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Autore: AstronautOnTheMoon    05/07/2013    1 recensioni
Storia di una ragazza comune che sognava, ma che non é riuscita a realizzare il suo sogno.
Un passato felice,due genitori che le vogliono bene, ma la rabbia e la delusione sono nel suo cuore, perché aveva vissuto tutta la vita per la realizzazione del suo grande sogno.
Rabbia perché ha avuto tutto.
Delusione perchè non ha ottenuto niente.
Genere: Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3. ll mio primo allenamento.

Mi ricorderò sempre la prima volta che sono entrata in palestra, avevo sei anni.

Subito mi sembrò immensa: le pareti sembravano non finire mai, il tetto era lontano.

Entrai dalla porta e davanti a me vidi un palo rivestito di un cuscinetto rosso e una rete nera incorniciata da due nastri bianchi sopra e uno sotto e due asticelle sottili bianche e rosse che si alzavano sopra il nastro superiore.

Poi guardai alla mia destra e subito dopo alla mia sinistra: due grandi scalinate in legno marrone.

Solo dopo mi accorsi dei tanti bambini e delle tanti bambine, che avevano più o meno la mia età, che correvano per la palestra con delle palle gialle, bianche e blu in mano.

Infine, vicino al palo della rete più lontano da me c'era una signora non molto alta, con gli occhi chiari e i capelli ricci e biondi, che indossava una tuta. Lei mi scuserà per ciò che sto per dire, però inizialmente mi sembrava una donna piuttosto anonima, ma mi sbagliavo completamente.

Lei era l'allenatrice.

Appena fece un urletto tutti i bambini si fermarono e si misero in riga davanti a lei.

Insieme a me c'era mio padre, perché mia mamma aveva il rientro a scuola, appena la donna lo vide gli venne incontro lo salutò prima con grandi sbracciate e poi con abbracci e baci.

I bambini si voltarono verso di noi tutti insieme mantenendo la riga e ci guardarono in modo strano, probabilmente non erano soliti vedere la loro allenatrice comportarsi così.

Dopo aver saluto mio babbo mi scompigliò i capelli con la mano dalle lunghe unghie e disse ad alta voce: “Bambini, questo è stato uno dei miei allievi quando aveva la vostra età e spero che un giorno possiate diventare tutti come lui!”poi aggiunse indicandomi “E lei è la figlia, che sicuramente, farà strada, molta strada!”

Mi sentii scottare le guance e per un secondo mi chiesi se mi fosse venuta la febbre all'improvviso, ma poi capii che era solo vergogna.

Mio babbo si accorse della mia improvvisa voglia di svanire e mi abbracciò dicendo delle dolci parole a me e contemporaneamente rimproverando la donna per la presunzione e per il grande peso che per prima mi aveva calato sulle spalle.
Non mi era mai capitato che qualcuno si aspettasse tanto da me, o meglio, non mi era mai capitato che qualcuno rendesse pubbliche le sue aspettative per il mio futuro. Con il tempo ci ho fatto l'abitudine, ho imparato a sopravvivere con la paura di non essere mai all'altezza, però ero solo una piccola bimba quella prima volta e sono rimasta molto male e spaventata in quel momento.

Avendo solo sei anni mio babbo mi accompagnò nello spogliatoio e mi aiutò a cambiarmi, eravamo soli nello spogliatoio e prima di uscire mi disse: “Non dar peso alle parole di Viola, è solo una signora un po' pazza. Mi conosce perché lei è stata anche la mia prima allenatrice ed è molto fiera dei traguardi che ho raggiunto e spesso lo dimostra anche troppo apertamente-si vedeva che era in difficoltà con le parole, infondo era un pallavolista, non doveva parlare poi troppo-comunque, non preoccuparti delle parole che ti dice, se fa i confronti con me dimmelo e dopo ne parlerò con lei. Divertiti!”

Entrai nella palestra e tutti si fermarono e mi guardarono come se fossi un alieno.

Mi feci più piccola che potei e desiderai di sparire.

Presto mi circondarono e iniziarono a farmi domande di tutti i generi, mi sentii oppressa e l'aria mi mancò. Per fortuna arrivò l'allenatrice che diede inizio all'allenamento e magicamente tutti si dimenticarono tutti di me.

Mi era stato tolto un grandissimo perso dallo stomaco, ora stavo bene, ma non durò troppo perché incominciarono i paragoni.

Alla fine dell'allenamento tutti corsero dai propri genitori e io corsi da mio babbo, non ero mai stata tanto felice di vederlo e di abbracciarlo.

Per tutta l'ora e mezza l' allenatrice aveva continuato a fare allusioni a mio padre, al mio palleggio che le piaceva come le piaceva quello di mio babbo e cose del genere.

Era stato opprimente e doloroso, anzi anche spaventoso a tratti.
In quel momento avevo deciso di chiudere con quello sport, era stata solo una piccola brutta parentesi.

Sulla macchina mentre tornavamo a casa ho raccontato tutto al mio genitore presente, e ho anche aggiunto che volevo smettere quello sport lui mi rispose con un domanda: “Ti piace quando giochiamo a pallavolo io e te?” io risposi di sì e lui mi disse: “E' quella la pallavolo. Provo a parlare con Viola e dopo un altro allenamento o due decidi se continuare o smettere, o solo cambiare squadra”.

Ho sempre adorato la sua comprensione, a differenza della durezza di mia madre che ha sempre tentato di imporsi su di me, ma non c'è mai riuscita.

Due giorni dopo mi ha accompagnato ancora lui all'allenamento e prima dell'inizio si è fermato a parlare in privato con la donna.

Durante la lezione non c'è più stata nessuna allusione a lui e velocemente sono diventata una bambina comune agli occhi di tutti.
Ero felicissima di tutto questo.

 

Ecco, così sono entrata nel mondo della pallavolo.

  
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