabbiato e giudicatore e si incamminò deciso verso il migliore amico, con i soliti passi lenti e decisi, mentre l’altro sembrava attendere con impazienza l’ora del giudizio. Non appena si trovarono abbastanza vicini Drake aprì la bocca per iniziare a sparare qualche parolaccia all’amico ritardatario, ma subito lo investì un odore, uno strano aroma che lo mandò per pochi attimi in visibilio e gli fece dimenticare che in quel momento doveva strigliare Nick. “E’ strano, ha sempre questo odore quando perde lo scuolabus e me lo ritrovo a scuola.” -
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo IV Eccomi risorto, vivo e vegeto! Mi scuso per tutti questi mesi di ritardo ma non ho davvero avuto tempo di scrivere!

Vi auguro una buona lettura cari ragazzi! ;)

Il vostro (ritardatario) Rilegatore

CAPITOLO IV

 

27 settembre 2011, 17.35

Incrocio tra Riva Road e Harry S. Truman Parkway, Annapolis, Maryland

 

Le luci del tramonto donavano alla città un’atmosfera surreale. Come un fuoco divampato improvvisamente dall’entroterra, un velo color pesca ricopriva i tetti di Annapolis e colorava l’aria.
Drake non aveva ancora parlato, non ne aveva avuto né il tempo, né tantomeno il bisogno: Nick aveva afferrato chiaramente ogni possibile sfumatura del suo volto, ed aveva deciso di iniziare a spiegare prima di essere riempito di domande.
«Drake, cazzo, scusa! Non volevo darti buca, sul serio, ma non sapevo cosa fare. Avevo il cellulare scarico, non c'era nessuno in giro, poi la madre di Alice non sarebbe arrivata prima di qualche ora, l'ho accompagnata a casa e...» si fermò quando sentì un respiro mozzato di Drake, e vide i suoi occhi immobilizzarsi, il sopracciglio destro alzarsi e la bocca semi chiudersi. Era un'orribile ibrido tra rabbia ed incredulità.
“Ora mi uccide, sono imperdonabile! Che stupido, come ho fatto a dargli buca così spudoratamente?! Sarei potuto andare ad avvisarlo alle gradinate, tanto ad Alice cosa cambiava cinque minuti in più o in meno?”
Intanto Drake era fermo, immobile. Lo guardava negli occhi, con la stessa espressione, quasi come pietrificato. Era bastato sentire il nome di quella ragazza dalle labbra di Nick per mandarlo in uno stato di trance, in cui tutti i pensieri si erano di colpo mischiati creando una confusione totale nella sua testa e fermando ogni suono che la sua bocca potesse emettere.
Nick rimase basito davanti al silenzio di Drake. Si aspettava di tutto, tranne che questo. Stava per chiedergli le ennesime scuse, sperando di sentirsi dire qualcosa, qualunque cosa. Anche un “Sei un bastardo!” sarebbe stato consolante in quel momento.
Invece, Drake rimase in silenzio. Iniziò a tremare, voleva urlare tutto ciò che si sentiva dentro, ma l'unica cosa che riuscì a fare fu girarsi ed iniziare a camminare, mentre le migliaia di domande continuavano imperterrite ad occupare la sua testa. Era stato un gesto totalmente involontario, si accorse di essersi mosso solamente quando Nick, che lo aveva seguito chiedendogli ripetutamente spiegazioni, lo prese per l'avambraccio per fermarlo. Allora la sua mente si resettò all'istante e lui si voltò verso l'amico, urlando: «No!».

Era chiaro, secco, deciso. A Nick sembrò che il tempo si fosse fermato.
Per un istante il rumore del traffico si quietò, e così poté percepire ogni piccolo particolare di Drake: vide il tremolio delle sue dita, il suo petto che si alzava ed abbassava al ritmo del respiro, sentì il suo cuore che batteva con una velocità spaventosa. E vide i suoi occhi, intrisi di lacrime come non li aveva mai visti, lacrime che però non cadevano. Stavano li, sull'iride verdognola di Drake, come appese alle palpebre in attesa del più semplice movimento che avrebbe dato vita ad un pianto ininterrotto. Ma non si muovevano.

Nick allentò la presa, e con uno strattone Drake si liberò. Si voltò di nuovo, e prese la via di casa. Nick lo guardò fino a che non girò l’angolo, con l’impulso di rincorrerlo bloccato dai suoi muscoli saldi a terra, ancora immobilizzati, come stupiti dalla reazione di Drake.

 

Drake entrò in casa senza togliere gli auricolari dalle orecchie e salì di corsa in camera. Lasciò la tracolla sulla scrivania, si cambiò di fretta e riscese. Non ascoltò qualsiasi cosa la madre, in cucina e alle prese con la cena, gli stesse dicendo: tirò dritto e la ignorò. Non era il momento.

 

Jennifer Coleman era una donna tutta particolare, quartogenita, aveva vissuto fino a vent’anni in casa con i genitori, le tre sorelle maggiori ed il fratellino. Da poco cinquantenne, era bella come quando era la giovane donna che aveva conosciuto Roger Coleman. Gli era scivolata addosso sul pullman, per caso. I libri di scuola arano caduti e i due si erano guardati negli occhi. Come per magia, come succede nei più romantici film hollywoodiani, i due si erano conosciuti con uno scontro, e Roger non aveva non potuto notare la simpatia trasportata da quegli occhi nocciola che chiedevano scusa un po' divertiti e imbarazzati. Di certo non  si sarebbe mai immaginato di trovare gli stessi occhi qualche anno dopo davanti ai suoi, su un altare, a pronunciare il fatidico"Sì". Era stato un matrimonio giovane: Roger aveva 24 anni, Jennifer ancora 20, ma dopo trent’anni di matrimonio si amavano ancora come la prima volta. Era una di quelle coppie in cui ci si completa l’un l’altro: al Roger forte, a volte severo, ogni tanto cinico si opponeva la Jennifer buona, volenterosa e semplice.

Di Drake si potevano supporre tante cose, ma che fosse figlio dei suoi genitori era una verità certa e tangibile: aveva il carattere buono della madre, mentre fisicamente era tutto suo padre. La conformazione del viso, la bocca, il collo, ma soprattutto i capelli castano chiaro, che avevano la stessa consistenza morbida e gonfia di Roger, e crescevano con la stessa velocità, formando in poche settimane una chioma folta e tendente all’informe. Naturalmente Drake tentava di nascondere la piega imbarazzante con strati e strati di gel che gli fissavano ogni singolo capello in modo da formare una capigliatura che si potesse definire decente. La madre continuava a ripetergli che l’uso di gel o varie paste per capelli nel tempo può provocare calvizie, ma Drake era certo che avrebbe preferito rimanere calvo per i tre quarti della sua vita piuttosto che uscire di casa un solo giorno senza gel, con un’acconciatura che ricordava tanto il fungo di Super Mario. Se i capelli tanto odiati erano arrivati dai geni paterni, la madre gli aveva passato oltre alle tante doti caratteriali il suo non saper mai dire di no, quel buonismo a volte un po’ esagerato che la contraddistingueva, e che a volte la metteva anche in situazioni spiacevoli. Drake aveva tentato di reprimere questo comportamento un po’ autodistruttivo, anche su consiglio di Nick (più che consiglio, era stato un vero e proprio ordine), ma dentro di sé sentiva sempre questo bisogno di farsi strumento per gli altri, quando ce n’era bisogno. Aveva sempre un sacco di cose a cui pensare, problemi da risolvere, eventi da realizzare per questo motivo, ma a lui piaceva così, la sua vita. Frenetica e piena, proprio come quella della madre, che in famiglia era forse quella che lo capiva di più. Tendeva allo sfinimento con la sua apprensione, ma quando vedeva che la situazione era davvero seria, sapeva che doveva lasciare sbollire il figlio. Come quando lo vide passare dalla cucina per andare a far jogging, salutandola con un frettoloso “ciao ma!”. Era chiaro che qualcosa turbasse suo figlio, ma non era il momento di chiedere.

Forse, al ritorno, avrebbe iniziato a fargli domande a raffica ma ora, poteva e doveva preoccuparsi solo della zuppa di pesce da servire per cena.

 

 

Susan B. Campbell Park, Annapolis, Maryland

 

Drake smise di correre. Iniziò a passeggiare sul ciglio della piazza, noncurante del buio che aveva già coperto Annapolis. Si fermò, appoggiandosi ai grandi pilastri che emergevano dall’acqua, guardò il mare. Ribolliva di rabbia, si sentiva deluso, e allo stesso tempo voleva capire. Ma no, non sarebbe ritornato, non finché non avrebbe ricevuto delle spiegazioni ragionevoli. Si sentiva tradito. Insomma, gli aveva dato buca, cazzo. Per una troietta. Qualche ragione per essere incazzato ce l’aveva… alla fin fine.

La luna splendeva in cielo, illuminando i battelli attraccati al porto. La luna… Gli ricordava sempre Nick. E quella sua frase…

Due gabbiani planarono sull’acqua bluastra, alternandosi in un armonico valzer, concludendo con un casquet nelle acque torpide della baia. Drake sorrise, gustandosi la semplicità della natura, e riprese a camminare.

“Forse ho esagerato… In fondo non posso pretendere che passi il suo tempo solo con me. Beh, certo, rimane il fatto che mi ha dato buca. Mi ha tirato il bidone. Senza avvertirmi. Vaffanculo Nick!”

Un caldo vento notturno si alzò e colpi in pieno il viso del ragazzo, scompigliandogli i capelli; un profondo senso di libertà lo invase, un lungo e piacevole brivido gli percorse la schiena. Si sentì leggero. Continuò a camminare accompagnato dalla brezza, ed arrivò sotto casa. Si tolse gli auricolari e li arrotolò sulle dita, salì sulla veranda e si tolse le scarpe. Si sedette sul dondolo in legno che occupava la loggia.

Pensò. In silenzio.

Una parte di lui voleva picchiare Nick a morte, c’era un’altra parte, però, che lo voleva e basta, voleva perdonarlo, dirgli che andava tutto bene, stringerlo tra le braccia e spiegargli che semplicemente, beh, lo amava ed era geloso da morire.

Ma non poteva e non voleva, non in quel momento.

“Questa volta tocca a lui tornare.”

Drake si alzò godendosi l’ultimo vento notturno di Annapolis.

Raccolse le scarpe e rientrò in casa.

 

 

Cape Henlopen, Lewes, Delaware

 

Nick si sentiva semplicemente un idiota. Non sapeva cosa pensare, non sapeva cosa fare. Era solo in una situazione di merda! Nata da un’enorme cazzata, per altro. Drake probabilmente lo stava odiando in quel momento, e non aveva nemmeno tutti i torti. Doveva sentirsi umiliato, deluso.

Non aveva detto nulla, non aveva fiatato. Era questo che l’aveva colpito: Drake aveva sempre qualcosa da dire, sempre. E quella volta era rimasto senza parole.

Nick fissava l’oceano pensieroso, si concentrava sulla sottile linea d’orizzonte che divideva quasi impercettibilmente il cielo dal mare. La sabbia della lunga spiaggia sulla costa orientale del Delaware gli scorreva tra le dita. La luna si rifletteva nelle onde, creando flutti color perla, sfavillanti nello scuro Atlantico. La luna… la guardò, sorridendo tristemente.

Si ricordava di quella notte come fosse il giorno prima. Ricordava Drake, ricordava quella frase.

Jeanette, la madre di Nick, era rimasta ferita in una sparatoria nella banca in cui lavorava. Era un martedì, Nick era corso in ospedale con suo padre. La madre era in rianimazione, aveva perso molto sangue, i dottori erano scettici riguardo la sua sopravvivenza. Sarebbe bastato un semplice virus parassitario per aggravare la situazione, sarebbe potuta anche morire. Il medico aveva tenuto la voce più bassa possibile, ma per Nick era stato fisicamente impossibile non sentire. Arthur, il padre di Nick, gli ordinò di andare a casa e aspettare notizie li. Drake lo stava aspettando fuori dall’uscio di casa.

Non disse nulla, bastò un abbraccio. Quel tipo di abbraccio che dice tutto ciò che serviva.

Fu una lunga serata, parlarono tanto, Drake tentò di non piangere per una volta, doveva essere forte per Nick. Pensò di odiare i suoi genitori quando gli imposero di tornare a casa. Salutò Nick, lo abbracciò di nuovo, dicendogli le ultime parole che sperava fossero di conforto.

Poi, guardando la luna, prese dolcemente le mani di Nick.

«Quando avrai bisogno di me e io non potrò esserci, Nick, guarda la luna, e pensami. In quel momento starò guardando la stessa luna, e ti starò pensando. E saremo vicini.»

Nick rimase fisso sugli occhi di Drake. Non gli importava se poteva sembrare una frase fatta. Non gli importava se Drake per dire questa frase avrebbe dovuto pagare i diritti d’autore ad almeno cinque film. Non gli importava se agli occhi della logica questa frase poteva sembrare insensata. L’aveva riempito, e gli bastò questo per sciogliersi in un lungo e caloroso abbraccio.

Quella frase, gli veniva in mente spesso. Era stata una bomba, gli aveva dato la forza per andare avanti, quella volta come tante altre. Jeanette aveva superato il trauma felicemente e Nick era riuscito ad avere la forza di stare vicino alla madre e di aiutarla anche durante la riabilitazione. Drake era stato molto presente, con la sua voglia di aiutare gli altri. Sapeva sempre cosa dire, quel ragazzo, le parole giuste al momento giusto. Non c’era stato un momento nella loro vita amicale in cui Drake non si fosse accorto di quando Nick stesse male, fosse pensieroso, si sentisse a disagio. In effetti, Drake lo conosceva ormai meglio di chiunque altro. E la cosa gli faceva piacere, lo faceva sentire sicuro, coccolato.

«È come la mia... anima gemella.»

Nick fermò le dita che stavano disegnando libere nella sabbia. Strinse gli occhi, come per dimenticare quello che aveva appena detto, come per tornare nel Nick razionale e calcolatore.

“Cosa vado a pensare?! Perché l’avrò detto ad alta voce poi...”

Si alzò, preparandosi per il ritorno a casa.

“Lasciamolo sbollire per un po’... Aspetterò qualche giorno per fargli passare l’incazzatura... Speriamo sia la cosa giusta, per una volta!”

 

 

1 ottobre 2011, 23.42

Duke of Gloucester Street, 189 - Casa Coleman, Annapolis, Maryland

 

Drake aveva passato il suo sabato sera chiuso in casa, guardando uno stupidissimo film strappalacrime che aveva trovato per caso tra le videocassette della madre. La famiglia era partita per il week-end, lasciandogli casa libera per due giorni. Ma Drake non aveva voglia di vedere gente, voleva solo stare da solo. Erano passati quattro giorni dalla discussione con Nick, e quel bastardo non aveva scritto, chiamato, detto nulla. Quattro giorni di totale disinteresse. O così pareva a Drake. Non aveva preso il bus, a scuola le poche volte che si erano incontrati nei corridoi Nick aveva evitato lo sguardo di Drake ed era passato oltre. Drake non avrebbe resistito ancora tanto, non era bravo a mantenere l’incazzatura con i conoscenti, figuriamoci con il suo migliore amico. Di cui, per altro, era innamorato.

Ma Nick non dava segni di cedimento.

“Forse dovrei alzare bandiera bianca... Sarò stato troppo eccessivo? E poi, come si dice, a volte l’orgoglio passa in secondo piano nei rapporti... Uno dei due dovrà pur tornare, e se non è lui devo essere io.”

Drake sorseggiò l’ultimo goccio di cola che aveva ordinato con la pizza a domicilio. Lasciò cadere il bicchiere di cartone per terra, tra le patatine e le carte di snack al cioccolato. Non aveva voglia di cucinare, e in nemmeno mezza giornata era riuscito a far diventare il suo salotto una discarica.

Si alzò dal divano ed andò in cucina, dalla quale uscì con un barattolo di gelato alla crema.

“Lunedì andrò a parlare con quel coglione. Certo, se il colesterolo non mi uccide prima...”

Stava per lasciarsi andare di nuovo sul divano quando suonò il campanello. Drake si bloccò, e controllò l’ora.

“Mezzanotte meno un quarto.. chi cavolo può essere a quest’ora?”

Appoggiò il barattolo di gelato sul mobiletto della TV e si avvicinò alla porta d’ingresso con l’attizzatoio del caminetto ben saldo in mano.

«Chi è?»

Dopo pochi secondi, una voce familiare urlò: «Signora Jennifer, buonasera, scusi l’ora! Sono Nick, sa per caso se suo figlio mi ha perdonato?»

Drake aprì la porta orripilato, sperando vivamente che chi avesse appena parlato fosse un ladro armato piuttosto che la persona che lui pensava. La visione che gli si prospettò, purtroppo, fu proprio ciò che temeva, e se possibile anche peggio.

Nick era in piedi davanti all’uscio, completamente fradicio, con i vestiti strappati e macchie di sangue su tutto il corpo. L’occhio destro era coperto da una botta, quello sinistro era semichiuso. Lo sguardo perso nel vuoto, assieme al nauseabondo odore di alcol misto a sudore non facevano che pensare ad una cosa: ubriaco marcio.

Nick accennò ad una smorfia sorridente: «Signora Jennifer?»

Drake  fece cadere l’attizzatoio per terra, allibito. Era la prima volta che vedeva Nick ubriaco.

Lo prese sopra le spalle: «Vieni dentro, cretino. E abbassa la voce!»

Alla risposta «Perché, sto urlando?» Drake lasciò cadere il corpo semi cosciente dell’amico sul divano. Andò a prendere un secchio in caso di rigetto improvviso e iniziò a controllare le ferite di Nick.

«Si può sapere cosa cavolo hai fatto?! Tu, poi, che non hai mai toccato alcol! E cosa ti salta in mente di venire da me a mezzanotte in questo stato?!»

Nick lo guardò spaesato, e rispose perplesso: «Sa, signora Jennifer, devo dirglielo, lei e suo figlio siete due gocce d’acqua!»

Drake roteò gli occhi infastidito e si alzò, colpito dall’alito del migliore amico: alcol e succo di pera. Assieme al sudore diventava semplicemente disgustoso.

«Per fortuna che non ci sono i miei...»

 

 

2 ottobre 2011, 03.00

 

Nick era sdraiato nel letto di Drake, in dormiveglia. Drake, da buon amico, gli aveva ficcato due dita in gola, l’aveva messo a mollo nella vasca da bagno piena e l’aveva poi fatto accasciare sul letto con un paio di boxer puliti. Certo, fare il bagno a Nick era una fantasia ricorrente in quel periodo, ma nella sua testa il tutto sarebbe stato molto più romantico che fare da infermiere ad un sedicenne ubriaco.

Medicare le ferite sanguinanti era stato molto più difficile del previsto, per un momento Drake si era maledetto per aver fatto rigettare la dose alcolica all’amico prima di disinfettargli i tagli. Gli aveva anche portato una bistecca gelata da mettere sull’occhio; nei film la usavano sempre, quindi perché non provare? Si sedette sul letto accanto all’amico ancora un po’ sbronzo, e lo guardò con tenerezza mentre l’altro tentava di trovare equilibrio alla fetta di carne che aveva sull’occhio destro. Drake sorrise, suo malgrado divertito.

Nick, che non aveva ancora smesso di sparare stronzate a raffica, lo guardò con lo sguardo sempre un po’ perso.

«Scusami per martedì.. Sono stato uno stronzo, lo so, ma ho paura, Drake.»

L’amico, che stava raccogliendo i vestiti da mettere a lavare, si fermò perplesso. «Di cosa hai paura, Nick?»

«Che poi vada tutto a puttane. Io, e te, quanto potrebbe essere difficile insieme? Io non riesco a stare senza di te, ma se poi ci lasciassimo cosa farei? Cosa succederebbe?»

Drake impallidì davanti a queste affermazioni apparentemente scollegate e insensate.

“Possibile che abbia capito?”

Dopo qualche attimo di imbarazzante silenzio, rispose: «Nick, io e te siamo amici.»

«Pensa se fossimo qualcosa di più...»

Drake si voltò di scatto, dicendo secco: «Nick, io e te non possiamo essere qualcosa di più.»

Nick restò in silenzio per pochi secondi. Poi si riscosse, e parlò.

«E se fossi segretamente innamorato di te? Che ridere, pensa non lo so ammettere nemmeno a me stesso...» Nick si girò nel letto sghignazzando, e si addormentò continuando a bofonchiare qualche frase insensata.

Drake rimase immobile, guardando il vuoto. Lasciò cadere i vestiti e si sedette lentamente sulla sedia della scrivania.

«O mio Dio. Non può averlo detto sul serio.»

Nick iniziò a russare rumorosamente. Lo sguardo di Drake si sbloccò, e cadde sul migliore amico assopito nei fumi dell’alcol.

«”In vino veritas”? Può essere... ma domani se lo ricorderà? Devo fidarmi di ciò che dice un ragazzo che prende una sbornia per la prima volta? Quanto ci posso sperare veramente?»

Drake raccolse i vestiti, e scese in lavanderia. Quella notte non avrebbe dormito, ormai ne era certo.

  
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