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Autore: ashura    23/09/2004    2 recensioni
Cho Gono... non ride mai...non piange mai...è un bambino che quasi fa paura. Harumi Kawajima è la nuova arrivata all'orfanotrofio. Il suo sorriso è tanto caldo che ricorda la primavera. Harumi è la primavera, il calore, la luce... ma è dove la luce splende di più che l'ombra si fa più fitta...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 11

“Avete scritto? Avete scritto tutti?” si assicurò la madre superiora, passeggiando per i banchi con il libro aperto in mano. Doveva sempre stare molto attenta quando faceva un dettato: la lentezza della lettura faceva spesso distrarre i bambini che finivano per perdersi a guardare fuori dalla finestra, invece di seguire le sue parole. E poi da qualche giorno, alcuni di loro sembravano particolarmente distratti.
“Mami! Hai fatto?” le domandò, notando che la bambina sembrava proprio avere la testa persa nei suoi pensieri. Sentendosi chiamare quella trasalì appena e si affrettò ad annuire vistosamente.
“D’accordo… andiamo avanti.” Disse sospirando la donna, e riabbassando gli occhi sul libro continuò lentamente: “…Il bambino si stupì di come le gemme ricoprissero l’albero, visto che la primavera era ancora lontana…”. Di nuovo sollevò lo sguardo sulla classe: “Yu! Hai scritto?” lo riprese, notando l’ennesimo sguardo distratto. Si avvicinò al suo banco: aveva scritto “giemme, la lbero, l’ontana”, ma aveva scritto.
“… ancora lontana, due punti.” proseguì la suora, scuotendo un po’ la testa, “Avete messo i due punti?”.
Alcuni annuirono, altri si limitarono a guardarla mentre, con le penne sospese a mezz’aria, attendevano il resto della frase. Altri ancora, come Rui ed Hiroyuki, probabilmente non si erano nemmeno accorti che aveva ripreso a dettare.
“Bambini, ma cosa vi prende oggi?”. Questa era la domanda che probabilmente avrebbe fatto se non si fosse accorta in tempo della direzione che avevano preso i loro sguardi. Un banco vuoto in prima fila.
Ah, ma certo. Era chiaro. Era quello il problema.
Un velo di preoccupazione passò sul suo viso; di botto chiuse il libro, e – tornando verso la cattedra – si inventò lì per lì una frase per concludere: “… scrivete… scrivete ‘tutto quello era molto strano, punto.’ Poi portatemi i fogli, va bene? Mentre io correggerò i dettati, potete disegnare.”
I bambini si guardarono un po’ stupiti per il brusco modo con cui la suora aveva messo fine al compito, ma il loro stupore lasciò presto il posto alla felicità di aver finito di sudare. Per cui si affrettarono a fare quello che la madre superiora aveva detto, e in quattro e quattr’otto si era formata una piuttosto instabile torre di fogli su un angolo della cattedra.
La donna prese il primo della pila e se lo pose sotto gli occhi, fingendo di esaminarlo. In realtà aveva interrotto il dettato perché voleva poter riflettere. Sollevò lo sguardo per controllare che i bambini fossero intenti a disegnare: il leggero brusio che accompagnava ogni lezione di artistica la tranquillizzò, e le permise di riconcentrarsi sulla questione.
Aveva sottovalutato l’impatto che la notizia della partenza di Harumi avrebbe avuto sui bambini. Sapeva che tutti le volevano bene, e che alcuni di loro si erano affezionati molto a lei. Ma non era mai successo che chi era rimasto soffrisse così per la partenza di un altro. Da quando se n’era andata, Mami, Hiroyuki, Rui e Yu erano sempre distratti, sfuggenti. Non giocavano più come prima, ma se ne stavano tutto il giorno chiusi nella sala di ricreazione, in un angolo. All’inizio aveva creduto si trattasse di nostalgia.
“Non dovete essere tristi!” aveva detto loro una volta, per consolarli, “So che vi eravate affezionati a lei, ma Harumi non è andata alla gogna! Ha avuto una grande fortuna, ha trovato un nuovo papà e una nuova mamma! Dovreste essere felici per lei, non credete?”
I quattro, che come al solito si erano rifugiati in un angolo della sala ricreatoria, l’avevano guardata annuendo piano. Ma se la loro intenzione era dirle di sì, i loro sguardi facevano capire tutt’altro. C’era qualcosa che non volevano dirle, ma che li faceva stare male. E lei non sapeva cosa fare per aiutarli…
Decise che ne avrebbe parlato anche con le altre sorelle dell’orfanotrofio; magari loro ne sapevano più di lei… e poi non avrebbe potuto ritardare all’infinito la correzione dei dettati!
Si concentrò su quello che aveva preso per primo: il nome, ordinatamente segnato in alto, era quello di Cho Gono.
La donna si lasciò sfuggire un sorrisetto: e così il destino non voleva proprio che lei cambiasse argomento!
Gono aveva reagito in modo strano… ma, trattandosi di lui, aveva imparato da tempo a non stupirsi più delle sue uscite. Quando aveva annunciato alla classe che Harumi se ne sarebbe andata, era rimasto indifferente come sempre. Era quasi come se lo sapesse già. E probabilmente era così… l’aveva capito, ormai, che lui e Harumi si erano parlati a lungo, in quegli ultimi giorni. Per quello, in effetti, era stato un vero peccato che la bambina se ne fosse andata: era la prima volta, da quando lo conosceva, che Gono permetteva a qualcun altro di avvicinarglisi così. Ed era la prima volta che dimostrava interesse verso un’altra persona.
Non aveva avuto coraggio di chiedergli che cosa si fossero detti; e anche se l’avesse avuto, sicuramente lui le avrebbe risposto che non erano affari suoi, e avrebbe avuto ragione.
La madre superiora alzò la testa e guardò il banco in fondo alla classe, dove una testolina scura chinata nascondeva quegli occhi verdi capaci di espressioni tanto adulte: perché aveva reagito così? Era perché non gliene importava niente davvero? Oppure era perché aveva capito che per Harumi era meglio così?

“Hai voglia di giocare?” chiese Mami a Yu, indicandogli con lo sguardo un mazzo di carte.
“No… magari dopo…” le rispose lui, sistemandosi meglio nella poltrona della sala giochi. Hiroyuki e Rui erano come sempre accanto a loro. Il primo era intento a leggere un libro, mentre l’altra se ne stava seduta a terra e, con un pastello, tracciava di malavoglia delle linee su un foglio.
“Forse la madre ha ragione… dovremmo smetterla di pensarci…” fece Yu, cominciando a dondolare nervosamente le gambe avanti e indietro.
Mami alzò le spalle: “Non ci riesco… mi sento tremendamente in colpa…”
Hiroyuki sospirò e si riassestò gli occhiali.
“Abbiamo detto molte cose cattive…” commentò Rui senza girarsi, continuando a segnare di colore la carta.
Nessuno degli altri tre aveva la voglia né le parole per continuare, ma la memoria di tutti loro tornò indietro di qualche giorno, quando salendo in camera si erano ritrovati Harumi ad aspettarli.
Erano infuriati. Hiroyuki aveva raccontato tutto quello che sapeva: del fatto che lei facesse finta di essere com’era, del fatto che avesse raccontato tutto a Gono e a loro no… Si sentivano traditi e imbrogliati. Si sentivano furiosi e allo stesso tempo addolorati. Era stato con quello stato d’animo che erano entrati in camera. Ed era stato con quello stato d’animo che l’avevano aggredita appena l’avevano vista.
Non credevano nemmeno loro di essere stati in grado di trovare parole capaci di fare tanto male… e si erano ritrovati quasi sorpresi nel rendersi conto che stavano provando soddisfazione a dirgliele, che stavano scegliendo apposta le frasi peggiori per il gusto di colpirla. Volevano sfogarsi su di lei, lei che era la causa del loro turbamento.
Ognuno di loro aveva dato il peggio di sé: Mami urlava, Rui piangeva accusandola, Yu le aveva lanciato frecciatine al veleno, Hiroyuki si era rifiutato perfino di guardarla in faccia.
Poi, quando il loro uragano si era sfogato, aveva parlato Harumi.
Era strano. Non aveva alzato la voce, non aveva ribattuto a nessuna delle cattiverie che aveva ricevuto. Aveva fatto un lungo discorso, un discorso che in partenza avevano deciso di non ascoltare nemmeno, ma che alla fine non erano stati in grado di ignorare.
E quando Harumi ebbe finito di parlare, tutti e quattro si sentirono degli enormi stupidi.
Se li aveva tenuti all’oscuro di tutto, non era perché li considerava meno intelligenti di Gono, o perché non si fidasse di loro. Era perché loro per primi in tutta la sua vita le avevano dimostrato calore… un calore che temeva di perdere raccontando loro la verità. Perché chi poteva voler bene ad una persona egoista e falsa come aveva capito di essere lei?
“Però ci ha perdonati…” mormorò Mami, interrompendo la lunga fase di silenzio che era seguita alle parole di Rui.
“Questo ti fa sentire meno un verme?” le chiese Yu.
“No… ma mi fa sentire meglio il pensiero che non ce l’ha con noi.”
Quel giorno erano rimasti tanto colpiti dalle parole di Harumi che non erano nemmeno stati in grado di scusarsi per averla aggredita. Era stata lei a precederli e a spiegare che li capiva, che era stata lei a sbagliare per prima, che non aveva capito che a degli amici si può e si deve parlare sempre con sincerità.
“Tanto… non la rivedremo più. Non sapremo mai più niente di lei…” si intromise Hiroyuki, girando lentamente pagina.
Gli altri tre chinarono il capo depressi. Era quello che li tormentava più di tutto. Il pensiero che, ora che finalmente la amicizia tra loro e Harumi aveva preso il via definitivo, ora che sapevano come aiutarla, tutto era finito. Finalmente l’ostacolo del silenzio era crollato, ma se n’era frapposto un altro, altrettanto odioso e doloroso: la distanza.

“Gono, vieni un attimo…” lo chiamò la madre superiora, trovandolo tanto per cambiare in biblioteca.
Il bambino sollevò la testa dal volume che aveva in grembo e la fissò stupito: da quando la donna aveva sul volto un sorriso così largo? Fino a poche ore prima sembrava di tutt’altro stato d’animo…
“E poi sarei io lo strano…” pensò, scivolando giù dalla poltrona e seguendo la donna fuori dalla stanza.

Ormai era sera, e i quattro bambini si accingevano a terminare un’altra giornata all’insegna della malinconia e del rimorso.
“Dobbiamo andare a prepararci per la cena…” fece Rui.
“Tanto non ho fame…” borbottò Yu, dando segno di non aver voglia di alzarsi.
“Neanch’io…” disse a sua volta Mami.
“E io neppure…” esclamò Hiroyuki.
“Allora cosa facciamo, restiamo qui?” domandò Rui, incrociando le braccia.
Gli altri stavano per risponderle, quando sentirono che qualcuno aveva aperto la porta. Gono comparve sulla soglia e, tranquillamente, si diresse verso di loro.
Hiroyuki arrossì e si voltò dall’altra parte: si vergognava ancora troppo per quella scenata che gli aveva fatto. Ogni volta che ci ripensava si sentiva più idiota… non sarebbe più riuscito a guardare Gono negli occhi.
“Sei venuto a chiamarci per la cena? Dì alla madre che non abbiamo fame…” gli disse Yu, cercando di indovinare il motivo della sua visita. Ma Gono non lo degnò di attenzione, e si piazzò piuttosto davanti a Hiroyuki.
Non aspettò che l’altro si decidesse a voltarsi e a guardarlo. Con la sua solita espressione neutra in volto, si tolse dalla tasca una lettera e gliela porse.
Hiroyuki mosse la testa appena per capire che cosa gli stesse tendendo.
“È di Harumi. È arrivata oggi.” si limitò a dire Gono.
Il bambino rimase imbambolato a guardare la busta, quasi senza crederci. Poi, lentamente quasi che un movimento affrettato avrebbe potuto farla scomparire come nei sogni, la prese con mano tremante. La rigirò per leggere il mittente. Era vero. Era di Harumi!
Gli altri tre balzarono in piedi e si misero tutti attorno a lui per poter guardare a loro volta.
“Che aspetti, Hiro?! Aprila! Vediamo che ci ha scritto!”
“Ma è per noi? È davvero per noi?”
“Ma certo, stupida, non vedi a chi è indirizzata?”
“Dai, Hiro, apri, apri, apri!”
Come stordito da tutto quello che stava succedendo, il bambino strappò la busta e spiegò per bene il foglio che vi era contenuto. Mentre procedeva a questa operazione, Gono si voltò e senza tante cerimonie ritornò sui suoi passi. Prima che fosse giunto alla porta, Hiroyuki lo chiamò: “Gono!”
Lui si fermò: “Sì?”
L’altro si sentì avvampare in faccia, ma continuò deciso: “Anche tu ne hai ricevuta una?”
Gono sembrò esitare per un attimo: evidentemente, pensò Hiroyuki, ricordava ancora la scenata che gli aveva fatto in classe.
“Sì…” confermò semplicemente, voltandosi verso di lui.
Hiroyuki annuì e, incredibilmente, si ritrovò a guardare dritto in quegli occhi verdi, quegli occhi che mai aveva avuto il coraggio di sostenere: “È giusto così…” disse alla fine.
Gono rimase fermo a guardarlo; poi si voltò di nuovo e uscì dalla porta. Hiroyuki non aveva imparato a conoscerlo bene. Ma gli era come sembrato che, nell’espressione fredda del compagno, fosse passato quasi un sorriso.

“Harumi, ti ho aggiustato il gancetto!” disse il suo nuovo papà entrando in camera sua. Era un signore alto e gentile, e aveva la faccia simpatica perché si ostinava a portare degli strani baffetti.
La bambina gli sorrise e tese la mano per prendere la collanina.
“No, aspetta, te la lego io!” si offrì l’uomo, “Così vediamo se tiene, no?”
“Va bene!” acconsentì lei, sollevando i capelli in modo che non impicciassero l’operazione.
“È molto bella… sei stata fortunata ad averla ritrovata!” commentò lui, mentre chiudeva con attenzione la catenina al quale era legato un piccolo crocifisso.
“Non l’ho ritrovata io! È stato uno dei bambini dell’orfanotrofio!” precisò Harumi.
“Allora sei stata due volte fortunata! La prima perché hai trovato la collana, la seconda perché hai trovato un vero amico! Dev’esserlo senz’altro, se è stato così onesto da rendertela!”
Lei sorrise e non disse niente.
Prese la piccola croce tra le dita e ripensò a quando se l’era ritrovata in camera, appoggiata sopra la valigia, proprio la sera prima della partenza. Accanto a quella c’era un biglietto non firmato, ma non era necessario che lo fosse. Sapeva benissimo chi l’aveva scritto.
“Fino ad oggi, questa croce ti ha ricordato un errore. Da oggi in poi, voglio che ti ricordi un amico.”


E un giovanetto domandò: Parlaci dell’Amicizia.
Ed egli rispose dicendo:
Il vostro amico è il vostro bisogno saziato.
È il vostro campo che seminate con amore e mietete con più riconoscenza.
È la vostra mensa e la vostra dimora.
Poi che, affamati, vi rifugiate in lui e lo cercate per la vostra pace.

Se l’amico vi confida il suo pensiero, non nascondetegli il vostro, sia rifiuto o consenso.
Quando lui tace, il vostro cuore non smette di ascoltare il suo cuore;
poi che nell’amicizia ogni pensiero, desiderio, speranza nasce in silenzio e si divide con inesprimibile gioia.
Se vi separate dall’amico, non provate dolore;
poi che la sua assenza può schiarirvi ciò che è più in lui amate, come allo scalatore la montagna è più chiara dal piano.
E non vi sia nell’amicizia altro intento che scavarsi nello spirito, a vicenda.
Poi che l’amore che non cerca soltanto lo schiudersi del proprio mistero, non è amore, ma il breve lancio di una rete in cui si afferra solo ciò che è vano.

La parte migliore sia per il vostro amico.
Se egli dovrà conoscere il riflusso della vostra marea, fate che ne conosca anche il flusso.
Quale amico è il vostro, per cercarlo nelle ore di morte?
Cercatelo sempre nelle ore di vita.
Poi che egli può colmare ogni bisogno, ma non il vostro nulla.
E dividetevi i piaceri, sorridendo, nella dolcezza amica.
Poi che nella rugiada delle piccole cose il cuore scopre il suo mattino e si conforta.


(Kahlil Gibran)

  
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