Serie TV > Dr. House - Medical Division
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Autore: Kimmy_90    18/01/2008    2 recensioni
[SOSPESA] [ma l'autrice è carica di buoni propositi, e quindi promette che entro il 21 12 2012 la finirà.]
Daisuke e House: legati da un certificato di nascita che fa del primo il figlio dell'altro. Poi una porta sfondata, perchè House è sempre House, non si piegherà di certo al primo che esibisce un foglio e gli chiede ospitalità. Soh, bimbetto che l'inglese non lo capisce ma si diletta ben in altro modo, e Hector, che rimane pur sempre un cane ultracentenario. Cameron, l'eterna crocerossina, e Cuddy, che si lascia investire dal suo istinto materno. Infine Wilson, l'unico che tenta di far funzionare la baracca, che prova a far ragionare la gente e, al solito, ci rimette.
E poi il Vicodin.
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Greg House, James Wilson, Lisa Cuddy
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Seconda stagione
Capitoli:
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[Edited! Cosa farei io senza Nike? Morirei XD Sistemato il 'neu', e poi c'è qualche minuscola variazione riguardo il giapponese di House (temo che devo essermi persa qualche episodio cruciale sull'argomento – d'oh.)]
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Quattro: Oh, mio, dio.
Ecco perchè evitavo di pormi certe domande.



House aveva poggiato Soh sulla poltrona, ed ora lo squadrava dal divano di fronte, torvo, e l'altro intento a non parlare. A vederlo, c'era da domandarsi se non fosse morto: il bambino respirava con una silenziosità sovraumana, e gli occhi neri non lasciavano capire se stesse guardando l'uomo oppure il vuoto.
Da fuori non giungeva nessun rumore. House si ritrovò più volte, per quanto controvoglia, a domandarsi cosa stesse facendo Daisuke da riuscire a sembrare assente, nonostante la porta socchiusa lasciasse entrare anche il più flebile dei rumori.
La sua attenzione veniva però sempre ricatturata dalla statua di sale che era il piccolo, e che, da ormai un'ora, coinvolgeva il medico in un assurdo, solenne, silenzio.
Fuori il tramonto, l'oscurità che inizia a comparire nell'etere, gli ultimi raggi del sole che tentano di fornire luce al New Jersey, che gli volta le spalle.
“Come ti chiami?”
La buttò lì lui, poco convinto del fatto che il bambino gli sapesse rispondere. Infatti Soh non mutò espressione.
Ovvio, Figurarsi se un giapponesino di cinque anni conosce l'inglese.
“Sei un tipo poco loquace, eh?” incalzò, lievemente infastidito dal mutismo di quello. Non pretendeva certo che lo capisse, ma almeno che reagisse, ecco: quella sarebbe stata una cosa dovuta.
Soh rimaneva immobile.
“... kamikaze!”
Era più o meno l'unica parola che, pensava, un americano avrebbe dovuto conoscere della lingua, e gliela sputò in faccia credendo che questa volta avrebbe reagito.
Niente.
“Bene, da una parte il punk, dall'altra il sordomuto. Cosa mai sarà un'oretta di ambulatorio, al confronto?”
House andava esibendosi nella sua miglior mimica facciale, fra ironia, fastidio e un po' di quella finta recita che caratterizzava il suo tono retorico.
Ma nulla. Il piccolo continuava a fissarlo, quasi fosse immune a qualsiasi input. House espirò, iniziando a pensare seriamente alla resa.
“Onaka ga suita” affermò il piccolo giapponese. House levò le sopracciglia, sorpreso. Il bambino manteneva la stessa espressione di prima, che ormai il medico andava traducendo in apatia.
“Isha-sama, onaka ga suita...” continuò quello.
L'americano arricciò le labbra, gli occhi azzurri mezzi nascosti dalle sopracciglia calate. Si levò in piedi, non senza un po' d fatica, e si domandò fosse il caso di andare a chiamare l'interprete che si doveva essere ormai accampato nel suo giardino. Poi lo sguardo scivolò sul pianoforte: lo spartito era ancora lì, ad aspettarlo. Si fermò qualche istante a contemplarlo, per poi venire ridestato dal suono del campanello.
“Non contare sulla mia clemenza, muso giallo!”
Fece avvicinandosi, zoppicante, alla porta sfondata. Questa, anziché essere socchiusa, era leggermente aperta, la Cuddy che spiava nella casa, sconvolta.
“Liisa!” esclamò, palesemente falso nella sua gioia ma per nulla nella sua sorpresa “Però, che tempismo perfetto” continuò ironico “Dimmi, sei così anche a letto?”
House si appoggiò con la mano al muro guardando la primaria, sguardo interlocutore, piazzatosi perfettamente a sbarrarle la strada.
La Cuddy era troppo presa dalla porta sfondata per badare alla battuta del medico.
“Che diavolo hai fatto alla porta?” domandò, gli occhi praticamente sgranati
“Mi mancava una presa d'aria, sai com'è.”
“Dico sul serio”
“Anch'io. Cosa fai qui? Sei venuta a darmi la buona notte? Molto carino, da parte tua. Sul serio.”
“Che cavolo è successo alla tua porta!?” una voce più giovane rimbalzò su di House da qualche metro di distanza. Cameron avanzò ancora di qualche passo, per poi fermarsi dietro alla Cuddy, lo sguardo che contemplava l'uscio mezzo distrutto in ogni suo particolare: Hector in braccio.
“Non avevo ancora pensato ad una cosa a tre, onestamente... ma se insistete tanto... il cane lasciatelo fuori, però – è meglio.”
“House, non fare l'idiota. Cosa è successo? Ti hanno svaligiato la casa?”
House osservò intensamente Cameron, valutando la proposta.
“Sì.” 'ammise' poi. “Ora che siete passate a controllare se non mi sono ancora suicidato, potete anche andarvene via serene. E portatevi via anche Hector.”
“Ah, no” fece al volo Cuddy “tieniti questo stupido cane.”
Cameron continuava a guardarlo perplessa, Hector ancora serrato fra le braccia.
House lanciava occhiate furtive sul giardino, domandandosi dove fosse andato a finire Daisuke, di cui non c'era nessuna traccia. La vocina del pargolo tornò a squillare.
“Nikomi Udon okudasaaai”
“Cos'era?” Cuddy era sempre attenta.
“La televisione.”
“Neeh, isha-samaa~”
“Però, hai un televisore fenomenale. Sembra vera.”
“Sai, sono solo, guadagno più di quattro insegnanti messi insieme... può succedere che io mi vizi un po'.”
Le due donne guardavano House per nulla convinte.
Un rumore di passi si avvicinò a loro.

Daisuke era finalmente riuscito a cambiarsi la camicia, sostituendola al volo con una larga maglia scarlatta lacerata in vari punti. Sulla spalla la tracolla di un borsone gli gravava, piegandolo, mentre avanzava verso la porta: le schiene di due donne gli apparvero nella penombra.
“Buonasera”
si limitò a dire facendo chinare lievemente il capo, e proseguì la sua avanzata pronto ad entrare in casa.
House lo bloccò, sbarrandogli la strada con un braccio: gli sguardi delle due attoniti.
“Dove credi di andare?”
“Dentro.”
“Sei un punizione.”
“Sì.”
“Allora resti fuori”
House non ammetteva repliche, ed anzi andava allargando le palpebre sempre di più, in uno sguardo alquanto intimidatorio. Daisuke ritrasse il capo. Le due dottoresse rimanevano immobili, incapaci di creare un pensiero che riuscisse a spiegare la situazione che avevano davanti a loro.
“Punizione?” Iniziò Cameron
“House, chi diavolo è questo?!” continuò Cuddy
“Che bello, siete come Cip e Cop! Fate anche le frasi in coro, magari?” House spinse via il ragazzo strappandogli la borsa di mano, che gli pesò sulla spalla molto di più di quanto avesse stimato. “Fuori, tu.”
“Ok, ok”
“House!” Cuddy fece sfoggio del suo miglior tono di primaria per riprendere il medico. “Chi è questo ragazzo?”
“Nessuno” rispose rapido l'uomo, stringendosi nelle spalle
“E tu metteresti Nessuno in punizione?” la dottoressa sottolineò il termine nessuno, facendo ben intendere che non gliela dava a bere.
Daisuke, dal canto suo, che rimaneva ancora inacidito dal comportamento del padre biologico, non mancò di approfittare della situazione, vedendo come l'altro andava perdendo la solidità con cui l'aveva visto fino ad allora. Assestò un bel calcio al mondo già traballante del medico.
“Gli ho sfondato la porta. Credo che a questo punto voglia disconoscermi.”
House lo guardò con istinti omicida che andavano riflettendosi negli occhi.
Il colpo di grazia, però, venne dall'interno della casa, con un sommesso pigolio lamentoso.
“|Onii-chaan! Ho fame!|”

Se House non si fosse trovato nei suoi panni, avrebbe trovato la cosa molto divertente. E non solo: c'erano infinite leggi della vita che avrebbe potuto trarre da quella scena.
Ad esempio, dare sempre nome falso quando si va a puttane.
Oppure, non costringere qualcuno a riportarti un cane ultracentenario se non sei matematicamente certo che non ti compaia un ragazzo che afferma di essere tuo figlio per tutta la giornata.
La cosa si complicava se poi le due donne erano l'una appena uscita da una cotta adolescenziale per te e l'altra che... beh, insomma.
Lasciamo stare.
“Sono suo figlio” concluse Daisuke, un sorriso cinico e al contempo sereno in faccia, i muscoli del volto ben tirati, gli occhi chiusi.
Le due non poterono non sgranare gli occhi di fronte al giapponese che, onestamente, con Gregory House pareva avere veramente poco a che fare.
Soh tornò a pigolare, House che faceva roteare gli occhi al cielo.
“Tuo figlio!?”
“Tu Hai un Figlio?”
“No!” sbottò il diagnosta, protesosi in avanti, il tono decisamente alterato “Possibile che crediate alla prima cosa che vi viene detta? Cos'è che ribadisco da anni, io? L'uomo mente! Sta mentendo – e voi gli state credendo!”
“Io non sto MENTENDO!” precisò, alterato a sua volta, Daisuke.
“Sì, tu stai mentendo”
“No! Io sono tuo figlio!”
“Tu non sei mio figlio, sei un ragazzino che si presenta alla mia porta con un foglio di carta in mano che dice che io sono suo padre!”
Cuddy e Cameron rimanevano immobili, attonite.
Intanto, la trama che House aveva tessuto per soddisfare il suo bisogno di divertimento quotidiano andava rivolgendoglisi contro in tutta la sua efficacia. Veniva malamente travolto dagli venti, cercando di sistemarli alla meno peggio per riuscire ad uscirne intero. L'unico evento riconducibile ad una cosa del genere era quando aveva, nolente, fatto credere a tutti di essere in procinto di morire per un tumore al cervello – ma, certo, quello non aveva alcuna rilevanza in confronto al casino in cui era immerso ora.

Cameron era lì, ancora intenta a sorreggere Hector, domandandosi come quel giapponese potesse essere il figlio di House. Avrà avuto almento quindici anni, forse molti di più, visto quanto i giapponesi riescano a sembrare dei folletti.. beh, insomma, ci doveva essere un limite all'attività di House.
Evitò di porsi certe domande troppo approfondite. Si sporse leggermente in avanti, contemplando il ragazzo.
Il vestiario era assurdo. Uscito da un anime, ecco cosa sembrava. I capelli, poi, sfidavano ogni legge della fisica, per non parlare del fatto che il giovane, per quanto fossero nella penombra, era visibilmente truccato – ed anche molto.
Non c'erano tracce del gene House. Nemmeno da lontano. Sarà stato alto un metro e settantacinque, mentre il medico superava il metro e novanta. Aveva lineamenti dolci, mentre il presunto padre era tutt'altra cosa, il volto un continuo susseguirsi di ombre.
Davvero, non v'era nesso fra i due. Quel giapponese le appariva autentico in tutto per tutto. Un purosangue. Se non, forse, per quella strana chiarezza degli occhi, solitamente neri, il cui colore preciso non riusciva ad identificare data la poca luce.
Diamine.
Un giapponese.
Se era veramente suo figlio, doveva essere anche figlio di una giapponese, di una signora giapponese. Beh, per House, sempre il meglio. Certo, se mai si fosse immaginata un eventuale figlio del suo capo (cosa che No, Non Aveva -Mai- Fatto, e a buona ragione, mentirebbe ora), sarebbe stato ben diverso.
Forse addirittura biondocchiazzurri.
Ma no, un giapponese no.

Cuddy pose una mano sulla spalla della giovane immunologa per richiamarne l'attenzione, evidentemente persa nei suoi pensieri. Evitava anche lei di pensare troppo alle origini del ragazzo.
“Onii-chaan”
Dalla porta, la primaria vide apparire un pargolo che si affacciava timido.
“|Oniichan, ho fame|”
“|Non hai mangiato?|” rispose il ragazzo nella sua madrelingua, in una parlata che si modellava perfettamente al suo timbro di voce, rapida e scattante, tipica dell'oriente.
“Iee.” rispose il piccolo.
“Non l'hai fatto mangiare?!” scattò Daisuke su House, sconvolto.
“Saranno le sette, che vuoi che sia? Casa mia - regole mie, giallino.”
“Se Soh non mangia subito dopo il tramonto va in crisi”
“Non essere patetico, ragazzino.”
Soh guardava il fratello implorante, grandi lacrimoni a lambirgli il volto.
Oddio, un altro. Cuddy stava iniziando a temere di star perdendo la cognizione delle cose: no, non potevano essere due. Non così piccolo, almeno – perchè se no c'erano veramente troppe cose che non conosceva di Gregory House, il che, da un certo punto di vista, la infastidiva.
Strinse ulteriormente la presa su Cameron, invitandola a voltarsi.
Intanto, i due più o meno accertati House si guardavano in cagnesco, con il mezzo il bimbo, disperato.
“Lasciamo che socializzino” affermò infine, invitando l'altra, semiparalizzata, ad andarsene. “House, domani ti lascio la mattina libera, eh? Così magari fate amicizia.”
“Grrazie” fece House, chiudendo la porta rotta.
I tre rimasero fuori. I quattro, contando anche Hector.
Le due donne rimasero immobile ancora qualche minuto ad osservare il sospettato figlio, che ricambiava le occhiate con uno sguardo sottile, intento a sua volta a studiare le due, senza far parola, senza apparire ne' sconcertato ne' intimidito dalle due che ho stavano praticamente passando allo scanner.
“Beh?” domando infine il ragazzo.
“Buona fortuna” rispose Cameron, che dopo un'ultima occhiata gli diede le spalle, allontanandosi con il cane in braccio, senza rendersi conto che era andata fin lì per renderlo al suo capo.
“Non farti traumatizzare troppo” concluse la Cuddy “E' uno stupido misantropo, tutto qui.” Prese anche lei la sua strada, non senza voltarsi indietro quel paio di volte sufficienti a guardare quel giapponese. Non sapeva cosa pensare, non aveva nemmeno idea di come sarebbe andata a finire. Su queste cose House era omprevedibile. Lui e i rapporti sociali erano due mondi scissi da parecchio tempo, oramai tangenti solamente in Wilson.
Daisuke rimase fuori.

Aveva capito che si chiamava Soh, e aveva capito che aveva fame. Era un buon inizio, dopo tutto.
Guardò il piccolo, tentando di capire se era meglio sorbirsi i due o farsi una mattinata di ambulatorio.
Soh piagnucolava.
“E non fare quella faccia”
Si addentrò nella casa, andando in cerca di qualcosa di commestibile allo stomaco di un piccolo giapponese. Daisuke era fuori, ed Hector non si era mai staccato da Cameron era amore – e almeno non avrebbe rivisto il cane fino al pomeriggio successivo.
Si fermò davanti al frigorifero, domandandosi se quella era da considerarsi una vittoria o una sconfitta.




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Grazie x le recensioni, sono sempre gradite *.*'
Di qualsiasi natura *.*'
Grazie a tutti *.*'

Spero che aprezziate *.*'
(L)






   
 
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